mercoledì 28 novembre 2007

Quando è meglio andare in pensione...

Leggo sull’Espresso del 22 novembre 2007, un bel pezzo su Antonello Venditti e il suo nuovo cd Dalla pelle al cuore. Cosa normale dati i trascorsi comunisti del nostro Antonello che, altrimenti, mai un giornale come l’Espresso intervisterebbe. Non sono un amante di Antonello Venditti, anzi. Non amo il suo modo di essere romano e romanista, e non ho mai amato le canzoni cor core in mano. Ricordate Corrado Guzzanti all’Ottavo Nano, nel pezzo sul Grande Raccordo Anulare?.
Oggi Antonello ci racconta che: "La vita è sempre doppia, istinto e ragione, fisica e spiritualità", tanto che il buon cronista Edmondo Berselli, lo paragona addirittura a Cartesio, “La res cogitans e la res extensa”. E continua: “Eppure non è schizofrenia, e neanche manicheismo, questa separazione, questo dualismo”. “Sì è vero”, gli risponde Venditti “Dobbiamo saperlo, che siamo tutti Giuda, tutti traditori”. Ecco, bravo Antonello, proprio qui sta il punto, ti sbagli di grosso, perché non siamo tutti traditori, non tutti ci dibattiamo nel dilemma materialismo o spiritualità, fede o politica. Insomma, esistono ancora persone convinte dei propri ideali, che mai tradirebbero la propria fede o le proprie idee; sia in campo materiale che spirituale. Ecco perché se devi parlare di Giuda, è meglio che parli per te stesso che, arrivato alla soglia dei sessanta, ti butti sulla religione, senza nemmeno l’onestà di abbandonare la vecchia fede politica, ma solo per meri motivi economici. Ligabue canta che: “Si nasce incendiari e si muore pompieri”. Sarà vero nel tuo caso caro Antonello, ma per quel che mi riguarda, sono nato pompiere (come tutti i bambini) ma più invecchio, più mi sento incendiario!

lunedì 26 novembre 2007

Bravo Marco!

Conosco uno, si chiama Marco Bacci e fa il giornalista a Max, quel giornale di veline mezze nude. Si occupa di cinema e nuove tecnologie, ma la sua vera passione è scrivere libri. Nell’arco degli ultimi anni ne ha scritti diversi: Il pattinatore, Settimo cielo, Il bianco perfetto della neve, Giulia che mi sfugge, La fidanzata cinese, anche se, mi dispiace dirlo, con scarso successo. Peccato, perché ha una scrittura davvero bella; pulita, fluida, capace di evocare scenari quotidiani oppure fantastici con la stessa forza e credibilità.
Questa volta con il suo ultimo libro, credo che però abbia fatto centro. Si tratta di Supervita, edito da Marsilio.
Supervita è difficile da descrivere. Una serie di racconti concatenati l’uno all’altro, che spaziano dalla fantascienza pop agli X-Files, a Borges, a Gibson, a Dick e Dumas.
Dal sito di Marsilio è possibile scaricare in formato .mp3 un racconto realizzato da Teatro Minimo. Si tratta di Fanteria mentale, storia di una guerra combattuta da cadaveri comandati telepaticamente. Io ci ho trovato un po’ di Fredric Brown e anche qualcosa della nuova generazione di videogiochi tipo Gears of War. In fondo chi non ha mai immaginato, giocandoci, di comandare a distanza soldati di una vera guerra combattuta chissà dove?

