venerdì 30 aprile 2010

Fuori dalla tana!

Ieri, finalmente, l'appuntamento in casa editrice per la proposta di un lavoro. È vicinissima a casa, non più di cinque o sei minuti in auto. È una bella costruzione, arredata col gusto di un architetto, con un via vai di persone giovani e informali dall'aria tranquilla, quasi rilassata.
Parlo con un architetto sui cinquantacinque, anche lui in maniche di camicia, senza giacca e cravatta. È estremamente educato ma non azzimato, mi parla di etica, correttezza aziendale, progetti futuri.
Mi torna in mente un post di qualche tempo fa in cui mi chiedevo dove fossero finite le persone serie, non quelle seriose, ma quelle che mantengono la parola, non si comportano come cialtroni o dittatori, quelle per cui l'onestà e l'etica sono ancora valori e non parole strane. Credo di averne trovata una.
Se veramente i fatti di questi ultimi giorni, cambieranno in meglio le mie prospettive di lavoro, è innegabile che questi pochi mesi di euforica disperazione mi abbiano in qualche modo reso diverso. E devo ringraziare il mafioso pelato per avermi regalato, suo malgrado, un nuovo modo di vedere il mondo, le persone e anche me stesso. Sono felice di aver riscoperto una società dalla quale ero stato allontanato, fatta anche di solidarietà, di educazione, di professionalità. Mi auguro che, se tutto va bene, riprendere a lavorare non mi faccia tornare a essere un misogino eremita rinchiuso nella sua tana come un coniglio impaurito.

giovedì 29 aprile 2010

Le cose che piacevano a me

Il Beta 50 ma con la forcella del 125 e la marmitta intasata che non s'impennava nemmeno col carro attrezzi, la Minolta SRT101b, Voulez vous coucher avec moi, gli After Eight, i boeri, il Totocalcio, le Nazionali super esportazione senza filtro, i Ray-Ban a goccia, gli stivali a punta, le camice scozzesi di flanella, il Walkman Sony, gli occhiali Lozza e Bollé, limone e fragola, i gettoni del telefono, le scaloppine al marsala, l'Olympus OM2, la Honda CB 350 four, i filmini super 8, il loden, il Montgomery, gli stivali Camperos, Fiorucci, la televisione a colori Grundig, La Jugoslavia, Telecapodistria e i film con le partigiane nude, Caballero, Le Ore, Supersex, Playmen, Cappuccetto Rotto, Lando il montatore, la camporella, il Punt e Mes, Don Bairo l'uvamaro, Renè Briand Extra, l'arrosto alla domenica, il polpettone, il vitello tonnato, le patate lesse col prezzemolo, la frutta sciroppata, le ciliege sotto spirito, la grappa alla Ruta, Oropilla Riserva, il Vov, l'Amaro del Piave, le ciliege sotto spirito, il Garelli Vip 3 marce che poi saltò fuori che era rubato, le palline clic-clac, l'Alfa Romeo Giulia della Polizia, i taxi verde scuro e poi gialli, gli orologi a cristalli liquidi, gli acquarelli Ecoline, i pennarelli Pantone, i trasferibili R41, l'aerografo, gli amplificatori con i VU-meter a lancetta, la bici da corsa, la bici-radio Tintin-ager, la marmellata di mele cotogne, i crackers con la Nutella, le cartelle di cavallino, la casacca nera e il fiocco azzurro per i maschi e il grembiule bianco col fiocco rosa per le femmine, la foto scolastica di fianco al mappamondo, la caccia ai gatti randagi, le torture alle lucertole, la fionda, la cerbottana, i bussolotti con lo spillo, Mino Damato, le clave di plastica di carnevale riempite di carta bagnata, i raudi fatti scoppiare nel ghiaccio delle pozzanghere, la pistola lanciarazzi, il bar dell'oratorio, servire messa in cambio di qualche spicciolo, la tv dei ragazzi, le figurine da attaccare con la colla, rubare alla Standa, i compagni che alle medie già limonavano e io no, la Girella, Capitano, lo posso torturare?, Paola Pitagora, Raffaella Carrà, i videogiochi al bar, Pac-man, Yul Brynner, Kung-fu fighting, Afric Simone, Bruce Lee, Barbie e Ken, il telefono a ruota, la SIP, telefonare per tutto il giorno al costo di un solo scatto, le Tepa Sport, Taxi driver, Topo Gigio, Gustavo, i Bucaneve Doria, è una storia vera, è Galbusera, Mago G, Mago Zurlì, Mago Silvan, Profondo rosso, i Goblin, il Guardiano del faro, lo squalo, Dinky Toys, Corgy Toys, l'austerity, Spazio 1999, 2001 Odissea nello spazio, 1997, fuga da New York, 1975: occhi bianchi sul pianeta Terra, 2000, la fine dell'uomo, 1999: conquista della Terra, 2002 la seconda odissea, la carta carbone, le John Player Special... continuate voi.

mercoledì 28 aprile 2010

Paradiso o inferno?

Grandi novità all'orizzonte. Oltre al preventivo per gli editori di Genova, entusiasti, per quanto possano esserlo dei genovesi, della sua economicità, ieri mi è stata proposta anche la realizzazione di un giornale di arredamento per locali pubblici. A questo punto devo mangiarmi la lingua per ciò che avevo detto di un certo ex direttore che credevo mi avesse abbandonato e invece...
Inoltre mia moglie, che ha finalmente desistito dal cercare lavoro come impiattatrice, ha buone prospettive per un part time in un'agenzia che si occupa di materiale promozionale di livello medio-alto.
Pare insomma che le cose stiano prendendo una piega piuttosto promettente, anche se non voglio cantare vittoria e nemmeno menzionare il dolce piatto della vendetta verso voi-sapete-chi.
In fondo sono quasi dispiaciuto che questo periodo che ormai consideravo sabbatico, sia già finito. Dipingere quadri e progettare oggetti artistici era un'attività che mi appassionava davvero e quindi, insieme alla gioia di avere forse risolto almeno in parte i miei problemi economici, c'è anche la delusione di dedicare meno tempo alla nuova attività artistica. A questo proposito, ho terminato il secondo quadro. Questa volta ho guidato io al 90 percento, ma non ho ancora raggiunto esattamente quello che voglio.
Per ora comunque mi trovo in una specie di purgatorio, dal quale non so ancora se finirò in paradiso o nuovamente all'inferno.

