venerdì 26 febbraio 2010

La notizia buona e quella cattiva

La cattiva notizia è che le mail autopromozionali spedite hanno superato quota 1964, naturalmente sempre con le medesime percentuali di risposta.
La buona è che il cazzaro di Brescia, dovrebbe passarci un lavoretto di impaginazione.
Ho applicato la nuova strategia di marketing; cioè, sarà lui stesso a stabilire il prezzo. Dovrebbe mandarmi il tutto via mail. Sono proprio curioso di sapere quale sarà la sua proposta.

giovedì 25 febbraio 2010

Il prezzo lo fate voi!

Si dice in giro che, per lavorare, bisogna abbassare i prezzi. Chi l'ha fatto, pare se la passi discretamente bene, anzi, lavora a pieno ritmo, festivi compresi.
Che si tratti della solita leggenda metropolitana? Nessuno conosce personalmente questi stakanovisti della grafica, sono sempre amici di amici, o conoscenti alla lontana. Insomma è tutto un "sentito dire", ma niente di concreto. Eppure giornali, depliant e compagnia bella, qualcuno dovrà pur farli, E in giro ce ne sono pure parecchi.
Forse sono io a non aver capito niente. Credevo che qualità e creatività fossero un fattore discriminante, e mi avrebbero posto in una posizione vantaggiosa rispetto ai tanti improvvisati che hanno distrutto questo settore. Invece è tutto il contrario.
Però c'è qualcosa che non mi convince. Per fare questo mestiere occorre una dose di esperienza non indifferente, per non parlare della creatività. Elementi che necessitano di diversi anni per raggiungere la piena maturità. Perché allora sprecare tutto questo tempo e fatica per guadagnare meno di un elettricista, un idraulico o un trasportatore? Che strategia può esserci nel lavorare otto, dieci ore al giorno per portare a casa meno di cento euro lordi?
Comunque i numeri parlano chiaro: se oltre millequattrocento mail non hanno sortito alcun risultato, ci dev'essere qualcos'altro. Infatti non parlo di prezzi o costi orari, ma mi propongo semplicemente come un professionista esperto, con un buon sito e lavori di qualità.
Non avendo niente da perdere, voglio sperimentare qualcosa di nuovo e proporre promozioni degne di un hard discount. La mia idea è molto semplice: offerte speciali, 3x2 e sconti. Cose come per esempio: "A tutti i nuovi clienti sconto speciale del 50% sul primo lavoro commissionato", oppure "Prova la nostra qualità, e il prezzo lo fai tu!", o "Settimana del logo: solo per questa settimana, due logotipi al prezzo di uno!".
Sembra una cazzata, ma se contiamo così poco, tanto vale adottare la strategia di marketing dei formaggini.

mercoledì 24 febbraio 2010

Meglio una zoccola!

Che giornata melensa; ne ho fin sopra i capelli degli ultimi lavori del mafioso pelato.
Se penso che me li ha fatti pure passare come un favore, quando invece è lui che deve soddisfare i suoi miseri traffici levantini, mi monta una rabbia che rischia di farmi esplodere le vene del collo.
Ho bisogno di tempo per pensare a una mia strategia promozionale, tempo per realizzarla, per testarla, e tempo perché comincino ad arrivare i primi risultati. Invece sono qui a correggere bozze su bozze per creativi capricciosi e insolenti che, solo perché hanno speso due lire per un redazionale, pretendono sia impaginato secondo le loro direttive.
Ho sempre detto che un'amante, per quanto zoccola possa essere, non sarebbe mai esasperante, meschina, presuntuosa e vanitosa come l'ultimo dei creativi.
E mi viene da pensare: Se dobbiamo essere sempre più bravi, sempre più creativi, sempre più innovativi e imprevedibili, per quando ancora lo potremo essere? Qual è il limite? Quanto possiamo ancora pretendere da noi stessi prima di impazzire?