lunedì 19 novembre 2007

Giovani trombette

Roberto Saviano assomiglia in modo impressionante a Mehmed Ali Agca, l’attentatore turco di papa Wojtila, ma con meno capelli. Stesso sguardo sprezzante e al tempo stesso beffardo. Stessa aria da guappo che ti guarda di traverso con le labbra atteggiate a perenne broncino. Provate a fare una ricerca su Google immagini e rimarrete sorpresi.
Assurto a inaspettata notorietà per il suo libro Gomorra, nel quale racconta con passione e puntualità fatti e misfatti della camorra napoletana e, a causa del quale, sembra abbia ricevuto minacce di morte.
Il caso, scoppiato su giornali e telegiornali, lo costringe a muoversi sotto scorta anche se non credo che il pericolo sia davvero così reale. Dal libro è stata tratta anche un’opera teatrale di successo tutta a base di facce truci e di “Ti sparo in faccia!” e presto anche un film.
È fermamente convinto che, al di fuori di Napoli e dei suoi abitanti, in Italia nessuno sappia cosa sia la camorra, dimenticando forse che è proprio il tessuto sociale di Napoli e della Campania che ha permesso alla camorra di vivere e prosperare.
Intendiamoci, penso che Gomorra sia un libro di grande valore sociale e di denuncia, uno spaccato visto dall’interno di chi è costretto a vivere nell’insicurezza quotidiana una terra abbandonata da uno Stato a volte addirittura connivente con la malavita. Onore quindi a un giovane giornalista e scrittore così impegnato nel sociale e così innamorato delle proprie radici e della propria terra.
Quello che mi infastidisce non poco è invece, l’atteggiamento da santone di Saviano. Sempre imbronciato, con lo sguardo truce, la parlata sapientemente dosata tra inflessione dialettale e ostentazione della proprietà di linguaggio. Racconta di cose che, in fondo, tutti sanno da anni. Non creda che ai cittadini italiani nulla importi di mafia, camorra e quant’altro. Non creda di farci la lezioncina con la sua aria da intellettuale consumato. Tutte le apparizioni tv, le interviste, gli articoli, ben presto si esauriranno. L’informazione è una brutta bestia: ha bisogno di carne fresca più spesso di quanto non si creda e, quando il "caso Saviano", il giornalista minacciato dalla camorra, avrà stufato pubblico e intellettuali, Saviano e la camorra torneranno a essere i soliti trenta secondi in cronaca nera.
Caro Saviano, fai bene a intervenire in trasmissioni televisive e scrivere articoli su qualunque giornale per spiegare cos’è la camorra, da dove trae la sua forza e le sue connivenze, ma per favore, non fare il santone, non farci la lezioncina, non atteggiarti a consumato intellettuale da prima linea perché, anche se ciò che racconti è vero, lo stile non è di certo quello di un Hemingway all’italiana, ma piuttosto di un onesto cronista.
Per quanto te ne può fregare, cerca di essere meno antipatico, togliti quell’arietta di superiorità, non fare sempre la faccia da duro nelle fotografie, sorridi ogni tanto e cerca di essere un po’ più ironico, perché, in fondo, malgrado tutto, la vita è bella!

martedì 13 novembre 2007

Pezzi di me

L’altro giorno stavo facendo colazione coi cereali Kellogg's.
Mentre mastico, sento qualcosa di duro; boh, penso, sarà il solito chicco non tostato, lo prendo con le dita e lo butto per terra. Poi, passando la lingua fra i denti, mi accorgo di qualcosa che non va: era un pezzo del mio molare!
Per accertarmene cerco per terra, ma non riesco a trovare quel grumetto che avevo buttato. Lo trovo con la scopa; era finito in anticamera.
Non avrei mai pensato che un giorno avrei avuto bisogno della scopa per trovare un pezzo di me stesso...

