mercoledì 30 marzo 2011

Chapeau

Non capisco perché le cose devono sempre essere così difficili. Non mi frega delle varie leggi di Murphy, buone solo per farsi un sorriso, ma della vita vera. 
Mai una volta che si svolga secondo ciò che abbiamo immaginato, o quello che ci aspetteremmo o, almeno, nel modo più logico e razionale.
C’è questo editore francese che vorrebbe lanciare una rivista in Italia e che, per farlo, ha scelto di pubblicare un’inserzione su un sito molto specializzato e misconosciuto. L’annuncio era quanto di più vago ci potesse essere, tanto che pensavo fosse la solita fregatura o tutt’al più, qualcuno che volesse rifilare un’enciclopedia con bicicletta in omaggio. E invece è una cosa seria, a cui abbiamo lavorato come matti fino a ieri, giorno dell’appuntamento con l’editore in studio da noi.
E questa è stata la mia grande e, a quanto pare, giustificata preoccupazione.
A differenza che nel Nord Europa e buona parte del Nuovo Mondo nei quali è consuetudine condividere un unico appartamento come abitazione e luogo di lavoro, in Italia è ancora una prassi duramente consolidata la strategia del fumo negli occhi o se vogliamo citare Shakespeare del Tanto rumore per nulla.
Le grandi agenzie di pubblicità o gli studi più alla moda, usano infatti abbindolare i clienti con ambienti sfarzosi, segretarie dalla coscia lunga, creativi addobbati proprio come ci si immagina debba agghindarsi un artista della comunicazione o roba del genere. Ciò che il cliente spesso non sa, è che dietro alla bella scatola, al tavolo riunioni di cristallo, agli enormi quadri astratti alle pareti, l’acqua minerale Perrier offerta nei bicchieri di cristallo, l’avvenente pr e tutto il resto, non c’è nient’altro; solo la carta stagnola, ma niente cioccolatino. Perché il cioccolatino, o meglio, il motore dello studio o dell’agenzia, sta da un’altra parte; davanti al computer a casa propria, in studioli ricavati nei sottoscala, sul tavolo di cucina o altri infiniti posti anonimi e modesti.
Quindi, anche se la mia casa è grande, ho un ingresso per l’abitazione e un altro che uso per ricevere i clienti, il posto in cui lavoro è una sola grande stanza attrezzata con i computer e arredata come si deve, ricevere un cliente è sempre un terno al lotto.
Ho la targhetta fuori dalla porta, la macchinetta per il caffè - che ho servito all’editore e la segretaria in tazzine Illy decorate da Nam June Paik -, ho fatto venire mia nipote e l’ho sistemata davanti a un computer a cazzeggiare, ho offerto acqua minerale Evian e Sanpellegrino in bottiglietta, ho fornito ottime referenze e esibito un book invidiabile, se non altro in virtù di una carriera di quasi trent’anni.
Ma non so se tutto questo è bastato a convincere il francese, che si è dimostrato - almeno questa è stata la mia impressione - favorevolmente impressionato dal nostro lavoro ma che, secondo me, era molto ma molto combattuto sulla solidità e affidabilità della mia struttura.
D’accordo, non è colpa mia se quel pelato al secondo piano ha scelto di schiattare proprio il giorno del mio grande appuntamento con conseguente decorazione a lutto del portone, però, cazzo! Poteva anche aspettare ancora un giorno, uno solo.
Ma forse non è andata così male; non tutto è ancora perduto. Entro domani devo presentare ancora un paio di proposte, fare degli aggiustamenti. Penso sia una cosa buona, altrimenti l’editore avrebbe detto: Grazie, tanti saluti, le farò sapere. Invece, mentre guardava le stampate della mia proposta, mi è parso di avergli sentito dire un: “Chapeau”, che il dizionario online Hoepli definisce così: “Si usa come espressione cavalleresca di ammirata approvazione per un gesto, una prestazione sportiva, e simili”.
Quindi, se non è diventato un nuovo modo di prendere per il culo qualcuno, forse, non è ancora tutto perduto.

lunedì 28 marzo 2011

Solare o legale?