martedì 23 febbraio 2010

Do ut des

Ormai è passata più di una settimana da quando ho rifiutato di consegnare i file grafici sorgenti al mafioso pelato. E devo dire che riesce sempre a sorprendermi.
Immaginavo si sarebbe incazzato come un pazzo (e sicuramente sarà successo), ma pensavo anche che un qualche tipo di risposta sarebbe arrivata. Invece niente, silenzio assoluto.
In parte sono soddisfatto: significa che non cedere i file era un mio diritto. Però credevo che avrebbe cercato di contrattare la cosa. Si vede che non ho considerato quanto deve essere profondo l'odio del pelato nei miei confronti. Pur di non darmi un euro, avrà costretto i miei sostituti a fare i salti mortali e, in fondo, me lo sarei dovuto aspettare.
Adesso però mi sento spiazzato: ho ancora due lavori molto importanti (per lui) da consegnare, ma anche un bel po' di soldi da incassare. L'intenzione sarebbe di proporre un do ut des. Cioè, scambiare la chiusura in tipografia con i soldi che devo incassare. Ho chiesto consiglio al quarto avvocato, ma non ha ancora risposto. Se solo qualcuno leggesse questo schifo di blog, potrebbe consigliarmi ma, a quanto pare, i miei argomenti non devono essere molto interessanti.

lunedì 22 febbraio 2010

Cicala o formica?

Forse ho sbagliato qualcosa nell'educazione dei miei figli. Forse ho peccato di ottimismo.
Ho sempre pensato: "Che cazzo! Finché sarà possibile, togliamoci qualche soddisfazione e, quando non potremo più farlo, pazienza, vorrà dire che ci adatteremo".
Così, a natale, i regali sono sempre stati abbondanti per tutti; in vacanza, andare al ristorante non è mai stato un problema e, qualche regalino fuori programma ai bambini, era un piacere che mi concedevo spesso.
Non mi pento di averlo fatto, e non penso che tutto questo abbia viziato i miei figli, perché non è vero. Sono sempre stati meravigliosi, a prescindere da ciò che ricevevano o ciò che facevamo.
I nostri rapporti sono indescrivibili e non cambierei per niente al mondo il piacere di far ridere con qualche battuta divertente il più grande, oppure di tenere accoccolata accanto a me nel lettone la più piccola prima che si prepari per andare a scuola.
Mi domando invece se fosse stato meglio abituarli alle privazioni a cui, se la situazione non cambierà, dovranno abituarsi.
Non immaginavo proprio che il momento di doversi adattare sarebbe arrivato davvero. E poi, questo "godiamocela" non era nemmeno chissà cosa: un paio di settimane in Liguria a natale e pasqua, un mese in appartamento nelle Marche in agosto, qualche regalo ai bambini, qualche libro, film e cd, e qualche euro in più per la spesa.
In vent'anni abbiamo cambiato solo due automobili. La prima era una Nissan Micra e, quando non è più bastata per tutta la famiglia, dopo tredici anni di servizio, è stata sostituita da una Renault Mégane.
Niente di che, insomma. Ci siamo sempre saputi accontentare, felici di ciò che abbiamo guadagnato col nostro lavoro, pagando fino all'ultimo centesimo di tasse.
Ora siamo entrati nell'ordine di idee che finiremo col fare qualunque mestiere (ho sempre avuto il debole del portiere di notte), ma il problema è che nessuno assumerà mai un quasi cinquantenne ciccione e iperteso.

venerdì 19 febbraio 2010

Ripartire. Ma come?