domenica 11 novembre 2007

Vecchi tromboni 2

Devo ammetterlo, non sono mai stato un esperto di musica, men che meno di quella classica. Se parliamo degli anni ‘70 e’80 ancora ci arrivo, ma non ho mai saputo a memoria le formazioni dei gruppi come alcuni miei amici. Se mi chiedete i nomi dei Pink Floyd, così su due piedi mi viene in mente solo David Gilmour, non parliamo degli Who: Roger Daltrey e poi basta.
Non conosco nemmeno i titoli dei dischi, anche se le illustrazioni invece potrei descriverle a menadito. Questo non significa che non conoscessi la musica, solo che non m’importava e non m'importa più di tanto di come si chiamassero esattamente i musicisti e il titolo di ogni singolo pezzo. Per la musica classica il discorso è simile; l’ho sempre ascoltata, compresa l’opera. Alcune cose mi piacciono, altre meno, come penso un po’ tutti. D’accordo, alcuni pezzi sono leggermente difficili da capire, ma anche in questo caso, non m’importa molto della struttura di opere, sonate, partiture eccetera. Ascolto e giudico da profano. Mi lascio guidare dalle emozioni, dalla pancia e dalle orecchie.
Anche Riccardo Muti, che non mi pare certo l’ultimo arrivato, sembra seguire questo pensiero. In una recente intervista ne dice di belle. Per esempio, che si sta occupando del recupero della musica napoletana del ‘700 che: “È all’origine di tante cose, compresa l’opera di Mozart”. In fondo, non dimentichiamo che il meraviglioso Flauto Magico non era stato di certo composto per orecchie nobili, ma come scherzo per il popolo. E, a proposito degli innumerevoli teatri che quasi ogni comune d’Italia può vantare: “Perché i comuni non li riaprono e li affidano alle compagnie di dilettanti, di giovani, agli artisti di strada? [...] Un’altra straordinaria ricchezza che rischia di sparire è quella delle bande comunali. Molte amministrazioni hanno deciso di chiuderle, magari per destinare altri soldi alle mode delle notti bianche e dei fuochi d’artificio, ormai d’obbligo in qualsiasi contrada del belpaese”.
Probabilmente, come per le formazioni dei gruppi rock, c’è chi la pensa diversamente, credendo che se non si conoscono a menadito nomi, formazioni, partiture, titoli e strutture, non sia possibile apprezzare la musica colta e non. Parlo di tal Claudio Strinati, che nelle sue coltissime recensioni di classica sul Venerdì de La Repubblica, tocca livelli di incomprensibilità quasi irraggiungibili. Ecco alcune perle che ho raccolto in queste ultime settimane.
A proposito di un cd del pianista bulgaro Vesselin Stanev: “Il linguaggio è esasperato e patetico, la costruzione del brano è sganciata da qualunque esigenza di consequenzialità e logica deduttiva. [...] La Sonata n. 2 op. 19 è una sorta di urlo nel silenzio in cui un titano dai piedi d’argilla si aggira in una landa desolata e remota ossessionato da una costante armonica che non assume mai forma compiuta ma si attorce su se stessa svelando continue mutazioni”.
Per un cd di Edward Elgar - The Dream of Gerontius - spara questa minchiata: “È curioso notare come la musica non sia affatto onirica, ma concretamente aderente alla sostanziale statica del sentimento dominante che circola nella cospicua partitura, rendendola una dolcissima elegia memore dell’ultimo Ciajkovskij e di Cesar Franck”.
Questa forse è la migliore; si parla del cd di Gideon Kremer - Kremerata Baltica - con pezzi di Mahler e Shostakovich: “Ora in questa commovente sinfonia scarica un grido soffocato che incalza l’ascoltatore trasportandolo in un iperuranio negativo dove l’ineluttabilità della morte è espressa dall’ineluttabilità del linguaggio liberato dalle lusinghe della piacevolezza ma icastico e audace”. Chissà che cazzo vorrà dire! Meglio che mi fermi, altrimenti mi scoppierà la testolina.
Questo solo per valutare la differenza tra chi la musica colta la fa, la dirige, la divulga, la incoraggia e chi, probabilmente non sapendo suonare neanche il piffero, ne parla come se solo lui potesse conoscere e spiegare il segreto di tanta cultura. Insomma, più si parla difficile, meno cose si hanno da dire!
Caro Claudio Strinati: quattro giri di chiglia!

mercoledì 31 ottobre 2007

Amici!

