giovedì 8 aprile 2010

Pare una fotografia

Su L'espresso del 13 marzo 2010 vedo un articolo intitolato: Vi saluto e cambio vita.
"Cazzarola!", mi dico, "Proprio quello che sta succedendo a me!".
Veramente questo desiderio di mollare tutto e cambiare vita l'avevo già sperimentato intorno ai trent'anni; il lavoro andava maluccio anche allora, il matrimonio così, così, mio padre morto a cinquantanove anni. Insomma, ero praticamente pronto per rifarmi una vita da qualche altra parte. C'erano allora, e credo ancora oggi, agenzie specializzate in questo genere di cose. Si occupavano di tutto: trovare alternative di lavoro in luoghi più o meno esotici, organizzare documenti, licenze, permessi e cose del genere. L'unico neo di tutta l'operazione era che, per cambiare vita senza fare il barbone in qualche lurido buco chissà dove, servivano almeno cinquecento milioni delle vecchie lire. Quindi tutte le mie divagazioni esistenzial-intellettuali se ne andarono al diavolo e mi arrabattai a continuare la vita che avevo condotto fino ad allora.
Però nell'articolo de L'espresso non si parla di questo genere di cambiamento, né di agenzie, sembra proprio qualcosa di più esistenziale, una soluzione all'insofferenza, all'ansia verso questo modo di vivere in cui non mi riconosco più. Comincio a leggere l'occhiello: Sono sempre di più le persone che entrano in crisi e decidono di dare una svolta alla loro esistenza. Per esplorare interessi e orizzonti nuovi. Alla ricerca della vera felicità e soprattutto di se stessi. Minchia! Ci siamo, è proprio il mio caso, calza tutto a pennello: nuovi interessi, vecchie aspirazioni eccetera. Vado avanti a leggere, ma dopo qualche paragrafo, mi cadono i coglioni.
I casi presentati sono sempre i soliti: l'ex ballerino, il direttore di comunicazione aziendale, l'ex campione di tennis, la business woman della city londinese, il pierre che, finalmente, possono dedicarsi alle loro passioni di sempre: arte, psicologia o l'insegnamento in un villaggio del Senegal.
Quello che manca totalmente, sono le istruzioni, il libretto d'uso, il come si fa. Che mi frega che la business woman abbia mollato tutto per aprire una scuola di yoga a Firenze? So già come ha fatto: avrà ritirato la sua liquidazione milionaria, o venduto profumatamente l'azienda e, con i pochi milioni di euro del ricavato, si sarà comprata casa, scuola, arredamento e piantine da mettere sul davanzale. E non credo che il discorso sia diverso per il pierre, l'ex campione di tennis o il direttore comunicazione.
Quello che davvero mi interessa e che articoli di questo tipo non potranno mai dirmi, è come posso fare io a cambiare vita? Io che sono disoccupato, che non ho il gruzzolo da parte, o la cascina ereditata dal nonno, o la moglie ricca sfondata. Come lo metto insieme un eventuale capitale per una nuova attività? Chi me li da i soldi per vivere mentre io, nel frattempo, comincio una nuova vita, per esempio, d'artista? Come hanno vissuto queste persone mentre costruivano i loro sogni?
Mia nonna diceva che i soldi fanno i soldi, ma con niente non ci fai niente.
Cosa potrei fare io? Al massimo vendermi la casa, comprare un camper, una bella licenza da ambulante e girare le località balneari vendendo collanine di plastica e quadri che nessuno capisce.
Già, avete mai fatto caso ai commenti di fronte alle vetrine dei corniciai o nei mercatini? "Ma che bello! Pare una fotografia! - oppure - Guarda che tramonto, sembra vero!". Poi quando si trovano davanti a qualcosa di più complesso di un pagliaccio triste, o dei bambini con la lacrimuccia, dicono: "Capirai che roba! Sembra un disegno dei ragazzini delle elementari, anzi, mio figlio è più bravo!".

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