Ieri ho fatto una lunga chiacchierata con un, diciamo, collega. Grafico come me (perché ormai ci vergogniamo pure a chiamarci art director), più o meno coetaneo, conosciuto attraverso il social network dell’ex liceo, anche lui in cattive acque. Si salva perché insegna qualche ora alla settimana non so dove, e gli è rimasto qualche brandello di cliente. Si diletta di marketing e altre cose che non riesco a farmi entrare in testa e, proprio per questo, è rimasto piuttosto colpito dalle mie milletrecento mail autopromozionali senza risposta. Concorda con me che, solo qualche anno fa, di mail ne bastavano una cinquantina per avviare almeno un paio di collaborazioni. Questo, abbiamo concluso, significa che, crisi o non crisi, lo strumento email ha perso gran parte della sua efficacia. Inutile creare intestazioni come headline, o curare i contenuti interni come fossero veri e propri saggi di advertising pubblicitario. Probabilmente il problema sta nel fatto che l’utenza si è affinata e le mail vengono direttamente cestinate. Secondo lui, il problema è che non dovremmo essere noi a rincorrere il cliente, situazione che ci pone a priori in inferiorità, ma far sì che sia il cliente a cercare l’agenzia o il grafico.
Già, ma come? Le associazioni di categoria ormai non tutelano, non incentivano, insomma non fanno assolutamente nulla se non intascare laute quote di iscrizione per vendere il loro logo. Però, forse, è anche colpa nostra. Negli ultimi anni si è verificata una corsa al ribasso che ci ha privato di autorità, professionalità e competitività. Per quanto ci sforzassimo di mantenere un giusto ed equo margine, c’era sempre qualcuno disposto a ridurre il proprio pur di soffiarci il cliente.
Quella che, negli anni ottanta del secolo scorso, era una figura carismatica, ambita, prestigiosa, si è trasformata in un soggetto da sfruttare senza ritegno; da utilizzare come mero ammortizzatore fra le esigenze di clienti sempre più arroganti e presuntuosi e tempistiche di stampatori sempre più inviperiti e ostili. Il grafico si riduce così a un cottimista che deve mettere insieme esigenze non sue e farle collimare con un minimo di creatività, considerata tra l’altro, un’appendice inutile.
Basta leggere qualsiasi annuncio. Innanzitutto è richiesta la perfetta conoscenza della famigerata suite CS di Adobe (dico famigerata perché comprende, oltre a eccellenti programmi come Photoshop, anche delle emerite bufale: vedi Indesign), ma non solo, è richiesta inoltre la padronanza di QuarkXPress, del web design e delle programmazioni html, flash e php. L’inglese è indispensabile e anche lo spagnolo sarebbe gradito. Magari non farebbe male conoscere qualche programma di modellazione 3D ed essere flessibili e dinamici (traduzione: lavorare a orari impossibili compresi i festivi), accettare lo stage (ovvero essere pagato niente o non essere pagato affatto) e, come in un annuncio che ho visto personalmente, essere anche automunito, per gestire personalmente il cliente.
Con tutta la buona volontà, trovare una figura di questo tipo è un po’ come pretendere che il giorno duri 22 ore e la notte 2.
Solo per formare un buon grafico esecutivista, sono necessari almeno un paio d’anni, per uno editoriale, direi cinque, per un grafico creativo cinque, dieci anni e, per un art director, a parte rare eccezioni, ne servono dieci o quindici. E aggiungiamoci il web, che è più materia da tecnici che da creativi (infatti, le grandi agenzie distinguono tra web designer e sviluppatore web).
Morale: chi si presenterà per un posto del genere, sarà una persona che avrà, se va bene, una infarinatura di un po’ di questo e un po’ di quello, ma non avrà mai la professionalità, l’esperienza e la capacità di saper gestire ad alti livelli aspetti così diversi della professione. Ma tant’è, oggi non importa a nessuno, o a pochissimi, di creatività e professionalità. Importa solo che sia economico e veloce. Quali possono essere, allora, i punti di forza per riguadagnare quel terreno che, consapevolmente o inconsapevolmente, ci è stato sottratto o abbiamo ceduto? L’analisi è stata semplice e spietata: i costi non possono essere una voce per ridarci competitività. A fronte di soggetti che in rete pubblicizzano la realizzazione di siti, anche complessi, a cifre che partono da 15 euro, o che offono pacchetti tutto compreso (neanche fossero la Costa Crociere) in cui, per 150 euro lordi, realizzano una brochure da quattro pagine compresa l’ideazione di un logo, è chiaro che non può essere questo il terreno di scontro.
La conoscenza tecnica è sì un altro requisito importante e indispensabile, ma anche in questo caso, l’avvento dei personal computer a basso costo, ha creato schiere di adepti che utilizzano i maggiori programmi con capacità e disinvoltura. Quindi sebbene sia un requisito indispensabile, non può essere il plus per rimetterci in corsa.
Le uniche risorse, a nostro avviso, davvero insostituibili, rimangono la creatività e l’esperienza.
Mi spiego con un esempio. Si guasta l’automobile. Cosa fate?
1) Cercate di arrangiarvi da soli perché, presuntuosamente, ritenete di esserne capaci solo per il fatto di averla acquistata. Molto probabilmente, ammesso che riusciate a farla ripartire, non sarà per nulla affidabile e, se non rischiate di uccidervi in un incidente, dopo qualche chilometro si guasterà di nuovo.
2) Chiamate un meccanico che costa poco ma non dà nessuna garanzia di affidabilità, né sui pezzi di ricambio, né per esperienza. Ripara un po’ di tutto: dai motorini, ai furgoni, alle auto vecchie e nuove di qualsiasi marca. Non è un’officina autorizzata, ma tanto vale, un motore è un motore, cosa ci vorrà mai per ripararlo? Un ingegnere?
Ma vale davvero la pena affidarsi a simili individui solo per risparmiare qualche soldo?
3) Vi rivolgete a un centro assistenza autorizzato, con meccanici formati dall’azienda produttrice, che utilizza ricambi originali, rilascia regolare fattura e garanzia sulle riparazioni effettuate. È vero, costa qualcosa in più, ma è evidente che, sotto ogni aspetto, ne vale la pena.
Perché allora, se scegliamo la terza opportunità quando dobbiamo riparare l’automobile, o chiamiamo l’idraulico o ci rivolgiamo a un medico o un dentista, non dobbiamo ragionare allo stesso modo quando dobbiamo mostrare l’immagine della nostra azienda, o del nostro prodotto, al mondo intero? I muri di cartapesta, le scenografie di Sergio Leone, funzionano per il tempo di un film, ma alla lunga, il pubblico capisce che sono fasulle.
Cosa c’è di peggio per un’azienda che ingannare la propria clientela?
Ecco allora da dove dobbiamo ripartire. Come le aziende più lungimiranti fanno della responsabilità sociale verso il consumatore e l’ambiente il loro punto di forza, così, noi grafici e art director, dobbiamo fare della creatività e dell’esperienza la nostra arma migliore. La base da cui ripartire.
Il solo punto interrogativo è: sì, ma come?