Nuova uscita a cena con il "lungo" e il "corto". Piove, ma è normale: anche in pieno agosto, il "lungo", ha la facoltà di attirare il brutto tempo. Sempre e comunque.
Quando ci siamo sentiti al telefono gli ho raccomandato di portarci in un bel posto. Ormai non mi fido più delle dritte del "corto". "Vai tranquillo, ci penso io", mi dice. Solo quando è troppo tardi realizzo dove ci ha portato. Si tratta della Bocciofila Caccialanza in via Padova. Prenotando, si può anche mangiare e si spende poco. Se volete farvi un'idea del posto andate su YouTube e digitate Tra 5 minuti. È un videoclip di Morgan, girato integralmente all'interno della bocciofila.
Al bar ci sono solo due o tre persone; noi ci sistemiamo in una specie di gabbiotto con i vetri di plexiglass in giardino, dove fa un freddo cane, però si può fumare. Lo usano anche per le feste di compleanno, infatti su un vetro c'è ancora appiccicato un Happy Birthday di cartone. Il menu non esiste; di primo ci sono tagliatelle ai funghi, oppure spaghetti al ragù. Per secondo, controfiletto alla vodka?! O cotoletta alla milanese. Il gestore è un tipo simpatico, sui cinquanta. Ogni tanto, entra nel gabbiotto cantando: "Siamo rimasti in tre, tre somari e tre briganti..." che alluda a noi?
Per antipasto, qualche fetta di uno strano salame piccante e di prosciutto crudo. Le olive promesse rimangono solo una buona intenzione. Peccato che il pane non sia molto fresco, anzi, direi a rischio otturazioni. Le tagliatelle ai funghi non sono male, il filetto invece, praticamente crudo ma di buona qualità. Il "lungo" si è abbuffato di tagliolini ai frutti di mare e un fritto misto un po' sparagnino. In compenso ha già bevuto una bottiglia di bianco e comincia la tiritera dei: "Ti ricordi di Vincenzo? Quello col fratello mezzo delinquente. L'ho visto l'altro giorno, ha i capelli grigi, però ce li ha ancora tutti, il bastardo!". Io non ricordo nessuno di quelli che menziona. Mi domando come mai.
Alla fine del secondo entra una coppia a bere e fumare, mentre noi diamo fiato ai nostri sigari cubani, e il gestore ci piglia per il culo: "Vedo che siamo passati all'artiglieria pesante!".
Piove ancora a dirotto e ce li fumiamo insieme a un bicchierino di vin santo chiaccherando delle solite cose. Il "corto", che ha smesso di fumare almeno tre o quattro volte, alterna il sigaro alle Lucky Strike, sogna di comprare un calcio balilla e racconta di quando il ras del quartiere andava a scopare al cinema Giada con due tirapiedi che non facevano sedere nessuno nell'ultima fila della galleria, ma io non mi ricordo né di lui né dei suoi tirapiedi.
La serata passa in fretta e, malgrado tutto, devo dire che questa volta sono stato bene. Peccato che per tutta la notte mi sono rivoltato nel letto; dei brutti ceffi mi inseguivano per uccidermi, tanto che alla fine ho dovuto farli fuori a coltellate. Che sia stata la vendetta del ras del quartiere, o quella delle tagliatelle ai funghi?

lunedì 29 ottobre 2007

Odio il mio lavoro

No, non è vero che odio il mio lavoro. In realtà lo amo profondamente perché è creativo, perché ogni nuovo progetto che affronto mi dà ancora quell'eccitazione, quella voglia di fare qualcosa di bello, quella soddisfazione di aver realizzato un lavoro ben fatto. In fondo, con l'esperienza accumulata in questi anni, credo di essere diventato piuttosto bravo. Non mi assalgono più le ansie da prestazione dei primi tempi e, se qualche volta la creatività non ne vuol sapere di intervenire, ci pensa il mestiere a risolvere la situazione. Quindi tutto rose e fiori vero? No, putroppo come ogni medaglia ha il suo rovescio, anche questo lavoro ha i suoi difetti. Difetti che posso sintetizzare in due parole: committenza e remunerazione. Troppo spesso devo combattere contro un'arroganza e una supponenza che non sono sostenute da reale conoscenza. Perché siamo italiani e, in quanto tali, tutti allenatori della nazionale. Non vogliamo concepire che imparare un lavoro richiede tempo, fatica e sacrifici. Per esempio, se si rompe la braga del water, chiamerò l'idraulico, come chiamerò l'elettricista se devo installare una presa a terra. Ma quando si tratta di essere creativi allora è tutto un altro discorso: ognuno ha il suo parere, il suo suggerimento, la sua idea geniale che, immancabilmente, o è irrealizzabile oppure di creativo ha davvero ben poco. Non parliamo poi di quanto sia difficile farsi pagare decentemente per qualcosa che viene giudicato così aleatorio e intangibile. Insomma: Ofelè fa el to mestè che, per chi non lo sapesse, significa: Pasticcere fai il tuo mestiere.

domenica 21 ottobre 2007

Ma è tutto vero?