Adesso c’è anche questa cosa dell’ora legale. La scusa è quella del risparmio energetico, ma penso che ormai non ci creda più nessuno. E poi il fatto che deve sempre esserci qualcuno che ordina che ore sono, che mese è, che cosa mangiare, cosa fare, quando farlo, dove posso andare e dove non posso andare, mi fa venire voglia di fare esattamente il contrario.
Ma ci si abitua, ci si abitua a tutto, tranne a mia moglie che, ogni ottobre e ogni marzo, per almeno una settimana dopo che è entrata in vigore l’ora legale o quella solare, mi tormenta su che ora sia effettivamente: “Ma adesso sarebbero? Sì, ma se fosse l’ora di prima, adesso sarebbe che ora? Ma legale o solare? L’ora vecchia o quella nuova? Quindi ci alziamo un’ora prima o un’ora dopo? A che ora mangiamo? A quella di prima o quella di adesso?".
Lo so, sono stupidaggini, ma parlo di questo per non non pensare che oggi è la giornata che potrebbe decidere della nostra vita nell’immediato futuro.

venerdì 25 marzo 2011

Corri, ragazzo corri

Faccio il grafico da non so nemmeno più quanti anni. Non dico art director perché la cosa mi fa un po' vergognare e inoltre mi infastidisce essere paragonato a certi creativi che girano per Milano.
Ho passato centinaia di ore in camere oscure maleodoranti, ho appiccicato strisciate di testo con la cow gum su esecutivi realizzati con squadre e rapidograph, mi sono rovinato la vista sui tavoli luminosi e tagliato le dita coi bisturi, ho imparato a usare i macintosh, i programmi di grafica vettoriale, di fotoritocco, di impaginazione, ho speso piccole fortune in hardware che però ho sempre ripagato col mio lavoro. 
Mi posso vantare di non aver mai leccato il culo a nessuno, di non essere stato raccomandato da uno zio prete o maresciallo della finanza, con la politica poi, l’unica occasione in cui ci ho avuto a che fare è stato quando, durante il mio primo vero lavoro, abbiamo realizzato i manifesti elettorali per un industrialotto della bassa che si voleva candidare a non so più che cosa. Naturalmente è stato trombato e la cosa è finità lì.
Non è come fare l’impiegato o il commesso; ogni lavoro, ogni cosa che inventi, ogni nuovo cliente, è come un esame da sostenere, con lo stesso stress, la stessa irrequietudine, la stessa insicurezza che attanaglia lo stomaco tutte le sante volte.
Col tempo ho scoperto di non essere quel “grande bluff” che credevo, quella bella scatola vuota che si riempiva solo con la farina altrui, sono riuscito a liberarmi del cilicio psicologico che mia madre aveva costruito in tanti anni e ho cominciato ad acquisire quella fiducia che mi ha portato sempre avanti con soddisfazione.
Ma questo è un periodo in cui gli esami sono più numerosi che in passato. Sarà perché nessuno si fida più di nessuno, sarà perché, prima di spendere i soldi, si vuole già vedere il cammello, che ne so. Fatto stà che si lavora in gara; chi presenta il progetto migliore, chi è il più economico, sarà il vincitore.
Per questo continuo a combattere, ad affrontare ogni occasione col massimo impegno, perché per me, per la mia famiglia, vincere una delle gare per cui stiamo perdendo il sonno, significa tornare a vivere, mangiare, andare in vacanza, assurgere nuovamente a esseri umani.
PS: vediamo chi si accorge della citazione nel titolo...

mercoledì 23 marzo 2011

Piccioni di merda!