giovedì 18 febbraio 2010

Futurismo, viral, guerrilla

Sto pensando a qualcosa di estremo. No, non "l'insano gesto" di manfrediana memoria (straziami ma di baci saziami), ma un'azione futurista, virale (1), di guerrilla marketing (2). Qualcosa che mi porti alla ribalta anche professionalmente. Qualcosa che, come in Quinto potere, mi imponga all'attenzione generale per la platealità e la genialità del gesto.
Escluderei a priori il salire sul tetto del condominio. Opzione già troppo sfruttata non avendo, tra l'altro, nessun fine strategico. Cosa potrei pretendere? "Non scendo da qui fino a che non si farà avanti qualche editore che mi faccia fare l'art director freelance!". Patetico, ridicolo e inattuabile. Potrei vivere notte e giorno sul balcone, mostrando a tutti quanti la mia giornata tipo tesa all'autopromozione e alla ricerca di lavoro. Ma temo che non importerebbe a nessuno e poi verrei dileggiato dai vicini vita natural durante.
No, dovrei attirare l'attenzione in modo immediato, diretto, con qualcosa che internet, la televisione e i giornali si disputerebbero come un branco di cani randagi si disputerebbe un succulento osso. Già, ma cosa, come? In Quinto potere, Peter Finch, dopo aver ricevuto la notizia del suo licenziamento, annuncia in diretta televisiva l'intenzione di uccidersi durante l'ultima puntata dello show. Il pubblico e i media si incuriosiscono, si entusiasmano, l'indice d'ascolto vola. Naturalmente il film finisce male, cosa che preferirei non avvenisse nel mio caso, ma diciamo che la filosofia dovrebbe essere questa.
Quindi annunciare il mio suicidio professionale in facebook? Non so, la mia rete conta soltanto 26 amicizie; non credo siano sufficienti per far propagare in modo virale il messaggio. E poi sono sicuro che non fregherebbe niente a nessuno. Però l'idea del suicidio professionale svolto in modo rituale, sublimato, non è mica male... Peccato che ormai sia già carnevale, perché le due cose si sarebbero potute sposare a meraviglia.
Un manifesto futurista? Sì, ma una corrente costituita da un unico esponente non è propriamente un movimento. E cosa dovrebbe proporre? La neografica? La grafica sostenibile? La grafica socialmente ed ecologicamente responsabile? Anche questa però non mi sembra un'idea così peregrina...
L'unico problema è che sono così preso dalla sopravvivenza quotidiana da non avere la serenità e la tranquillità (e forse anche la capacità) di inventarmi qualcosa di davvero efficace. E mettiamoci anche i soldi necessari per finanziare un'operazione del genere.
Il mafioso pelato invece è come scomparso. Non chiede più gabbie, né foto, né numeri del giornale archiviato. Ma sono sicuro che questa tranquillità non è altro che l'occhio della tempesta, in cui tutto sembra calmo e tranquillo prima dello scatenarsi degli elementi.
Di sicuro i suoi legali sono al lavoro, anche se, più il tempo passa, più potrebbe significare che incontrino qualche difficoltà.