martedì 27 aprile 2010

Partita iva, cciaa, inps, bla, bla, bla

In effetti mi domando perché continuo a servirmi di un commercialista a Limbiate. Anzi, veramente si tratta di una commercialista. Forse perché sono un abitudinario, o perché odio liquidare le persone, o perché il mio destino è quello di essere circondato da donne. Eppure è palesemente inefficace, incompetente e distratta. Passi per quando l'ho conosciuta, quasi quindici anni fa. Allora era attenta, precisa, anche se con poca intraprendenza. Almeno era carina; minuta, capelli scuri, occhi grigi, sorriso aperto.
La cosa più grave e di cui le faccio una colpa, è l'aver fatto trascorrere troppo tempo nell'analisi e nella formulazione di un'alternativa al famoso contratto del mafioso pelato. Forse, se fossi stato più tempestivo nella mia controproposta, le cose non sarebbero andate come sono andate, o forse non sarebbe cambiato nulla. Ma il dubbio rimane. Passi per le volte in cui dimenticava qualche F24, oppure non teneva conto dei miei crediti d'imposta, facendomi pagare anche quando avrei potuto farne a meno. E passi anche per le altre volte in cui non riesce a rispondere alle mie richieste.
Ieri però le ho posto un quesito molto semplice, almeno per un commercialista.
Vorrei vendere seriamente i miei quadri, quelli commerciali, che produrrò secondo il gusto corrente, quelli cioè, davanti ai quali le persone dicono: "Ma guarda che bel paesaggio, sembra una fotografia!". Per farlo ho pensato di richiedere un'autorizzazione per il commercio itinerante e piazzarmi con le mie opere alla festa della scuola, o nei mercatini un po' chic e cose del genere. Le scrivo esponendo l'idea e lei risponde che dovrei aprire un'altra partita iva, cciaa, pagare i contributi all'inps e altre incombenze che non ricordo. Dice anche che magari è possibile avere un permesso solo per fiere e similari, ma che per saperlo con certezza bisognerebbe sentire l'ufficio del commercio del comune di Milano.
Ma come? Sul modulo per la domanda sembra che la partita iva sia necessaria solo per le imprese, alle persone fisiche basta il codice fiscale. E poi non credo che tutti gli extracomunitari che richiedono il permesso abbiano anche il cciaa, qualunque cosa sia.
E poi che cosa te lo chiedo a fare se non sai mai un emerito cazzo e devo spiegarti sempre tutto io?" Insomma, questo genere di cose a chi si chiedono se non al commercialista?
Ecco, è questo il punto. Qualunque cosa le chieda, non è mai preparata, non sa quali sono gli obblighi da espletare, non è mai in grado di sciogliere i dubbi, di dare una risposta certa e definitiva.
Dice che si potrebbe far rientrare l'attività in una forma occasionale ma che è soggetta comunque a cciaa e che per l'inps forse si può ovviare se si è già iscritti ad altra forma previdenziale e bla, bla, bla.
È tutto un potrebbe, forse, bisognerebbe, sarebbe possibile, ma ciò che ne risulta è che ho le idee terribilmente confuse e non ho ancora capito se è una cosa fattibile o meno.
Forse devo davvero cambiare commercialista.

lunedì 26 aprile 2010

Limbiate

Oggi mi è toccato il solito viaggetto a Limbiate dal commercialista. Tra andata e ritorno sono cinquanta chilometri. Tutti mi dicono di cercarne uno a Milano, ma non mi dispiace fare un giretto in auto. Almeno è una scusa per usarla: in cinque anni avrò fatto sì e no ventimila chilometri.
Quando sono andato in officina per il tagliando, il meccanico non ci voleva credere, tanto che ho dovuto mostrargli personalmente il contachilometri e poi non la smetteva mai di ridere e strizzare l'occhio ai colleghi, come se fossi un un fenomeno da circo.
Tornando al commercialista, il destino vuole che a Limbiate abitasse una coppia di buoni amici di mio padre che, ogni tanto, ci invitavano a cena. Lei era mezza egiziana, con i capelli rossi, e il marito un tipo magro ma tutto muscoli che, ogni mattina, andava a lavorare a Milano in motorino. Avevano tre figli e facevano una gran fatica per tirare avanti.
Erano i primi anni '70, e io un tredicenne con una pettinatura tipo i cantanti italo-americani dei casinò di Las Vegas. Come al solito, dopo qualche anno, mia madre cominciò a essere gelosa, pensando che questa amicizia avesse qualcosa di torbido, ma questo succedeva con qualunque donna si avvicinasse a meno di cinque metri da mio padre.
La cosa che mi meravigliava di questi inviti a cena, era l'impressione che il viaggio di ritorno fosse sempre più breve rispetto a quello di andata, ed è la stessa impressione che provo ogni volta che vado dal commercialista. Chissà da cosa dipende? È chiaro che è solo un inganno, un'alterazione percettiva, ma non sono mai riuscito a spiegarmi come possa accadere.
Il secondo quadro è quasi terminato. È completamente diverso dal primo e non ho ancora deciso se sia meglio o peggio.