Odio i piccioni. L’ho già detto? Non mi ricordo, ma comunque ci tengo a ribadirlo. Non sarà coerente con le mie aspirazioni alla Siddharta, ma non li sopporto proprio.
Si stanno diffondendo grazie a quelle donne infelici, tutte casa e animalismo, senza un uomo che riesca a sopportarle, senza un interesse che possa occupare quelle menti inutili e aride, che non trovano di meglio da fare che infestare ogni angolo con le briciole di pane, i pezzi di frittata avanzati, le scatolette per gatti rovesciate nei piatti di plastica e abbandonate dovunque.
Forse sono le stesse che credono che una bottiglia di plastica piena d’acqua appoggiata al marciapiede, impedisca ai cani di pisciare, o che appendere compact disc e girandole dai colori metallici, dissuada i loro amici pennuti dal cagare sui loro balconi tirati a lucido con la cera.
O forse no, quelle dei cd e le girandole, e le strisce di carta dell’uovo di pasqua sventolanti al sole malato di Milano, sono delle poverette che cercano di difendersi dall’invasione volante; come ne Gli Uccelli di Hitchcock. Povere nonne che cercano di difendere il loro bucato ad ogni costo.
Non sopporto i piccioni quando, appena dopo le sei del mattino, cominciano ad emettere quel suono insopportabile, sgraziato, monotono, ripetuto all’infinito, mentre i maschi si gonfiano come i peggiori cafoni da luna park e asfissiano per tutto il giorno quelle femmine brutte, lercie e indifferenti.
Non sopporto quella camminata con l’insulsa testina che continua a ondeggiare aventi e indietro come quella di un automa impazzito.
Mi fanno ribrezzo le zampe color carne viva, sempre deformi e mezze monche a causa di chissà quali schifose malattie. Lo stesso frullare delle ali nell’aria produce un rumore sgradevole, come di qualcosa che non esiste su questa terra.
E va avanti così per tutto il giorno; i maschi che tubano e grugano gonfiando le loro penne luride di smog e inscenando patetici balletti, cagando su balconi, grondaie, terrazzi, biancheria stesa e la testa dei passanti; rifugiandosi sulle sporgenze delle finestre quando piove e litigandosi le briciole di pane che quelle vecchie sciagurate non dimenticano mai di seminare nei cortile e nei giardini.
Mi lamentavo dei passeri che infestano il nostro cortile, li definivo degli sfacciati teppisti, ma sono di gran lunga migliori, più simpatici, senz’altro più intelligenti e intraprendenti, meno pateticamente stupidi. Un po’ come una band rock confrontata a uno zoppo che suona l’organetto per strada accompagnato da una scimmia pidocchiosa. 
Perfino le cornacchie, che la fanno da padrone, mi sono più simpatiche; se non altro il loro gracchiare e più evocativo e perentorio di quell’esasperante grrruu che va avanti per tutto il giorno.
Ho pensato di comprare un fucile ad aria compressa e, uno alla volta, far scomparire questi luridi piccioni. Credo che potrei diventare il vendicatore solitario di quasi tutte le vecchiette del condominio, la signora Italia in testa, che però meriterà una storia a parte. Perché no? Il vendicatore misterioso, idolo della terza età, che uccide i piccioni per restituire serenità alle nonne.

lunedì 21 marzo 2011

Che fare?

Ho dormito male svegliandomi continuamente. Un po’ per colpa delle tre coperte con cui moglie si ostina ancora a dormire malgrado i 23 gradi, un po’, forse, per i troppi biscotti - anche se dietetici - di ieri sera, e anche a causa di qualcosa che non so definire: disagio, insoddisfazione, ansia, senso di indefinitezza.
Vedere una splendida giornata come quella di questa mattina, invece di sollevarmi sembra avere l’effetto contrario. Forse perché preannuncia i primi caldi primaverili e io so che entro la fine della prossima settimana devo confermare o meno l’appartamento per le ferie estive. L’amministratore del residence ha chiamato ieri, ma aveva già tentato un paio di altre volte. È un marchigiano simpatico e chiacchierone, falso quel tanto quanto lo sono i marchigiani agli occhi dei laziali. A me non importa più di tanto, lui fa i suoi interessi, il prezzo è discetamente onesto, la sistemazione comoda e pulita, il resto sono cazzate.
La cosa tragica è che non so cosa fare. A rigore di logica dovremmo starcene buoni buoni a Milano, senza spendere, accontentandoci di un po’ di aria condizionata. Ma entrambi i miei figli sono allergici; per loro andare al mare è più una terapia che altro. Quindi che fare? Bruciare gli sgoccioli di risparmi e bluffare col destino, o tenere la coda tra le gambe e sperare?
Il lavoro con l’ex direttore è pressoché finito, anche se lui continua imperterrito a martellarmi giorno e notte pensando che possa risolvere tutti i casini che combina col computer. Giovedì, festa per il 150° d’Italia, ha chiamato alle nove di sera, sabato non ricordo a che ora, ieri, domenica, alle 19,20.
Nel frattempo, la scorsa settimana è saltato fuori un piccolo lavoretto d’impaginazione. È una tantum, quindi, una volta terminato, tanti saluti. Il tutto per 800 euro lordi.
Mercoledì poi consegnerò il preventivo alla ragazza di Messina che, oltre a quello, ha chiesto anche un piccolo layout che lo accompagni, così, tanto per mostrare su quale strada avremmo intenzione di procedere.
Certo che questa è nuova. Va bene lavorare gratis nella speranza che il tutto si possa concretizzare, va bene lavorare per due lire, va bene fare preventivi su preventivi a fondo perso, ma questa del preventivo corredato dall'anteprima di ciò che si vorrebbe proporre, non l’avevo mai sentita. 
Naturalmente ho accettato e mercoledì presenterò la mia proposta.
E oggi settimo appuntamento dalla dentista. Pensavo che l’abitudine riducesse l’ansia, ma ogni volta è come la prima. Quando poi la vedo scuotere la testa ogni volta che apro la bocca come fa il meccanico quando apre il cofano della nostra auto ferma in autostrada, provo un brivido di panico e una certa tristezza.