(1) Viral marketing da Wikipedia: "tipo di marketing non convenzionale che sfrutta le capacità comunicativa di pochi soggetti interessati per trasmettere il messaggio ad un numero elevato di utenti finali".
(2) Guerrilla marketing da Wikipedia: "forma di promozione pubblicitaria non convenzionale e a basso budget ottenuta attraverso l'utilizzo creativo di mezzi e strumenti aggressivi che fanno leva sull'immaginario e sui meccanismi psicologici degli utenti finali".

martedì 16 febbraio 2010

Non vogliamo, non possiamo, non dobbiamo

Questa situazione di incertezza mi sta esasperando. All'inizio, pensavo sarebbe stato tutto più semplice. Come dicono le nonne? "Chiusa una porta, si apre un portone".
Durante gli ormai oltre vent'anni di lavoro, ho perso tanti clienti, trovandone altri, come in un karma senza fine. Non sempre erano migliori dei precedenti, altre volte sì.
Ma ora è tutto diverso: non funziona il passaparola, niente risposte alle mail promozionali, il sito non serve a niente e, tanto meno, il profilo su facebook e linkedin.
Quindi comincio a pensare al razionamento. Cerchiamo di spendere meno con i generi alimentari: meno carni rosse (care come il fuoco), ma tacchino, pollo, maiale. Così come per gli affettati: le confezioni piccole, quelle che di solito usavamo per preparare la merenda ai bambini, sono proporzionalmente molto più care. Rifuggiamo dalle marche note, e scegliamo prodotti a marchio Esselunga (che sono comunque ottimi). Almeno la pasta però, deve essere di qualità: De Cecco o Voiello. E poi approfittiamo il più possibile dei vari tre per due, o dei prezzi corti.
Ma queste sono cose che abbiamo già sentito e risentito milioni di volte.
Quello che mi è più difficile accettare, è il risparmio sulla cultura; libri, cd, film, mostre, qualche oggetto.
E poi, dopo la rinuncia forzata alla solita settimana al mare per natale e, probabilmente, anche a quella di pasqua, comincio a preoccuparmi per le vacanze estive. Eppure, con due figli allergici e intossicati dalle polveri sottili, è una cosa a cui non possiamo rinunciare. Come disse Pio VII all'ufficiale napoleonico che gli intimava di cedere alla Francia gli stati pontifici: "Non vogliamo, non possiamo, non dobbiamo".

lunedì 15 febbraio 2010

Vacuo silenzio

Potrei dire: "Silenzio assordante". Ma non userei mai un ossimoro così banale. Allora proviamo con "Silenzio di tomba". Già sentito un milione di volte, e poi è un po' macabro. "Vacuo silenzio"? Non è male. Ecco la conseguenza della mail di ieri, con cui rifiutavo di consegnare le gabbie grafiche al mafioso pelato. Un silenzio minaccioso e vacuo, verrebbe da pensare. Di sicuro dev'essere andata così: L'amministratore delegato riceve la mail. Non si scompone più di tanto, i suoi neuroni non sarebbero sufficienti, la fa vedere al mafioso pelato che esclama: "Quel bastardo figlio di puttana, ciccione di merda! Non gli diamo una lira! Chiama il nostro legale!". Poi, come Winnie the Pooh nel bosco dei cento acri, dopo aver scaraventato qualcosa contro il muro, si siede con la testa pelata fra le mani, borbottando fra sé e sé: "Pensa, pensa, pensa". Ma non succede niente.
È probabile che, tra oggi e domani, riceverò una mail molto minacciosa, perché loro fanno così: arroganti, presuntuosi, ciechi. Non hanno nessuna intenzione di arrivare a un accordo, così come hanno rifiutato qualsiasi dialogo a proposito del mancato contratto. Ormai è una questione di odio, di onore mafioso, di rabbia cieca, anche se nascosta sotto una crosta molto snob, fatta di trekking in Tibet, jogging quotidiano e brunch domenicali.
Lo confesso, sono curioso. Curioso ma anche esausto di questi tira e molla, di questo rischio continuo di non essere pagato, di non trovare clienti, di contare e ricontare sempre gli stessi soldi.
A proposito, il cazzaro bresciano ieri non si è fatto sentire. Gli lascio un po' di lenza, non voglio essere impaziente e rischiare di rompere tutto. Aspettiamo qualche giorno, poi torneremo alla carica.