venerdì 23 aprile 2010

Flashforward

Ho ricevuto una richiesta di preventivo per il progetto grafico di una rivista e un sito web di presentazione della stessa.
La mia reazione è stata come nei film, quando il protagonista è in gravissimo pericolo di morte e rivede tutta la vita in un velocissimo flashback, solo che il mio, più che un flashback è stato un flashforward o, in italiano, una prolessi.
La prima cosa che ho visto, o meglio, la prima sensazione, è stata un senso di delusione. "Ma come, proprio adesso che ci prendevo gusto a occuparmi d'arte, dipingere, creare, mi si mette di mezzo ancora il lavoro?". Poi ho pensato alle ferie estive: "Se questi fanno sul serio, rischio di non portare i bambini in vacanza e, visto che ci siamo già persi quelle di natale e di pasqua, la loro allergia peggiorerebbe di sicuro". Successivamente ho provato un senso di calore, di soddisfazione, un'iniezione di stima per me stesso: "Vai che ci rimettiamo a cavallo, allora non tutto è ancora perduto". E di conseguenza il pensiero successivo è stato per quel bastardo del mafioso pelato e del suo orgoglio borbonico, che ha buttato una famiglia in mezzo alla strada senza il minimo scrupolo: "Hai visto, bastardo? Che ti credevi? Che senza il tuo lavoro di merda sarei finito a vendere fiori davanti al cimitero monumentale? Poi, la solita insicurezza: "Sarò ancora capace di fare un lavoro come si deve? E, soprattutto, ne avrò ancora voglia? Ci sarà ancora la passione?".
Giusto per non fare i conti senza l'oste, ho cominciato a informarmi su questo editore di poche ma precise parole: "Dovrei realizzare una nuova rivista settore motociclismo di circa 120 pagine, formato A-4, mensile, volevo chiederle un preventivo per il supporto grafico". Più che grafico, telegrafico.
Sono genovesi; ecco spiegata la richiesta tanto succinta; editano già una rivista di arti marziali e il loro sito è agghiacciante nella sua caoticità.
Gli elementi che mi forniscono però, sono davvero troppo pochi; per un preventivo come si deve ho bisogno di un brief più accurato, quindi lo preparo e lo invio per email.
Relativamente al sito, visto che non è propriamente il mio forte, mi appoggio a un collega che prepara una scaletta davvero completa con tutte quelle cose come: indicazioni di siti già operanti, istituzionali, di prodotto, ecc, profilo dell'utenza del sito, quali sono le azioni che le varie tipologie di utenti dovranno fare sul sito, vincoli a sistemi operativi utilizzati, gestione CMS e robe di questo genere. Insomma, una cosa professionale, indispensabile per costruire un preventivo che abbia un minimo di attendibilità.
La risposta arriva dopo più o meno un'ora ed è, se possibile, ancora più laconica della richiesta: "Un sito web tipo quello di .... che deve avere una sezione notizie da ampliare ogni settimana". Minchia! Questo sì che è avere le idee chiare.
Viste le premesse, credo che nemmeno questo lavoro avrà grandi prospettive, un po' come il famoso cazzaro di Brescia, che, a parte degli improbabili auguri per pasqua mandati in serie a tutto l'indirizzario, non si è più sentito.

giovedì 22 aprile 2010

Mal comune, mezzo gaudio?

Ma voi quanto spendete ogni mese per fare la spesa? Noi siamo in quattro, due adulti e due bambini, facciamo colazione a casa, a pranzo siamo in tre e a cena in quattro.
In questo ultimo periodo ho cercato di mettere in atto una strategia del risparmio: faccio la spesa quasi esclusivamente al supermercato, sfrutto tutte le offerte, i 3x2 e acquisto in gran parte prodotti monomarca. Abbiamo praticamente escluso le carni rosse, prediligendo il pollame e il maiale, non beviamo vino e nemmeno mangiamo frutta esotica o cibi fuori stagione e dispendiosi. Il pane non lo compriamo quasi mai perché in zona fa davvero schifo e finisce sempre che lo utilizziamo per fare torte o l'impanatura delle polpette. Mia moglie è brava nello sfruttare le sue capacità culinarie e spesso prepara lei stessa pizze, focacce, ciambelle dolci e salate. Non sprechiamo praticamente niente e con gli avanzi riesce sempre a inventare qualcosa di appetitoso. Eppure non riesco a spendere, per due grosse spese mensili, meno di 450 euro. Aggiungendo poi le piccole cose che si comprano durante la settimana, non riesco a stare sotto i cinquecento euro.
È tanto? È poco? Non lo so. Fintanto che il lavoro andava bene, non me ne sono mai preoccupato, ma ora mi accorgo che risparmiare non è nemmeno così facile. Cosa eliminare? Cosa è davvero superfluo e cosa indispensabile? L'acqua minerale in una città come Milano, è superflua o indispensabile? Sono davvero utili tutti quegli shampoo, balsami, liscianti, rinforzanti e balle varie? Come posso risparmiare senza arrivare agli eccessi di fare il detersivo in casa? Sono graditi consigli e suggerimenti.
Nel frattempo abbiamo ricevuto una email che ci ha un po' demoralizzato. È da parte di una vecchia conoscenza di mia moglie quando lavorava per il Corriere della Sera. È di un collaboratore che, più o meno dieci anni fa, si era trasferito, causa colpo di fulmine, in un paesino da fiaba in Maremma. Dice che, malgrado la moglie abbia una piccola casa editrice e il padre un agriturismo, non se la passa tanto bene e vorrebbe fare un salto di qualità e provare cose nuove, che poi non è altro che un modo elegante per dire che non si batte un chiodo. E poi, le spese per i bambini, gli interessi che diventano sempre più impegnativi, i servizi che costano sempre di più e via dicendo.
Ma allora, anche chi ha seguito il sogno della vicinanza con la natura, del vivere lento, di una diversa scelta di vita, non ha risolto un bel niente?
Nel frattempo sto pensando di prendere una licenza di commercio itinerante per vendere i miei quadri nelle sagre di paese, nei mercatini e robe simili.