venerdì 18 marzo 2011

L'indifferenza

La nuova dentista è velocissima. Non più di mezz’ora per devitalizzare e otturare un dente e una ventina di minuti per sistemare una carie.
Non rimpiango nemmeno un po’ la precedente, quella che, dopo qualche mese dal divorzio, si presentò in studio con i capelli tinti di un turchino brillante.
Forse avrei dovuto capire che non era più una persona affidabile, non solo per i capelli - ho sempre pensato, in contrasto con l’edonismo imperante, che l’abito non faccia il monaco - ma, più che altro, perché totalmente succube di facebook e internet.
Essere il primo cliente della giornata non serviva ad evitare un’attesa di almeno mezz’ora, durante la quale, l’emula della fata turchina, si perdeva nei meandri di facebook, farmville e post vari. Probabilmente anche le prestazioni risentivano della smania di riprendere ciò che era stato malamente interrotto da pazienti bisognosi di cure, tanto che ora mi ritrovo a dover risistemare praticamente tutto quello che ha incautamente fatto alla mia povera bocca.
Per questo non posso che apprezzare la velocità e l’uso generoso dell’anestesia di questa nuova dentista che, incredibilmente, appare come un incrocio fra quella vecchia e Rosy Bindi se fosse più magra di una ventina di chili.
E apprezzo pure l’obbligo di transitare davanti a tre librerie prima di arrivare al suo studio. Cosa che mi consente di consolarmi - come un bambino piccolo - acquistando un piccolo regalino ad ogni seduta.
L’ultimo è stato Le cazzate che dice mio padre di Justin Halpern, libro nato come sempre per caso, nel quale l’autore racconta di un lessico famigliare composto da perle di comica saggezza elargite dal vecchio padre. Tanto per dirne una: “A volte la vita ti lascia una banconota da cento dollari nel cassetto, e solo molto più tardi scopri che era un ringraziamento per avertela messa nel culo”.
Lo so che a un occhio ipocrita possono sembrare bizzarrie volgari e di basso livello ma, tanto per mettere le cose in chiaro, pare che il vecchio genitore si occupasse addirittura di medicina nucleare e tenesse conferenze nelle università.
In effetti è una cosa che non mi meraviglia più di tanto, visto che è più o meno lo stesso modo di parlare che ho sempre avuto anch’io, anche se posso capire che non è la norma nella maggior parte delle famiglie che, però, mi permetto di giudicare un tantino ipocrite e perbeniste.
Ma quello che più mi ha conquistato di questo libro è che, benché il padre possa apparire burbero, scostante, cinico e sboccato, ha grande considerazione del figlio, lo sprona, gli dice che è una persona in gamba e, anche i castighi che gli infligge, sono sempre accompagnati da un dialogo franco, alla pari.
Allora il linguaggio volgare non ha più grande importanza, anzi, crea una maggiore risonanza all’amore verso i figli, alla voglia di insegnare loro che la vita è bella, ma a volte fa anche schifo, è una bastarda e bisogna sempre combattere senza paura di quelli più grossi di noi. “Non ti devi spaventare per quanto è grosso un buco del culo, ma dalla quantità di merda che è in grado di produrre”.
Ecco perché avrei preferito un padre che dicesse parolacce e raccontasse metafore sconce, che parlasse col proprio figlio, gli dicesse di volergli bene, che era in gamba, invece di un padre che non c’era mai se non nel momento del castigo serio, quello di quando l’avevi fatta grossa, o almeno, grossa agli occhi di mia madre, anche lei priva di un linguaggio anche lontanamente scorretto, ma che attraverso un’opera di sottile plagio, mi riduceva a un pupazzetto voodoo nelle sue mani.
Insomma, trattami male, usa un linguaggio scurrile quanto vuoi, dì pane al pane, ma cagami, considerami come un essere umano con la sua personalità, le sue debolezze e fragilità, ma pur sempre una persona, non un’icona da portare nel cuore perché tanto sei sempre fuori casa, o come un pupazzetto, un bambolotto stuprato da una bambina viziata e stupida.
Ecco forse qual è il destino peggiore: l’indifferenza, la falsa comprensione, l'ipocrisia, il perbenismo, le belle parole non seguite dai fatti. 
Gheddafi è un mostro, un dittatore, un povero pagliaccio sanguinario, ma al di là delle parole, la comunità internazionale gli permette di massacrare il suo stesso popolo in nome di interessi o paure. 
Il Giappone è in ginocchio; i cadaveri galleggiano sul mare, infestano le spiagge, marciscono sotto le macerie, un terremoto, uno tsunami e un disastro nucleare hanno gettato questo popolo che, forse ingiustamente, ho considerato stupido e xenofobo, in un incubo da dopoguerra fatto di fame, paura e incertezza verso il futuro. Ma ci si preoccupa solo di dire che il nucleare è l’unica via, anzi, come dice quel povero vecchio presuntuoso di Umberto Veronesi, è l’energia pulita del futuro. 
A proposito, primo o poi racconterò - per esperienza diretta - di quanto fosse stronzo il profeta del cancro che in televisione sorride a ottanta denti. 
Come chiamare tutto ciò se non indifferenza? La stessa che uccide i popoli e rovina i bambini.