venerdì 12 febbraio 2010

Che schifo!

Oggi è una giornata campale.
Non si deciderà la guerra, ma si celebrerà una battaglia importante.
Ho deciso di giocare contro il mafioso pelato la carta dei diritti d'autore. L'ultimo avvocato (per la precisione il quarto) ha confermato le mie ipotesi: le gabbie grafiche che ho usato per impaginare le riviste, sono una mia proprietà intellettuale. Quanto a certezze invece, questo mondo ne riserva davvero poche. Tutto congiura sempre e comunque contro i più deboli.
Ieri sera mi è capitato di vedere l'inchiesta di Riccardo Iacona sulla scuola. Dire impressionante è dire poco. Sapere poi che lo stato finanzia le scuole private paritarie con circa 480 euro a studente, mentre ne riserva poco più di tre per quelli delle scuole pubbliche, fa semplicemente vomitare.
Ma li avete visti i genitori e gli alunni delle private di Milano? l'Istituto Leone XIII, il Liceo Artistico Orsoline, la scuola bilingue dalle parti di San Siro... Amministratori delegati, medici, avvocati, commercialisti, liberi professionisti. Facce agghiaccianti che parlavano in modo agghiacciante di cose agghiaccianti. Maledetti loro e i loro figli, che sembrano tanti Harry Potter, chiusi in queste gabbie dorate in cui nasce la classe dirigente del futuro, quella dei bei discorsi, dei toni civili e pacati, del greco e del latino e delle bustarelle. Un contrasto stridente con la scuola pubblica, dove mancano anche i soldi per pagare le bollette della corrente.
Perché tutto questo? Perché sopportiamo questa ingiustizia senza muovere un dito?
Non me lo so spiegare, come non mi so spiegare la mancanza, se non di un minimo di coscienza di classe, almeno di una buona dose di rabbia.
Per oggi aspettiamo notizie dall'editore di Brescia. La prima impressione è quella di un cazzaro ma, ormai, cos'altro potremmo perdere?
Sarebbe bello invece, che un matematico mi spiegasse come mai le leggi della statistica e delle probabilità non si applicano a ciò che faccio io. Le mail promozionali hanno superato quota milletrecento, con un totale di sei contatti (poco più dello 0,4%), dei quali solo uno porterà, forse, ad un colloquio informale (meno dello 0,1%).

mercoledì 10 febbraio 2010

I conti non tornano

Ogni giorno non faccio altro che pensare a quanto sia stato alto il prezzo della mia dignità.
Mi chiedo se ho sbagliato non cedendo ai grossolani ricatti mafiosi volti a umiliare la mia dignità umana e professionale.
Mi domando se ho fatto bene a non accettare di prostituire la mia esperienza e a difendere il diritto di guadagnare il giusto, di pretendere uno scambio equo fra creatività e compenso.
In un mondo nel quale la dignità, la discrezione, la sobrietà e, se vogliamo, l'onore e la reputazione, sembrano non avere alcun valore, a cosa è servito il mio rifiuto di essere comprato come una latta di pomodori? (a proposito di pelati).
Credevo che il mio comportamento sarebbe stato utile anche agli altri: come esempio di rettitudine, come incoraggiamento alla ribellione verso questi tempi bui. Oggi i lavoratori sono meno che niente e, come cinquant'anni fa, il mondo è fatto solo per chi può permetterselo.
Invece di incassare solidarietà, ho ricevuto indifferenza, fredda cortesia e, a volte, fastidio.
Ho anche capito che internet è sì una frontiera di libertà (finché dura), ma è anche un mondo fatto di solitudine, di egoismo, di vacuità, di superficialità.
Non c'è che dire, questa volta ho davvero sbagliato i miei conti.