mercoledì 21 aprile 2010

Io copro te, tu copri me

Una strana vena di follia serpeggia in questa famiglia. Come di un reduce con disturbi comportamentali, un Rambo un po' suonato che, sconsolato e rabbioso, rimpiange il codice d'onore della guerra: "Io copro te e tu copri me". Che pilotava elicotteri e carri armati, era responsabile di attrezzature per milioni di dollari, mentre ora non riesce a trovare lavoro nemmeno come parcheggiatore.
Io ci vedo una certa somiglianza con la mia situazione. Solo qualche mese fa ero art director responsabile della grafica di tre giornali, di manifestazioni ed eventi, progettavo logotipi, e oggi non riesco a trovare uno straccio di lavoro qualunque.
È umiliante, esasperante e mi mette in corpo una rabbia livida. Sento che gli amici, i parenti, non capiscono davvero la profondità della mia frustrazione.
Tutto questo mi ha trasformato in un incosciente, euforico, idiota; felice di essersi liberato dallo stress quotidiano delle chiusure, dalle redattrici ottuse e presuntuose e dai padroni (perché di questo si tratta, dei padroni assoluti di dipendenti e collaboratori, feudatari del lavoro, autorizzati dal sistema a fare e disfare, senza conseguenze, senza controllo, oltre le regole della libertà e della convivenza civile).
È anche uno spaesamento, un sentirsi "diversi" e così essere percepiti dall'esterno. Chi ci conosce ci giudica persone strane: informali, anticonformiste, simpatiche e felici. Ma non abbiamo fatto nulla per apparire in questo modo, anzi, sono giudizi che semmai danno pure fastidio. "Che ho io di diverso rispetto al resto del mondo? Perché pensano che la nostra famiglia sia "strana"?". Ho sempre creduto di rientrare nella media delle persone, ma probabilmente così non è. O forse è il nostro essere, malgrado tutto, serenamente felici quello che non convince il resto del mondo?
Ho cominciato un nuovo quadro; questa volta non lascerò che prenda il sopravvento. Sarò io che deciderò come dovrà essere, fino alla fine.

martedì 20 aprile 2010

Forza Eyjafjallajökull!

Devo dire che in tutta questa storia della nube di cenere dello Eyjafjallajökull (ma perché i Sigur Rós si sono inventati una lingua immaginaria quando l'islandese è già di per sé incomprensibile per il resto del mondo?) io, dicevo, sto dalla parte del vulcano. È nella mia natura parteggiare per i più deboli e, in questo momento, è innegabile che sia la natura ad essere fagocitata dall'uomo.
Poi, perché leggo che, nei pochi giorni in cui gli aeroporti europei sono stati chiusi, oltre sette milioni (7 milioni!) di passeggeri sono rimasti a terra, con oltre 63mila (63.000!) voli cancellati.
Ma dove cazzo va tutta questa gente? Va bene, ci saranno quelli che vanno in vacanza, anche se non sarebbe stupido fare ogni tanto un po' di turismo a chilometri zero; ovvero, perché prendere un aereo e fare cinquemila chilometri per finire in un villaggio turistico uguale a quello che troviamo sotto casa? 
Magari sono quelli che si definiscono ambientalisti, ecologisti, turisti responsabili e intanto riempiono i cieli di kerosene per andare ad ammirare le tartarughine delle Galapagos o, più facilmente, le passerine tailandesi. 
Ma tutti gli altri, che fanno? Dove vanno? Sono tutti uomini che si spostano per affari e riunioni importantassime? 28mila voli giornalieri per trasportare coglioni da un punto all'altro dell'Europa? Non riesco a crederci; ecco perché sto dalla parte del vulcano; le sue povere ceneri inquineranno senz'altro meno di 28mila aerei che ogni giorno ci passano sulla testa. 
A proposito, non dovermi svegliare ogni mattina con il rumore del primo volo da Linate che sorvola la nostra casa, è impagabile, per tutto il resto, c'è Mastercard...
Ma parlando di nubi devo per forza ricordare il romanzo La nube purpurea di Matthew P. Shiel, nel quale una misteriosa nuvola dal delicato profumo di pèsca trasforma il nostro pianeta in un gigantesco museo delle cere. A parte uno, naturalmente.
O la più terribile nube radioattiva di Chernobyl, del 1986 che, grazie all'impossibilità di restare ferma in un posto per più di un'ora di mia moglie, abbiamo affrontato in moto, in una "frizzante" gita verso i laghi lombardi, nel giorno di maggior intensità di ricaduta radioattiva. Per ora, nessun effetto collaterale, ma in fondo sono passati "solo" 24 anni.
Mi viene anche in mente la nube tossica alla diossina che investì Seveso nel 1976. Mio padre era un commesso viaggiatore di tessuti e aveva un cliente proprio a Seveso. Cliente da cui, in seguito, con un po' di titubanza, ho comprato una Honda Goldwing, una moto così pesante e ingombrante che pareva un treno merci.
Capirai se mi spavento per un simpatico vulcano islandese dal nome impronunciabile.
Ho anche finito il primo quadro della serie che ho in mente di terminare prima dell'estate. Si intitola Nirvana. Non è venuto proprio come volevo; diciamo che è al sessanta per cento come avrei voluto io, e al quaranta per cento come ha voluto lui.

lunedì 19 aprile 2010

Storie

Qual è il segreto per un blog di successo? Me lo domando molto spesso e la risposta definitiva mi sfugge sempre. Lo ammetto, scrivere un blog, raccontando la mia Odissea, che spero sia più breve dell'originale, ma con lo stesso lieto fine, pensavo potesse calamitare un buon numero di persone.
Nelle fantasticazioni a occhi aperti, mi illudevo anche, come nei film americani, che potesse addirittura svoltare la mia vita. Che so, un libro, una rubrica in qualche giornale, uno sbocco giornalistico o qualcosa che non riesco nemmeno a immaginare. Ma certe cose accadono solo nei film, per giunta anche un po' stupidi e, naturalmente, americani.
Però ho capito che atteggiarsi a grande affabulatore, all'incazzato che se la prende con la politica, la tv o la cultura è perfettamente inutile. L'italia pullula già di editorialisti, filosofi, allenatori della nazionale e talenti incompresi. Anch'io ricevo svariate newsletter settimanali da sedicenti umoristi che credono di fotografare la cronaca italiana con arguta ironia. Non bastassero i vari Grillo, Travaglio, Serra, Sofri e compagnia. Perché aggiungere un'altra voce a chi il suo mestiere lo sa fare molto meglio di me? Appunto, è perfettamente inutile. E allora? Qual è la formula giusta, cosa vuole leggere chi ti regala cinque o dieci minuti del suo tempo? Storie, mi sono risposto. Perché leggiamo un libro, andiamo al cinema, usciamo con gli amici, frequentiamo parenti? Per sentirci raccontare, e raccontare a nostra volta delle storie. Possibilmente interessanti, magari piccanti o perverse o drammatiche. Cosa c'è di più interessante delle vite altrui?
Per questo racconterò della mia vita, se è questo che volete.