mercoledì 16 marzo 2011

La mano di poker

Questa mattina alle undici altro appuntamento di lavoro. Grazie all’art director emulo di Karl Marx che, a quanto dice, è stato seriamente preoccupato per le nostre sorti almeno quanto noi.
“Finché si è soli come me, in un modo o nell’altro ci si arrangia, ma con due figli non è certo così facile”. Meno male che qualcuno capisce, al di là dell’ottimismo e l’ironia che cerchiamo di mantenere, che ritrovarsi con una famiglia sulle spalle e nessun modo per mantenerla dignitosamente, è una delle cose peggiori che possano capitare.
Che sia una settimana cruciale è un dato di fatto. Se l’impaginazione del trimestrale per ricconi con barca di trenta e più metri non mi crea nessun problema, mi proccupa piuttosto la proposta che devo presentare alla società che produce software gestionali. Essere in gara non è poi un gran problema, ma esserlo in concomitanza con del lavoro vero - intendo quello pagato, anche se poco - qualche problema me lo dà, se non altro per una questione di tempi.
Vedremo oggi cosa uscirà dall’incontro con questo nuovo editore e quali saranno le potenzialità future. Quello che è sicuro è che non sono ancora riuscito a raggiungere un minimo di sicurezza economica. Sono piuttosto ancora nel pieno di una mano di Texas Hold’em; qualche carta in mano ce l’ho, ma non ho idea se riuscirò a portare a casa la posta.

martedì 15 marzo 2011

Denti e libri

Pioggia e brutto tempo favoriscono l’introspezione, la profondità delle idee, la riflessione profonda. Lo dicono i soliti eminenti studiosi, ormai famosi per la quotidiana riscoperta dell’acqua calda; un po’ come Saviano.
Sono felice di aver ricominciato a lavorare. Non di aver risolto una situazione ancora quanto mai incerta, ma di muovere almeno le mani per guadagnare un migliaio di euro che vedrò, se tutto va bene, fra tre mesi. 
L’unica introspezione che posso permettermi questa mattina è quindi lo scavo archeologico del mio conto corrente, ridotto a non più di qualche centinaio di euro.
La ragazza di Messina l’ho ricevuta ieri. Il lavoro sarebbe anche interessante ma, come al solito, mi ha correttamente avvertito del fatto che sarò comunque in gara con altre strutture. La cosa non mi preoccupa più di tanto. Ho lavorato gratis per mesi, una settimana più o una meno non mi cambieranno di certo la vita.
Quello che davvero mi sta esaurendo è lo stillicidio di visite dalla dentista. Con ieri sono al quinto appuntamento e al terzo dente. 
Da piccolo, le visite dal pediatra, un vecchio medico di origini asburgiche che assomigliava a Geppetto, erano accompagnate da un piccolo regalino: un’automobilina, qualche soldatino e cose del genere. 
Forse è per questa reminiscenza che ogni volta che esco dalla dentista mi infilo in una libreria. Anche volendo non potrei ignorarle; in meno di cinquanta metri, sono costretto a vedere le vetrine della Feltrinelli, della Libreria del Corso e della Libreria Puccini. Così, appuntamento dopo appuntamento, torno sempre a casa con un libro in mano. 
Ho approfittato degli sconti del 25 per cento sugli Oscar Mondadori, per comprare Petrolio di Pier Paolo Pasolini, della tessera sconto della Feltrinelli per L’isola di Sukkwann di David Vann e degli sconti del 25 per cento su tutto della Libreria del Corso, per La moneta di Akragas di Andrea Camilleri e La versione di Barney di Mordecai Richler.
Ora spero di finirla presto con questi denti maledetti perché, dieci euro alla volta, ne ho già spesi quasi quaranta in due settimane, ed è una cosa che non posso permettermi di continuare a fare ancora per molto.