lunedì 8 febbraio 2010

The last dance

Anche il terzo avvocato che ho interpellato per rivendicare il diritto d'autore su tutti i logotipi creati in quasi dieci anni per il mafioso pelato, mi ha dato il due di picche. Dice che dal momento in cui sono stati fatturati e utilizzati dall'azienda, tanto da diventare un segnale di riconoscimento inconfondibile per le sue attività, posso pure scordarmi del diritto d'autore.
Intanto il pelato comincia a richiedere materiali che giudica di sua proprietà come, appunto, i logotipi, numeri archiviati delle riviste, fotografie e gabbie grafiche.
Mi brucia così tanto non avere nessuna possibilità di danneggiarlo almeno un po', che provo a cercare in rete anche un minimo appiglio. Forse trovo qualcosa: sembrerebbe che, in base alla legge sul diritto d'autore, la mia prestazione nei confronti del cazzone, si limiterebbe all'effettuazione delle lavorazioni necessarie alla pubblicazione delle varie riviste; ma la proprietà sui file sorgenti, o aperti (per esempio le gabbie e le pagine mastro create in QuarkXpress e similari, o i documenti di Photoshop a livelli) necessari alla realizzazione del lavoro, sono una mia proprietà intellettuale e, come tale, garantita dal diritto d'autore.
Anche il contratto standard dell'Aiap (Associazione italiana progettazione per la comunicazione visiva), al punto 6.4 dice: "I supporti materiali dei disegni e di tutti gli altri materiali sviluppati nel corso dell'incarico [...] resteranno di esclusiva proprietà del professionista".
Ora però il mio problema è un altro. Se comincio a fare ostracismo sulla consegna dei materiali che il pelato ha richiesto, rischio di mettere a repentaglio i miei crediti nei suoi confronti.
In pratica, potrebbe accadere che, se non consegno le gabbie, lui non mi paga. Oppure: non gli consegno le gabbie, lui minaccia di non pagare, io minaccio di fargli causa, lui paga. Oppure non paga e andiamo in tribunale. Risultato: se vedrò i miei soldi, li vedrò fra cinque anni come minimo.
Decido di giocare l'ultima carta di questa logorante partita; telefono alla mamma di una compagna di mia figlia che è avvocato, e le espongo la situazione. Secondo lei, ho pienamente ragione. Le gabbie e i materiali di lavorazione sono miei e non sono tenuto a consegnare alcunché se non i logotipi che ormai sarebbero di proprietà del pelato. Mi consiglia però di temporeggiare il più possibile per incassare il maggior numero di fatture. Mi decido: tentiamo questa ultima possibilità poi, giuro, mi arrendo. Sono troppo stanco per continuare questa partita truccata.

venerdì 5 febbraio 2010

Chissà

Fermi tutti! Sotto questo cielo cupo e sporco come un cartone bagnato, si muove qualcosa.
Ha risposto un microscopico editore di Brescia. Vuole incontrarci, ma senza fretta. Dice di non venire "a posta", e si firma dott. eccetera, eccetera. Per essere un dottore, dovrebbe imparare a scrivere un po' meglio, ma in questo frangente non scarto neppure la minima, lontana speranza. Speriamo non sia una presa per il culo!

giovedì 4 febbraio 2010

Il pane imburrato

Facebook fa schifo, e mi fa schifo il modo in cui ci si rapporta. O forse non è facebook che fa schifo: sono le mie conoscenze.
Ciò che più mi umilia e mi fa incazzare è quando rifiutano le proposte di amicizia.
Sono sempre stato un orso e non amo scocciare la gente per niente. Quando mi propongo, cerco di farlo con discrezione, tatto e simpatia.
In fondo, non credo di essermi mai creato alcun acerrimo nemico (a parte il mafioso pelato), ho sempre cercato di essere onesto, di aiutare chiunque ne avesse bisogno. Senza volere o ricevere mai niente in cambio.
Sul libro di quarta elementare di mia figlia, c'è un raccontino che termina più o meno così: "...ricordati figlia mia, se regalerai del pane, prima o poi ti tornerà indietro imburrato". Già, ho pensato, così te lo infilano meglio nel culo!
Insomma, se anche una piccolissima parte di questa storia fosse vera, quando cazzo torna questo pane imburrato?