venerdì 16 aprile 2010

Amici di merda

Credo poco negli psicologi, ancor meno negli psichiatri. Non ho mai visto un matto tornare sano.
Se la depressione esiste e non è una delle tante malattie inventate dalle case farmaceutiche, la chiamerei tristezza, o malinconia. E per questa malattia, se così vogliamo chiamarla, basterebbero, o dovrebbero bastare gli amici. Parlare con loro, uscire, ascoltare la musica insieme, sfogare tutto quello che ci fa puzzare l'alito.
Io avevo due amici; ne ho parlato tempo fa, sono il "lungo" e il "corto"; va da sé che io sono il "pacioccone".
Il "corto" aveva una carpenteria metallica, ma ci lavorava poco e male, sempre in antagonismo col padre e il fratello, ancora più scansafatiche di lui. Per questo e per mancanza di lavoro, chiuse la ditta e, grazie al suocero, che gli comprò a fondo perduto la licenza per il taxi, oggi lavora bello tranquillo e incassa moneta sonante tutti i giorni. Non che ci sia niente di male, sono contento che abbia finalmente stabilizzato la sua situazione lavorativa. Più che altro mi infastidisce che non mi degni mai di una telefonata per sapere come me la passo, se la situazione sta migliorando, se sono in difficoltà. Eppure, quando la moglie, esasperata dalla sua infantilità e le mani bucate, se ne andò col capoufficio, io non mi tirai indietro e passai mesi e mesi ad ascoltare i suoi piagnistei, tanto che mio cognato continuava a prendermi per il culo dicendo che il mio amico aveva sicuramente dei gusti "particolari".
L'altro, il "lungo", è completamente succube della moglie: fa solo ciò che lei gli permette ed è un "mammo" perfetto. Lava, stira, prepara da mangiare, porta i figli dal medico, li mette a dormire mentre la moglie parla con le amiche di donne eccezionali o straordinarie. Ha il suo bel posto fisso come programmatore e, se solo ha la sensazione che in giornata potrebbe venirgli mal di testa, preventivamente se ne rimane a casa.
Solo quando la moglie parte per qualche viaggetto "tra sole donne", si attacca disperatamente al telefono perché è patologicamente incapace di rimanere da solo. Ogni volta che andavamo al mare per pasqua o natale, me lo ritrovavo appiccicato, insieme al suo camper, solo lui, perché la moglie era sempre impegnata in qualcosa di molto importante: dall'acquisto del gelato alla pinolata che pare solo lei conosca, alla pizza al pomodoro di quel tal panettiere o le brioches della tal altra pasticceria.
Insieme al "lungo" e il "corto", qualche volta uscivo a cena. Una pizza, una passeggiata, quattro cazzate, sempre le stesse, ma era un modo per pensare ad altro, snebbiare il cervello dai problemi quotidiani. Dei contatti si è sempre occupato il "lungo", perché, trovata una nuova moglie, il "corto" si è sempre ben guardato dal fare anche una semplice telefonata di cortesia; troppo impegnato col taxi, il club della vespa, la scuola di giapponese, gli altri amici eccetera.
L'ultima volta che ho sentito il "lungo" è stato poco prima di natale 2009: ossia quattro mesi fa. Gli avevo detto che il lavoro andava malissimo e che probabilmente da gennaio mi sarei trovato disoccupato e con la famiglia sulle spalle. Insomma, quello che poi è accaduto realmente, anche se allora non ne avevo fatto un dramma, pensando che avrei risolto la situazione più facilmente. Da allora non ho più sentito nessuno: né il "lungo", né il "corto".
Perché non li chiamo io? Innanzitutto perché quello che ha dei problemi seri sono io, poi perché il "corto", quando guida il taxi ti sbologna via come se stesse pilotando lo shuttle e io non ho nessuna voglia di essere liquidato ancora e poi perché, come diceva Totò: "voglio proprio vedere dove vogliono arrivare".

giovedì 15 aprile 2010

Basta la salute

A volte ho come l'impressione che la situazione mi stia sfuggendo di mano, che la vita mi stia sfuggendo di mano.
Il lavoro che non c'è, la scuola di mia figlia, nella quale il pargoletto di un delinquente si permette di fare tutto ciò che gli passa per la testa perché il preside, dopo le minacce subite, ne teme il padre, l'altro mio figlio che pare dissociato; per lui a scuola va tutto bene, ma poi in pagella compaiono insufficienze inaspettate come un parente a pranzo.
Il mondo che va come va, e mi fa rimpiangere quelli che, per definizione, furono gli anni di piombo, gli anni bui, quasi fossero stati l'ennesimo medioevo ma che, invece, furono anche anni di solidarietà sociale, di partecipazione politica, di creatività, di giustizia, di minuscole rivoluzioni e anche di allegria.
"Basta la salute", si diceva una volta, e invece no, la salute da sola non basta. Serve anche la libertà, la dignità di mantenere la propria famiglia, di ottenere servizi efficienti, o almeno proporzionati alle tasse di chi, come me, ha sempre pagato fino all'ultimo centesimo (forse, se non fossi stato così onesto, oggi non mi troverei in questa situazione), serve una scuola che funzioni, con insegnanti volenterosi e una mensa decente. Serve anche la possibilità di coltivare le proprie inclinazioni naturali, i propri interessi, la cultura per noi stessi e i nostri figli.
No, non basta più solo la salute. Quella ce l'hanno anche le bestie, per noi occorre qualcosa d'altro, qualcosa che ci permetta di definirci uomini: libertà, dignità, servizi, cultura.
Ma oggi il mondo mi concede solo un po' di salute. Mica tanta, quella che basta per tirare avanti con molta fatica.