lunedì 14 marzo 2011

La Bella e la Bestia

Venerdì sera siamo stati invitati a cena dall’ex direttore. E chissenefrega. Infatti, è quello che ho pensato anch’io. Queste erano cose che trovavamo eccitanti diversi anni fa, in epoca pre-maternità e paternità.
Figuriamoci oggi, in questo clima di disincanto che ha reso insignificante ai nostri occhi tutto ciò che non fa parte di noi, della nostra famiglia, dei nostri bisogni, del nostro bastarci a vicenda. 
Forse sono state troppe le delusioni, i comportamenti inaspettati, l’essere presi in giro o, peggio, l’essere ignorati da quella rete di affetti che ogni persona pensa di avere, di essersi costruito nel corso della vita. 
E così, è normale che non si abbia più voglia di vedere gente, essere brillanti e spiritosi, o educati, gentili e tutta quella serie di cose a cui ci si deve piegare nei rapporti col prossimo. Quando ogni giorno devi trovare il modo di mettere insieme il pranzo con la cena, questo genere di inviti sono davvero l’ultima cosa nella lista delle priorità.
Eppure l’ex direttore mi è anche simpatico, posso quasi dire di volergli bene come a uno zio più grande, quello che ha visto il mondo, che ha fatto cose interessanti, che ha conosciuto persone singolari. 
Anche se la sua insistenza nell’escludere i nostri figli dall’invito mi ha dato da pensare per qualche secondo.
Ma come? I nostri figli sono grandi, educati, sanno stare a tavola senza disturbare, anzi, sono sempre molto interessati ai discorsi un po’ insulsi e pettegoli che spesso facciamo noi adulti. E allora perché questa esclusione? Oddio, non saranno mica due scambisti? No, non è possibile, conosciamo l’ex direttore e la moglie da quasi vent’anni, abbiamo cresciuto, lui la sua seconda figlia e noi il nostro primogenito, quasi contemporaneamente. Lavoro e famiglia; questo siamo stati entrambi per tutto questo tempo. Sarebbe una cosa davvero inconcepibile.
Però il dubbio è scomparso solo quando, al nostro arrivo, era presente, appunto, la figlia diciottenne e il relativo fidanzato: un tipo anonimo, un po' insipido, ma dall’aria gentile.
Ma allora, perché non abbiamo potuto portare i nostri di figli che hanno solo qualche anno in meno? Boh, vai a capire la gente. Che volesse fare discorsi troppo seri o impegnativi? Macché, è finita che mia moglie ha tenuto banco per quasi tutta la sera raccontando fatti veri e storielle inventate, intrecciandoli insieme in nodi così inestricabili che anch’io ho faticato a separare la verità dalla fantasia.
Forse è per questo che ci hanno voluto a casa loro, perché si divertono ad ascoltare questo profluvio di cose così inverosimili e divertenti, perché godono del nostro gioco che pesca nei nostri difetti e le nostre manie per punzecchiarci e renderci irresistibilmente buffi agli occhi altrui. Come una coppia alla Sandra e Raimondo, o Jim e Cheryl, John lennon e Yoko Ono, Stanlio e Ollio, Minnie e Topolino, la Bella e la Bestia.
Non so cosa pensare, se da una parte tutto ciò mi lusinga, dall’altra ho il tarlo di essere usato come un giullare di corte che deve pagarsi il mantenimento svagando il re e la regina.
Ma forse sono io che non riesco a fare a meno di essere il solito bilioso, cinico e meschino malfidente. E pensare che sono stati così carini e ospitali. 
Per questo, quando l’ex direttore mi ha telefonato domenica pomeriggio per reclamare un po’ di lavoro, non ho avuto la forza di chiedergli se non avesse niente di meglio da fare alle cinque di una piovosa domenica di fine marzo.