Tutte notizie di questi ultimi giorni.
Il petrolio ha sfondato quota 90,07 dollari per un barile. Pare che la minaccia di Bin Laden lanciata qualche anno fa, secondo la quale il prezzo del petrolio avrebbe superato i 100 dollari al barile, mettendo in ginocchio gli Stati Uniti e tutte le economie occidentali, si avvicini sempre più. Ma, a quanto pare, nessuno se ne ricorda.
Il pane, non si discosta molto dal comportamento del petrolio (anche se si fa con la farina). Il signor Barilla, che invece fabbrica pasta, dice che il prezzo del grano è raddoppiato negli ultimi dodici mesi e perciò, un aumento dei listini del 15% è, secondo lui, più che onesto. Secondo l'Adoc invece (www.adoc.com), non dice il vero, dato che il prezzo del grano è sì aumentato (da 167 a 206 euro la tonnellata, con un icremento inferiore al 25%), ma non dice però che nel 2005, la quotazione ha raggiunto il minimo storico con un prezzo di 140 euro a tonnellata, senza che nessun produttore si sia lontanamente sognato di abbassare i prezzi. Non è nemmeno tanto chiaro come mai si parta da una materia prima che costa 0,26 euro al chilo, per arrivare a un prodotto finito che costa 1,14 euro, con un ricarico del 338%.
Clemente Mastella, ministro della giustizia!? indagato dalla Procura di Catanzaro per concorso in truffa, finanziamento illecito ai partiti, abuso d'ufficio e violazione della legge Anselmi sulle associazioni segrete (per chi non lo sapesse Mastella è anche iscritto alla Massoneria, tessera n. 52947 come ha rivelato lui stesso durante una conferenza stampa a Roma). La sua reazione è stata: "Non mi dimetto, sono una persona per bene e non sono mai stato massone". Caro Prodi, ho la vaga sensazione che prima che il gallo canti, Mastella ti tradirà per almeno tre volte...
Putin dichiara: La Russia svilupperà nuovi armi atomiche e nuovi sistemi missilistici strategici. Perché? È solo propaganda? Perché difendere le scelte nucleari dell'Iran? Perché un annuncio del genere quando sembrava ormai consolidato lo smantellamento degli arsenali nucleari?
Francesco Storace, visto che Alleanza Nazionale non gli sembrava abbastanza "fascista" ha fondato un nuovo partito: La destra (qualcuno se n'era accorto?) e subito parte alla grande: "Rita Levi Montalcini è una vecchia rincoglionita", e le fa recapitare a casa un paio di stampelle, "Così potrà sostenere meglio un governo zombi". Però non gli basta, al monito del presidente Napolitano risponde che: "Giorgio Napolitano non ha alcun titolo per distribuire patenti etiche". Finirà in niente, ma almeno è stata concessa l'autorizzazione a procedere nei confronti di Storace per "offesa all'onore e al prestigio del Presidente della Repubblica".
Pakistan: l'ex premier Benazir Bhutto è scampata al più grave attentato terroristico della storia Pakistana. 138 morti e 400 feriti in un attentato che avrebbe dovuto chiudere la bocca a chi sogna di portare la democrazia in un paese che probabilmente non la vuole.
Cogne, Annamaria Franzoni, condannata a 16 anni in secondo grado, continua a proclamarsi innocente e rilasciare dichiarazioni come farebbe una rockstar. Ma quando lo facciamo il processo di terzo grado e mandiamo in galera l'assassina di un bambino e tutti quelli che continuano a coprirla? (marito, padre, l'avvocato Taormina che ha inquinato le prove).
Certe volte mi domando: ma è tutto vero oppure è solo un sogno e, prima o poi, mi sveglierò in un mondo migliore? Un mondo senza fascisti, senza dittatori megalomani e filonucleari, senza terroristi ottusi e accecati da falsi profeti, senza squali della finanza che fanno girare il mondo secondo le quotazioni di Wall Street. Non lo so, ma credo proprio che anche un pirata avrebbe paura di un mondo come questo.