mercoledì 14 aprile 2010

Lungimiranza

E vai con l'arte! Sono veramente preso, finalmente faccio qualcosa che mi soddisfa davvero, anche se inutilmente. In questo mondo fatto di "giri" di caste, di conoscenze e raccomandazioni, chi mai potrebbe prendere in considerazione un cane sciolto, senza pigmalioni, che non si tromba nessuna gallerista e che non lecca il culo in modo indegno, come ho visto fare a un mio ex compagno di liceo verso l'ormai schiattato Oreste del Buono.
Sarà stato una quindicina di anni fa, alla libreria Feltrinelli di via Manzoni a Milano. Entrato per curiosare, incontro questo ex compagno che aveva frequentato il Dams di Bologna e ora si trovava a Milano per una presentazione di non so cosa, con la cura di del Buono. Ci salutiamo, e lui segna il mio numero di telefono su un improbabile orologio-calcolatrice-rubrica. All'improvviso, entra in fibrillazione appena gli si avvicina un ometto piccolino, con degli occhiali dalla montatura nera e spessa e una specie di coppola di tweed in testa. A prima vista sembrava un impiegatino della fiat, invece, dalle parole e i modi ossequiosi del mio amico, scopro trattarsi di Oreste del Buono.
"Certo signor del Buono, provvedo subito, lei cosa ne pensa signor del Buono? Così può andare?".
"Ma guarda un po' che leccaculo", ho pensato. A scuola faceva quello esistenzialista e impegnato: la politica, la musica d'avanguardia, Woody Guthrie, Woodstock, i canti di lotta dei lavoratori italiani, gli Inti Illimani, e adesso è qui a scodinzolare dietro a questo ometto presuntuoso e molto serio.
Poi ho capito che tutta questa cortina fumogena non serviva ad altro che incantare i professori e abbindolare quelle compagne che, seppur brutte come la peste, erano tutte di buona famiglia. Che mirabolante piano! Che calcolo lungimirante! Io, che al liceo pensavo solo a divertirmi, pomiciare e cose così; e lui che già costruiva la sua rete, abbindolando professori e compagni, fingendosi ciò che non era.
A parte questo, il telefono è così caparbiamente silenzioso che, le rare volte in cui suona, quasi mi spaventa.

lunedì 12 aprile 2010

Sveglia!

Vado sempre più convincendomi che la mia vita lavorativa fino a oggi sia stata un inaspettato regalo, una falla nel sistema, il sogno di uno sguattero, l'avventura di Gasperino il carbonaro nel Marchese del Grillo che, l'ipocrisia della nobiltà, ha accettato nella sua rozzezza, solo perché lo credeva uno di loro.
Non perché non sappia fare il mio lavoro, direi anzi immodestamente, che sono un buon artigiano. E anche di gavetta ne ho fatta tanta: aiuto fotografo, addetto alla camera oscura, disegnatore tecnico, grafico esecutivista, illustratore, grafico editoriale, art director. Sembrerebbe un giusto curriculum, tutte le tappe fondamentali per costruire l'esperienza necessaria. Solo una cosa manca: essere nati dai genitori giusti, frequentare gli ambienti giusti, far parte di una certa classe sociale. Questo è il solo modo per spiccare il grande salto dall'ultimo scalino e librarsi nei cieli dominati dai grandi predatori.
Io sono nato da un'impiegata e un commesso viaggiatore; i nonni materni erano calzolai e quello paterno trafficava sul confine italo-svizzero. Non sono queste le credenziali migliori per fare strada. Ecco perché il sistema mi ha concesso fino a un certo punto, ecco perché le mie illusioni ora sono irrimediabilmente a pezzi come il vaso della nonna caduto dalla credenza.
Ogni sistema è per definizione imperfetto: e io sono il difetto, la rotellina che piano piano, un poco alla volta, si è illusa di diventare un ingranaggio importante, senza capire che era solo un pezzo di scarto, un inutile sfriso caduto nella cassa dell'orologio senza che l'orologiaio se ne accorgesse.
Ora però è arrivato il conto, ora è giunto il momento che ognuno torni al suo posto. Chi si crede di essere questo figlio d'un commesso viaggiatore? Dove credeva di arrivare? Qui non siamo negli Stati Uniti d'America, siamo in Italia, paese in cui non conta essere bravi, professionali, onesti, ma in cui conta chi ti raccomanda, quali conoscenze può smuovere la tua famiglia, quali amici importanti puoi vantare. Tutte cose che io non posso annoverare nel mio curriculum, perciò, ci scusi tanto signor art director dei calzolai, ma è stato un errore di sistema, è ora di svegliarsi e di prendere il posto che le compete per rango e censo, quello dello schiavo.

sabato 10 aprile 2010

Voglio risalire sulla giostra

Mi sembra una di quelle comiche mute, nelle quali cerco di salire sull'autobus o sulla metropolitana e, quelli che stanno dentro, mi respingono a calci e spinte. Allora provo con il prossimo che arriva, ma il risultato non cambia: chi è a bordo non vuol far salire nessuno e chi cerca di trovare un posticino viene respinto a calci.
Oppure come nella tragedia del Titanic, quando i disgraziati che annaspavano in acqua, cercavano scampo in qualche scialuppa semivuota, ma venivano presi a remate e ributtati in mare.
È una grande giostra impazzita e senza manovratore che accelera sempre di più. Così veloce che quelli all'esterno vengono sbalzati via dalla forza centrifuga. Solo quelli più vicini al centro sembrano divertirsi. Per noi che siamo sempre stati ai margini e, come uno spermatozoo ormai svuotato da ogni energia, non siamo mai riusciti a perforare la membrana del familismo, della raccomandazione e della casta, è inutile resistere; aggrappati disperatamente al nostro piccolo palo della cuccagna, con i muscoli che sembrano schizzare fuori dalla pelle, le gambe sollevate da terra che svolazzano già fuori dalla giostra, schizziamo via come un segnavento in un tornado.
Risalire in corsa senza una mano che ti afferri è perfettamente inutile, se non altro perché, invece di una mano amica, riceveremo regolarmente un calcio in faccia.