venerdì 11 marzo 2011

Piccoli miracoli

Chissà, forse perché l’ho invocato così ostinatamente, o forse perché le cose accadono perché accadono e non puoi farci proprio niente, fatto sta che ieri è accaduto un piccolo miracolo. Molto piccolo, ma pur sempre una candela che riscalda almeno un po’ il cuore. 
L’ex direttore mi ha affidato l’impaginazione di una rivista trimestrale di barche. 1200 euro a numero, poca roba, 5000 euro in un anno, ma è un inizio, è qualcosa di fisso, è meno di quanto spendiamo ogni mese per fare la spesa, ma significa una fugace boccata d’ossigeno dal sacchetto che portiamo in testa da più di un anno.
Speriamo solo che, la prossima settimana, la ragazza di Messina compia un altro piccolo miracolo e che, un miracolo dopo l’altro, anche noi si possa dire: “Finalmente la luce!”.

mercoledì 9 marzo 2011

Ora, subito, per forza

Esco dalla dentista, che mi sta lentamente uccidendo, un dente alla volta, e passo davanti alla libreria Feltrinelli di corso Buenos Aires. In vetrina decine di copie dell’ultimo libro di Saviano che, con quella copertina furbescamente gialla, da lontano pare un campo di girasoli. Sul marciapiede un fustellato di un metro e mezzo col suo faccione che accenna un mezzo sorrisetto ironico. Mi girano i coglioni perché sembra mi stia pigliando per il culo.
E a proposito di liste ed elenchi, di cui avevo già parlato, ho letto di sfuggita questa frase di Stendhal: “I cataloghi sono un vizio molto privato, che, palesato ad altri, si dimostra peccato mortale”.
L’appuntamento di lavoro con la marketing manager di Messina è stato rimandato. Ha bisogno ancora di qualche giorno per raccogliere le idee di tutta la direzione e presentarmi quindi un brief il più completo possibile. Mi fido, perché so che è una persona seria. Forse è lei che, a questo punto, non dovrebbe fidarsi di me.
Meno buone le notizie da parte dell'ex direttore, che mi chiama solo quando ha bisogno di collaudare skype, che ha appena installato nel portatile della suocera. Mi sento un pesce nell’acquario, o la scimmia dello zoo, costretto a esibire la mia faccia mentre, dall’altra parte del vetro, valutano la qualità dell’immagine e della trasmissione. 
Poteva quindi mancare la battutina da parte della suocera - che ho conosciuto un bel po’ di anni fa - sul fatto che mi trovasse ingrassato? “Un po’ come è successo a me” ha pure avuto il coraggio di dire, forse per indorare la pillola.
“Ma come! - rispondo io - sono mesi che a pranzo mangio solo due merdose barrette di cereali e mi dici così?”. Ma il mio cuore piangeva, come succede ogni volta che mi si ricorda l'aspetto non propriamente longilineo.
A parte questo, pare che il lavoro fatto per il rilancio della rivista maschile in perdita sia stato inutile, visto che non è ancora giunto alcun segno di vita da parte dell’editore.
Le cinquanta pagine dell’altro progetto, sono ancora sospese nel limbo del “non si sa ancora niente”.
“Male che vada - dice l’ex direttore - facciamo qualche cambiamento e le presentiamo a un altro editore”. Come no, tanto che altro posso fare?
Mi prospetta un’altro progetto che forse potrebbe nascere; si tratta di un giornale sui libri in doppio formato: cartaceo e scaricabile su ebook readers.
Intanto mi lambicco su come fare per portare i figli in vacanza quest’estate. Non è che ci siano molte possibilità: o continuo a intaccare i pochissimi risparmi rimasti, o deve saltare fuori qualche lavoro. Ora, subito, per forza.

lunedì 7 marzo 2011

Piccola vela all'orizzonte!

