venerdì 16 aprile 2010

Amici di merda

Credo poco negli psicologi, ancor meno negli psichiatri. Non ho mai visto un matto tornare sano.
Se la depressione esiste e non è una delle tante malattie inventate dalle case farmaceutiche, la chiamerei tristezza, o malinconia. E per questa malattia, se così vogliamo chiamarla, basterebbero, o dovrebbero bastare gli amici. Parlare con loro, uscire, ascoltare la musica insieme, sfogare tutto quello che ci fa puzzare l'alito.
Io avevo due amici; ne ho parlato tempo fa, sono il "lungo" e il "corto"; va da sé che io sono il "pacioccone".
Il "corto" aveva una carpenteria metallica, ma ci lavorava poco e male, sempre in antagonismo col padre e il fratello, ancora più scansafatiche di lui. Per questo e per mancanza di lavoro, chiuse la ditta e, grazie al suocero, che gli comprò a fondo perduto la licenza per il taxi, oggi lavora bello tranquillo e incassa moneta sonante tutti i giorni. Non che ci sia niente di male, sono contento che abbia finalmente stabilizzato la sua situazione lavorativa. Più che altro mi infastidisce che non mi degni mai di una telefonata per sapere come me la passo, se la situazione sta migliorando, se sono in difficoltà. Eppure, quando la moglie, esasperata dalla sua infantilità e le mani bucate, se ne andò col capoufficio, io non mi tirai indietro e passai mesi e mesi ad ascoltare i suoi piagnistei, tanto che mio cognato continuava a prendermi per il culo dicendo che il mio amico aveva sicuramente dei gusti "particolari".
L'altro, il "lungo", è completamente succube della moglie: fa solo ciò che lei gli permette ed è un "mammo" perfetto. Lava, stira, prepara da mangiare, porta i figli dal medico, li mette a dormire mentre la moglie parla con le amiche di donne eccezionali o straordinarie. Ha il suo bel posto fisso come programmatore e, se solo ha la sensazione che in giornata potrebbe venirgli mal di testa, preventivamente se ne rimane a casa.
Solo quando la moglie parte per qualche viaggetto "tra sole donne", si attacca disperatamente al telefono perché è patologicamente incapace di rimanere da solo. Ogni volta che andavamo al mare per pasqua o natale, me lo ritrovavo appiccicato, insieme al suo camper, solo lui, perché la moglie era sempre impegnata in qualcosa di molto importante: dall'acquisto del gelato alla pinolata che pare solo lei conosca, alla pizza al pomodoro di quel tal panettiere o le brioches della tal altra pasticceria.
Insieme al "lungo" e il "corto", qualche volta uscivo a cena. Una pizza, una passeggiata, quattro cazzate, sempre le stesse, ma era un modo per pensare ad altro, snebbiare il cervello dai problemi quotidiani. Dei contatti si è sempre occupato il "lungo", perché, trovata una nuova moglie, il "corto" si è sempre ben guardato dal fare anche una semplice telefonata di cortesia; troppo impegnato col taxi, il club della vespa, la scuola di giapponese, gli altri amici eccetera.
L'ultima volta che ho sentito il "lungo" è stato poco prima di natale 2009: ossia quattro mesi fa. Gli avevo detto che il lavoro andava malissimo e che probabilmente da gennaio mi sarei trovato disoccupato e con la famiglia sulle spalle. Insomma, quello che poi è accaduto realmente, anche se allora non ne avevo fatto un dramma, pensando che avrei risolto la situazione più facilmente. Da allora non ho più sentito nessuno: né il "lungo", né il "corto".
Perché non li chiamo io? Innanzitutto perché quello che ha dei problemi seri sono io, poi perché il "corto", quando guida il taxi ti sbologna via come se stesse pilotando lo shuttle e io non ho nessuna voglia di essere liquidato ancora e poi perché, come diceva Totò: "voglio proprio vedere dove vogliono arrivare".

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