venerdì 9 aprile 2010

Chi ha ragione perde sempre

Eccomi di ritorno dall'incontro con il legale dell'ordine dei giornalisti. Se ben ricordo, il quinto che ho interpellato per la faccenda delle gabbie grafiche del mafioso pelato.
Allora, prendete nota: siete un grafico e ideate una rivista, un catalogo o roba simile; di punto in bianco il cliente vi liquida senza pietà, chiedendovi inoltre le gabbie grafiche per farsi le modifiche da solo o passare il lavoro a qualcun altro. Naturalmente non avete firmato nessun contratto nel quale è esplicitamente scritto che cedete i diritti d'autore sulle vostre creazioni. Dite al cliente che, per ottenere le gabbie grafiche e quindi la cessione da parte vostra del diritto d'autore, deve pagare. Lui dice che sono tutte stronzate, che il lavoro l'ha pagato e quindi è di sua proprietà. Tutte balle, voi avete ragione e lui torto marcio.
Ma c'è un ma. Primo ma: dovete essere in grado di dimostrare che lui ha usato, malgrado l'abbiate diffidato, le vostre gabbie reperite magari dallo stampatore.
Secondo ma. Dovete dimostrare che quelle sono effettivamente le vostre gabbie grafiche.
Terzo ma. Se malgrado la diffida, il cliente continua a usare le vostre gabbie e siete in grado di dimostrarne la paternità, potete denunciarlo, ma se avete ancora dei crediti da riscuotere potete anche scordarveli fino alla fine dell'eventuale processo, quindi per almeno quattro o cinque anni.
Morale: la legge c'è, e dice che le vostre fatture dovrebbero essere saldate entro trenta giorni (come da direttive della comunità europea), il diritto d'autore esiste ed è indubbiamente dalla vostra parte. Ma sono solo belle parole, chiacchere e distintivo, perché, alla resa dei conti, o in pratica, vince sempre chi fotte la legge, chi ha il grano per gli avvocati e le spalle larghe, chi agisce da meschino truffatore perché sa che può permetterselo.
Altro che la legge uguale per tutti; la legge è di chi ha i soldi, di chi fa il furbo, di chi è moralmente marcio, di chi ha torto ma conosce i sotterfugi per aggirarla.
Chi è onesto perde sempre.
Insomma, anche oggi è stato un mezzo buco nell'acqua. Io che credevo di poter fare un culo quadrato al cliente, sono quello che alla fine l'ha presa in saccoccia, malgrado la ragione sia dalla mia parte.
Che farò? Cercherò di incassare le ultime fatture (e già so che sarà un'impresa erculea) e poi, se riuscirò a raccogliere materiale sufficiente, tenterò una causa con il patrocinio dell'ordine dei giornalisti che, troppa grazia, almeno sarà gratis.
O forse sarebbe ancora meglio dimenticare il mafioso pelato, la sua meschinità, la sua presunzione, la sua arroganza e il suo rancore, per voltare pagina, guardare avanti, ricostruire una vita.
Già, ma che vita? Con le prospettive attuali, il futuro prossimo mi appare così nero che più nero non si può.

giovedì 8 aprile 2010

Pare una fotografia

Su L'espresso del 13 marzo 2010 vedo un articolo intitolato: Vi saluto e cambio vita.
"Cazzarola!", mi dico, "Proprio quello che sta succedendo a me!".
Veramente questo desiderio di mollare tutto e cambiare vita l'avevo già sperimentato intorno ai trent'anni; il lavoro andava maluccio anche allora, il matrimonio così, così, mio padre morto a cinquantanove anni. Insomma, ero praticamente pronto per rifarmi una vita da qualche altra parte. C'erano allora, e credo ancora oggi, agenzie specializzate in questo genere di cose. Si occupavano di tutto: trovare alternative di lavoro in luoghi più o meno esotici, organizzare documenti, licenze, permessi e cose del genere. L'unico neo di tutta l'operazione era che, per cambiare vita senza fare il barbone in qualche lurido buco chissà dove, servivano almeno cinquecento milioni delle vecchie lire. Quindi tutte le mie divagazioni esistenzial-intellettuali se ne andarono al diavolo e mi arrabattai a continuare la vita che avevo condotto fino ad allora.
Però nell'articolo de L'espresso non si parla di questo genere di cambiamento, né di agenzie, sembra proprio qualcosa di più esistenziale, una soluzione all'insofferenza, all'ansia verso questo modo di vivere in cui non mi riconosco più. Comincio a leggere l'occhiello: Sono sempre di più le persone che entrano in crisi e decidono di dare una svolta alla loro esistenza. Per esplorare interessi e orizzonti nuovi. Alla ricerca della vera felicità e soprattutto di se stessi. Minchia! Ci siamo, è proprio il mio caso, calza tutto a pennello: nuovi interessi, vecchie aspirazioni eccetera. Vado avanti a leggere, ma dopo qualche paragrafo, mi cadono i coglioni.
I casi presentati sono sempre i soliti: l'ex ballerino, il direttore di comunicazione aziendale, l'ex campione di tennis, la business woman della city londinese, il pierre che, finalmente, possono dedicarsi alle loro passioni di sempre: arte, psicologia o l'insegnamento in un villaggio del Senegal.
Quello che manca totalmente, sono le istruzioni, il libretto d'uso, il come si fa. Che mi frega che la business woman abbia mollato tutto per aprire una scuola di yoga a Firenze? So già come ha fatto: avrà ritirato la sua liquidazione milionaria, o venduto profumatamente l'azienda e, con i pochi milioni di euro del ricavato, si sarà comprata casa, scuola, arredamento e piantine da mettere sul davanzale. E non credo che il discorso sia diverso per il pierre, l'ex campione di tennis o il direttore comunicazione.
Quello che davvero mi interessa e che articoli di questo tipo non potranno mai dirmi, è come posso fare io a cambiare vita? Io che sono disoccupato, che non ho il gruzzolo da parte, o la cascina ereditata dal nonno, o la moglie ricca sfondata. Come lo metto insieme un eventuale capitale per una nuova attività? Chi me li da i soldi per vivere mentre io, nel frattempo, comincio una nuova vita, per esempio, d'artista? Come hanno vissuto queste persone mentre costruivano i loro sogni?
Mia nonna diceva che i soldi fanno i soldi, ma con niente non ci fai niente.
Cosa potrei fare io? Al massimo vendermi la casa, comprare un camper, una bella licenza da ambulante e girare le località balneari vendendo collanine di plastica e quadri che nessuno capisce.
Già, avete mai fatto caso ai commenti di fronte alle vetrine dei corniciai o nei mercatini? "Ma che bello! Pare una fotografia! - oppure - Guarda che tramonto, sembra vero!". Poi quando si trovano davanti a qualcosa di più complesso di un pagliaccio triste, o dei bambini con la lacrimuccia, dicono: "Capirai che roba! Sembra un disegno dei ragazzini delle elementari, anzi, mio figlio è più bravo!".

