mercoledì 12 maggio 2010

Ancora la Chiappori!

Negli ultimi tempi mi è presa l’abitudine di leggere i quotidiani vecchi anche di tre o quattro giorni. Lo faccio perché mi sembra uno spreco buttarli senza averli esaminati da cima a fondo. E poi, a distanza di qualche giorno, le notizie prendono una nuova luce, si potrebbe quasi dire che crescano, si evolvano.
Per esempio, in un vecchio inserto spettacoli de la Repubblica, vedo uno dei soliti articoli inutili sugli usi e costumi della buona società milanese dal titolo: Home music. Rock, folk o jazz, l’ultima moda è il concerto fatto in casa.
“Che stronzata - penso - chi di noi, persone ordinarie, potrebbe mai organizzare un concerto per cinquanta persone in un bi o trilocale più servizi?”.
È proprio vero che il concetto di abitazione varia col reddito: ciò che, per un benestante, potrebbe essere al massimo la cuccia del cane o la stanza della servitù, per la maggior parte dell’umanità sarebbe una reggia.
Ecco cosa mi infastidisce di questo quotidiano: ergersi a censore dei ceti medio alti, tacciarli di ladrocinio e meschinità di ogni genere, per poi, dieci pagine dopo, incensarli, ossequiarli e farsene servitore e giullare.
“Lascia perdere - mi dico - in questo periodo sei già abbastanza incazzato per i fatti tuoi, che ti frega, salta la pagina e lascia perdere, la tua ipertensione ringrazierà”. E così stavo per fare, quando vedo la firma dell’autore: Sara Chiappori. E chi poteva essere altrimenti? Nel post dell’8 ottobre 2007, era finita nel mirino per un articolo che incensava una sedicente scrittrice quattordicenne che aveva pubblicato, addirittura per Mondadori, un patetico romanzetto nel quale una sua coetanea si innamorava perdutamente di un vecchio sessantenne nell’Inghilterra del XVIII secolo. Una emerita porcheria pubblicata semplicemente perché rampolla di gran buona famiglia.
Sara Chiappori fece molto bene il suo lavoro e, oltre che intervistare la piccola, non dimenticò di menzionare tutte le filiali della gioielleria del papà, trovando anche lo spazio per un breve accenno all’attività materna. Andatevi a vedere il sito personale di Maria Elisabetta Scavia (www.mariaelisabettascavia.com) perché, se riuscite a non farvi venire un infarto dalla rabbia, potrebbe essere una delle esperienze più divertenti della vostra vita.
Insomma, come si dice in gergo giornalisto, una innocua marchetta. Niente di terribile, ma fastidiosa e indice del modo ormai consueto di farsi strada nel mondo.
Ecco perché, seppure di malavoglia, mi sento in dovere di leggere l’articolo.
Lo stile è il solito: vaneggiamenti vari e citazioni di nomi e indirizzi di chi evidentemente ha le sue buone ragioni per vedersi pubblicato. Il nome che ricorre con frequenza impressionante e quello dei Pan del Diavolo, definiti “Scatenato gruppo palermitano punk-folk (?!) pronto a esibirsi in versione acustica e molto domestica. Il concerto è stato organizzato su facebook e myspace da Secret Concerts (ecco finalmente il deus ex machina!), fondato nel 2009 da Tania Varuni (giusto essere precisi), compagna di Giovanni Gulino, cantante dei Marta sui tubi (e chi sono?), non a caso fra i primissimi gruppi a importare a Milano la moda dei concerti in casa...” (adesso basta però!). Ma non finisce qui, Sara ci deve propinare anche la nota di colore: “I Pan del Diavolo cominciano con le loro chitarre ed è subito ritmo (caspita, neanche al carnevale di Rio!). Finiscono un paio d’ore dopo, gran serata. Era il nostro primo house concert, bello - dice uno dei due, Pietro Alessandro - suonare senza barriere di amplificazione, così vicini a chi ti ascolta. è un’esperienza da fare”.
Poi non poteva mancare la chiusa di Tania Varuni, che dice: “In poco più di un anno abbiamo fatto circa una sessantina di date in tutta Italia, di cui una decina a Milano. Su facebook i contatti ormai sono 10mila. E sono sempre di più quelli che mettono la casa a disposizione”. E minchia! Basta! Abbiamo capito!
Ecco, è finita che mi sono incazzato di nuovo. Forse sarò prevenuto, chissà.
Cambio giornale, sempre la Repubblica ma di qualche giorno prima. Lo so, faccio così, mi piace saltare avanti e indietro. Sempre nella sezione milanese, c’è un boxettino che s’intitola: “I Pan del Diavolo sfornano il primo disco”. Ma che coincidenza!
L’articoletto è quanto di più adulatorio abbia mai letto. “Interessantissimo, testi intelligenti, ritmo che trascina, nuovi punti di vista sonori, da tenere d’occhio e d’orecchio”. Questi alcuni dei commenti in solo sedici righe di testo.
Peccato non sia firmato, ma ho una mezza idea su chi potrebbe esserne l’autore (o l‘autrice!).
Ora, oggettivamente, è possibile negare che tutto questo non sia un’operazione commerciale? Almeno scriveteci in corpo cinque “informazione pubblicitaria”. Magari i ragazzi saranno pure bravi, ma metti che, fidandosi di queste entusiastiche recensioni, qualcuno acquisti il cd e che poi si riveli essere una schifezza, i soldi chi li restituisce? Sara Chiappori?
In effetti li ho ascoltati su youtube: sono davvero agghiaccianti.
E volete scommettere che, se mi leggo con attenzione gli ultimi due o tre numeri del Venerdì, o D, ci ritroverò ancora i due simpatici ragazzi palermitani?
Questi comportamenti non saranno certo gravi reati, anche se l’ordine dei giornalisti sanzionerebbe la pubblicità occulta, ma per un lettore sanno tanto di presa per il culo perché, in fondo, se oggi mi ritrovo praticamente disoccupato, è anche per non aver mai accettato nessun compromesso morale.

7 commenti:

  1. sei veramente uno sfigato!

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  2. Caro anonimo, come vedi non censuro nessuno, nemmeno te.
    È chiaro che un minimo di educazione non guasterebbe, soprattutto quando ci si nasconde.
    Mi auguro che la tua vita scorra sempre felice e senza intoppi e che tu e chi ti sta vicino non soffriate mai di problemi di salute o economici.
    Buona fortuna!

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  3. Avercene di sfigati come te :)

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  4. Grazie, lo prendo come un complimento.

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  5. si lo è :) secondo me hai ancora un punto di forza sul quale far leva, riesci ancora a ridere di te stesso, ti sembra poco?

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  6. è proprio vero! le marchettare della stampa!

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  7. E pensare che è roba di sei anni fa. Purtroppo non è cambiato niente, lei è ancora lì che ossequia con la sua arietta da esperta, ammorba con i suoi compitini da università di provincia e non ha cambiato il suo cliché neppure di una virgola.

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