Come una piccola vela all’orizzonte di un naufrago, venerdì scorso si è accesa una debole speranza. No, non dall’ex direttore, di cui tutte le iniziative appaiono al momento congelate nel lampo di un flash maligno, e nemmeno da parte dell’art director emulo di Marx che, sebbene ci avesse detto che la rivista organo di un’organizzazione umanitaria era ancora in forse, ce la siamo ritrovata in edicola il 6 marzo, ma da una costola dell’editore siciliano con cui ho avuto il piacere di collaborare saltuariamente.
La proposta è arrivata da una ragazza che, a Messina, si occupava di marketing e che qualche mese fa ha fatto il grande salto a Milano per, oggi lo so, occuparsi del marketing di un’azienda che produce software gestionali e roba del genere. 
Ci salutammo con un: “Se dovesse avere la necessità della mia collaborazione, non si faccia scrupoli a chiamarmi”. “Se ne avrò l’occasione, molto volentieri”, rispose lei. E, come in una commedia radiofonica dei vecchi tempi, ha mantenuto la parola. 
Per ora ha parlato di una brochure urgente e altro materiale promozionale. Mi sembra di aver capito che si tratta di rinnovare l’immagine di tutta l’azienda, e che lei occupa un posto chiave in tutto ciò.
Mia moglie, ormai devitalizzata come i denti che, uno alla volta, mi sta uccidendo la dentista, non si fa illusioni. Anzi, sembra quasi sia infastidita da queste telefonate, come se avesse paura o, in qualche modo, fosse ormai stufa di rischiare l’ennesima delusione e, proprio per questo, preferirebbe addirittura evitare le occasioni che potrebbero procurarle.
In ogni caso, martedì ho in appuntamento con questa ragazza, vedremo cosa ne potrà scaturire di buono.

giovedì 3 marzo 2011

Dentisti e direttori

I dentisti sono tutti uguali: trovano sempre modi nuovi e inediti per farti male. E questa non fa eccezione. Mi potessi almeno consolare con le tette dell’assistente appoggiate con noncuranza sul mio braccio. Niente, piatta come un foglio di carta. E poi parla continuamente, allungando le vocali dell’ultima parola di ogni frase: Che ne dice doc, se prenoto i biglietti aerei su internet spendo meenooo?
Non è che sia antipatica, e non lo è nemmeno la dentista, però mi infastidisce che trovino divertente la mia angoscia, l’essere madido di sudore anche in pieno inverno, i tremolii involontari della mia bocca aperta. Certo, sempre meglio di due dita nel culo per farsi palpare la prostata, ma insomma, un po’ di rispetto.
Sono comunque tutti dolori sopportabili se confrontati a quello di non riuscire a portare a casa un lavoro che sia uno.
Il progetto di restyling è stato presentato ieri mattina al solito manager di turno, che però si è preso una settimana di tempo per valutarlo. E questo non è buono.
Avrebbe voluto che l’ex direttore gli fornisse una soluzione su come non perdere 600mila euro l’anno. Ma l’ex direttore ha risposto che non è compito suo fornire soluzioni di questo tipo, ma confezionare un prodotto di qualità che possa essere venduto più facilmente agli inserzionisti. E questo, secondo me, non è buono.
Forse, lo sforzo per inventare qualche scemenza, uno straccio di strategia di marketing anche fasulla, avrebbe potuto farlo.
Non è per essere negativi a tutti i costi, ma con queste premesse non credo si andrà molto lontano.
Inoltre, a questo punto, avrebbe dovuto già presentare anche l’altro lavoro, quello delle cinquanta pagine fatte a fondo perso. Ma il fatto che, fino a ora, non ne abbia ancora parlato, non mi fa ben sperare.

martedì 1 marzo 2011

Il giullare del re

Pendo dalle labbra dell’ex direttore. Al momento non posso fare altro.
Delle cinquanta pagine per cui ho lavorato completamente gratis non so ancora niente, nemmeno se le abbia presentate o meno, mentre l’appuntamento nel quale avrebbe dovuto presentare il progetto di restyling è stato spostato a mercoledì. 
Non posso nemmeno pressarlo troppo da vicino perché è uno che non ama essere scocciato più di tanto, o come dice lui "Non bisogna essere dei rompicoglioni". Bisogna solo pazientare accanto al telefono o la mail in attesa che lui si faccia sentire con qualche novità.
In effetti comincio a capire le perplessità su questo modo di lavorare espresse dall’art director sosia di Karl Marx. 
In sostanza, diceva che nella maggior parte dei casi noi si lavora gratis, senza nemmeno uno straccio di rimborso spese, e l’ex direttore si fa bello proponendo progetti a destra e manca come fossero farina del suo sacco. E poi chi garantisce sugli accordi economici che prende con gli editori? 
In poche parole, chi ci dice che la cifra che incasseremo se il progetto va in porto, sia davvero quella pattuita con l’editore e non invece solo le briciole del panino con cui il direttore si toglie quell’appetito insaziabile che si ritrova? 
Ha ragione, ma le cose stanno così, e in questo momento non ho nessun potere contrattuale in mano. 
Devo fare per forza il giullare di corte e accontentarmi di qualche osso che cade dalla tavole del re.