mercoledì 7 aprile 2010

Sbattimenti

Che noia aspettare i soliti pagamenti a sessanta-giorni-fine-mese che non arrivano mai prima del dieci di quello successivo. Se penso che questo balletto durerà ancora fino ai primi di giugno mi viene da vomitare. Aspetto con ansia venerdì mattina per sapere cosa mi dirà l'avvocato dell'ordine. Se sarà l'ennesimo due di picche dovrò proprio mettermi il cuore in pace e forse è meglio così.
Ormai sono preso dall'arte. Le idee sembrano buone, ma tutto sta nel vedere se anche la mano è quella di una volta. Ora sono al disegno su tela, che è la parte più facile, domani comincerò a dipingere. Inizierò usando gli acrilici che, se diluiti con acqua, asciugano in fretta, così il lavoro procederà spedito. Almeno se sbaglio non avrò perso settimane di mano tremolante e occhi appannati.
A che pro poi sbattersi in questo modo, non lo so nemmeno io.

martedì 6 aprile 2010

La sindrome di Betty Blue

A volte ho il dubbio che mia moglie soffra della sindrome di Betty Blue.
Nel film francese del 1986, Betty si innamora di un ragazzo che conduce una vita piuttosto squallida, ma in fondo per lui soddisfacente. Durante il giorno si occupa, come factotum, della manutenzione di un villaggio balneare e, nel tempo libero, si dedica con passione alla scrittura.
Betty trova che gli scritti del suo ragazzo siano bellissimi e quindi cerca in tutti i modi un editore che li pubblichi. Com'è logico, non sarà un'impresa molto semplice, così Betty sprofonderà poco per volta in una disperazione sempre più profonda.
Ora lasciamo perdere la seconda parte del film, ma, nell'atteggiamento di mia moglie verso ciò che faccio, vedo una passione, una stima e forse anche un'ammirazione che mi lascia interdetto.
I casi sono tre: il primo è che mi prenda per il culo, ma lo scarto a priori perché sarebbe anche poco riguardoso nei suoi confronti. Il secondo, lascerebbe intendere che sono effettivamente bravo ma che non nutro la minima fiducia o stima nei confronti di me stesso e quindi vengo assalito da dubbi idioti. Nel terzo caso, potrebbe prospettarsi la sindrome di Betty Blue, ovvero mia moglie mi ama così tanto da pensare che qualunque cosa io faccia, pensi o dica sia geniale o, quanto meno, di gran valore artistico.
L'unica soluzione è aspettare. Se comincerà a perdere il controllo troppo spesso, o si dipingerà la faccia in modo strano, significa che dovrò cominciare a preoccuparmi.

venerdì 2 aprile 2010

Paura

Ho passato tutta la giornata a raccogliere il materiale per l'avvocato dell'ordine dei giornalisti. Fatture vecchie di dieci anni, mail di questo romanzo dell'assurdo, visure, bozze di contratti. Non riesco a non incazzarmi a ogni mail che leggo. Mi fischiano le orecchie, si chiama acufene, ma secondo me è la pressione che sale alle stelle, come quei giochi da baraccone che si vedono nei cartoni animati, nei quali, con un enorme martellone, bisogna far schizzare in alto un piripillo, fino a far suonare la campana che si trova in cima a un palo. Di solito Paperino ci riesce quando è al culmine della rabbia, con gli occhi iniettati di sangue e il fumo che fischia dalle orecchie con un rumore da sirena di rimorchiatore. Solo che nel mio caso la campana è la mia testa, e il martello le mail del mafioso pelato che mi è toccato rileggere.
Mi rimane la consolazione che, chi andrà al mare durante questa pasqua, si prenderà secchiate d'acqua, anche se oggi splende un gran sole.
Eppure mi sembra impossibile che nessuno risponda alle duemila e passa mail promozionali che ho spedito durante questi mesi. Impossibile e assurdo come il teatro giapponese.
Ho paura. Paura di non saper fare altro che quello che ho fatto per tutta la vita. Paura di dovermi inventare qualcosa che non riesco nemmeno a immaginare per mantenere la mia famiglia.
Anni fa, mio cognato che, stranamente, era anche il mio migliore amico, disse che se il suo lavoro fosse andato a scatafascio, avrebbe cominciato a rapinare le banche. Per sua fortuna, è morto prima che potesse accadere una cosa del genere.
Adesso capisco quei rapinatori che schiattano d'infarto durante il "lavoro", si vede che non sono del mestiere, poveri disperati che non sanno come tirare avanti.

giovedì 1 aprile 2010

Tran tran

Ogni mattina mi alzo alle sette e mezza, faccio colazione, mi vesto e accendo il computer.
Controllo la posta che, a eccezione dei soliti messaggi per allungare l'uccello, non riserva alcuna novità. Niente dagli amici?!, Niente da potenziali clienti.
L'agenda settimanale sulla scrivania è completamente bianca. Non un appuntamento, nessuna scadenza. Il telefono è muto da settimane.
Mi sento come quei poveri vecchi soli o, tutt'al più in compagnia di un cane altrettanto decrepito, grasso e malato, che schiantano davanti alla televisione o seduti sul cesso e li trovano dopo qualche settimana perché la puzza è diventata insopportabile e, qualcuno nel condominio, si ricorda di quel vecchio rudere che vive da solo.
Mi ripeto che tutto questo è positivo: è l'occasione per costruire una nuova vita, ma non faccio che darmi dello stronzo per aver mandato affanculo il mafioso pelato.
Anche l'avvocato, così prodigo di consigli strampalati, si è volatilizzato. Mi sono rivolto a quello dell'ordine dei giornalisti, dice che ho ragione, ma che bisogna controllare bene tutta la documentazione.
Giuro però che questo è l'ultimo tentativo, non posso continuare a vivere in funzione di questa storia. Mi sta facendo impazzire.