mercoledì 3 febbraio 2010

A ognuno il suo metro

Ormai le mail autopromozionali spedite hanno superato quota mille, con sempre le medesime tre risposte. Tanto per aggiornare la percentuale, direi che siamo intorno allo 0,3%.
Sempre meglio di questo blog che, nel 2010, ha registrato una percentuale di commenti pari allo 0%.
Direi che c'è da essere ottimisti.
Oggi abbiamo scoccato le ultime frecce, contattando un paio di vecchie conoscenze.
La prima, figlia di un affermato art director, lavora nell'ambito dei cataloghi d'arte e, in questo momento, si trova in cassa integrazione. Una condizione che a me sembrerebbe già una cuccagna. Anche lei si sta scervellando per inventarsi qualcosa, ma senza risultati.
La seconda occupava un posto di prestigio in un'importantissima casa editrice americana di fumetti (chissà quale? Mah). Se n'è andata perché, dice, si lavorava troppo e si guadagnava poco. Ora è manager in un'altra grande casa editrice di Novara, nella quale si occupa dei rapporti con l'estero. Anche qui, a suo dire, è crisi nera, cassa integrazione, licenziamenti e collaborazioni tagliate.
Che dire? Mi pare tiri una gran brutta aria. Ma allora, tutta questa gente che si lamenta di non avere lavoro, come diavolo campa? Da dove li tira fuori i soldi?
Forse è una questione di metri, nel senso di strumenti di misura, di paragone. Quello che per qualcuno è niente, per altri potrebbe essere molto.
Mi spiego: se un ex direttore di giornale percepisce una pensione superiore ai cinquemila euro e, negli ultimi anni, ne ha incassati almeno altri quattro milioni in benefit ecc., dice che il lavoro "va che è una merda" perché non arrotonda con altri tre o quattromila euro, non è la stessa cosa di quando lo dico io. Lui mangia, va in vacanza nelle sue case in campagna o al mare, mantiene i figli e la moglie e si lamenta perché, forse, quest'anno non potrà cambiare l'automobile. Io, quando dico che va una merda, significa che fra qualche mese, finiti i soldi delle ultime fatture incassate, non so come farò a mangiare, pagare le spese condominiali e tutto il resto.
D'altronde anche il mafioso pelato si lamentava, una delle ultime volte in cui abbiamo parlato, che, secondo i calcoli dell'ordine dei giornalisti, avrebbe percepito solo milleseicento euro di pensione. "Che ci faccio con milleseicento euro? Non ci compro neanche le sigarette!" ha detto. Ecco quindi nuovamente la questione dei metri: a lui quei soldi non basterebbero per le sigarette; io invece mi toglierei un gran peso dallo stomaco.

martedì 2 febbraio 2010

Guerra tra poveri

Ho saputo per vie traverse chi mi ha sostituito. Sono addirittura due, due donne; così il mafioso pelato potrà sfogare la sua meschina prepotenza senza paura di ritorsioni. Già, forse non l'avevo detto, ma il toscano di Caltagirone (ma questa è un'altra storia), è anche un gran coniglio. Prepotente con i subalterni, debole e pauroso con chi non si fa intimidire.
Tornando alle mie sostitute, mi sembrano due sfigate, e non lo dico per invidia. Ho spiato le loro tracce in internet. Tra i loro pochissimi clienti non c'è alcun nome importante dell'editoria. Anzi, non ho visto traccia di alcuna esperienza editoriale. Non un giornale o una rivista: solo qualche misero depliant. Come di desolante pochezza mi sono apparsi i loro siti promozionali. Una addirittura faceva offerte "tutto compreso", nemmeno fosse un supermercato, per depliant con logotipo in omaggio. Il tutto per 166 euro lordi. Nemmeno sufficienti per campare una giornata. Eppure nel contratto che non ho firmato, il pelato si definiva azienda leader e pretendeva prestazioni di alta qualità, fornite da aziende di lunga esperienza, ottima creatività e grande disponibilità. Al contrario, mi sembra invece la solita storia: gente disperata che si prostituisce per due soldi, pronta a dividersi in due ciò che non basta per uno.