lunedì 8 ottobre 2007

Figli di papà

Repubblica, giovedì 4 ottobre 2007. Pagina XIII del dorso milanese.
Titolo: La ragazzina nel budoir, "Io, quattordicenne amerò un gentiluomo"
Occhiello: Maria Elisabetta Scavia, buona famiglia e tanta fantasia, debutta con un romanzo su una passione proibita.
Il romanzo si svolge in Inghilterra nel XVIII secolo, e racconta di una relazione peccaminosa e dissoluta colma di momenti erotici e "sentimenti tempestosi" fra un gentiluomo sessantenne e illuminista (sì, proprio sessantenne) e una aristocratica quattordicenne. Il tutto per oltre 400 pagine edite da Mondadori.
Non voglio entrare nel merito del romanzo che non ho letto e nemmeno leggerò mai. E nemmeno commentarne la trama che mi pare evidenzi un rapporto edipico a dir poco preoccupante. È molto più divertente analizzare l'articolo in sé stesso, quale omaggio alla classe abbiente che gode, a quanto pare, di privilegi e diritti negati alla maggior parte dei comuni cittadini.
La Repubblica è ormai diventata la voce del padrone, cantrice e giullare del ricco e del potente e, come tale, non può che omaggiarlo in forme che solo qualche anno addietro sarebbero state quanto meno imbarazzanti.
L'autrice dell'articolo, Sara Chiappori (parente forse del famoso disegnatore umoristico?), esibisce tutte le migliori doti di adulatrice scrivendo cose come: "C'è un po' del fascino ribelle di Lady Oscar [...] C'è qualcosa di Orgoglio e pregiudizio e un vago sapore da romanzo libertino secondo la sensibilità di una teenager", e, senza nemmeno un filo di ironia ma probabilmente convinta delle minchiate che scrive, continua: "Maria Elisabetta Scavia è una ragazzina che non è mai stata baciata [sic] e scrive proiettando sulla pagina le storie che vorrebbe vivere [!?] e i sogni acerbi di una teenager che non ha bisogno di aver fatto sesso per poterlo descivere". Ma non finisce qui la brava Sara Chiappori e, su un giornale che in teoria si definiva di sinistra, riesce a tessere in questo modo l'elogio del ricco, del potente, della rete di amicizie influenti: "Maria Elisabetta, milanese, è figlia di una famiglia più che bene, colta e cosmopolita: il padre, Fulvio Maria, è erede della famiglia di gioiellieri Scavia, firma di lusso dal 1923, due negozi a Milano (piazza Cavour e via della Spiga) e clienti da Dubai a Tokyo, da Bangkok a New York".
Non voglio abbassarmi a commentare l'evidente promozione ai negozi del papà, ma che Scavia sia un inserzionista storico del supplemento femminile de La Repubblica 'D', questo sì, lo voglio dire. Ma sentiamo cosa ci racconta ancora Sara la bavosa: "La madre, Roberta, disegna una linea di accessori con lo stesso marchio - C'è anche una bella foto della scrittrice in erba addobbata con un abito disegnato dalla madre, come la precisa didascalia non manca di puntualizzare - La ragazzina scrittrice, infanzia passata tra viaggi, frequentazioni superselezionate, studi in casa con un precettore per evitare una scuola vissuta come gabbia [...]. Tutti gli anni l'1 dicembre i miei genitori organizzano una festa al Four Season e ogni volta spero di non annoiarmi a morte e fare qualche incontro emozionante".
Ragazzi, ma qui siamo in piena monarchia; lo studio con un precettore che fa tanto Leopardi, solo che in questo caso lo studio matto e disperato non ha fruttato scritti come la Storia dell'astronomia o il Saggio sugli errori popolari degli antichi, ma un misero fouilletton con pruderie erotico-geriatriche. Non sono servite, a quanto pare, le frequentazioni superselezionate (potrà mai un ragazzo proletario rubare il cuore dell'aristocratica fanciulla?) e tanto meno le feste al Four Season per emozionare la capricciosa ragazza. Sara Chiappori ci racconta anche che l'intraprendente scrittrice utilizza internet per cercare (e trovare!) su Google i riferimenti di qualche editore e, ma guarda un po', ha trovato subito il nominativo di Gabriella Ungarelli, responsabile della varia di Mondadori. Peccato che sul sito della Mondadori non ci sia nessun modo di contattare per email la signora Ungarelli, anzi, è chiaramente scritto che: "Se vuoi sottoporre un manoscritto o una tua proposta editoriale alle Edizioni Mondadori, non usare la email ma contatta la Segreteria Letteraria della casa editrice al numero ecc.". Che ci sia lo zampino delle conoscenze influenti e superselezionate del papà? Boh.
La brava Sara Chiappori non dimentica di chiudere l'articolo con l'ultima cazzata: "Nel cassetto di Maria Elisabetta, intanto, è pronto un nuovo romanzo: 800 pagine su un'altra bruciante storia d'amore, questa volta però ambientata a Miami negli anni 2000".
Cazzo! Siamo impazienti di leggere la prossima recensione che, ne sono sicuro, verrà cortesemente sollecitata dal padre inserzionista. Sempre che, nel frattempo, non arrivi una rivoluzione francese all'italiana che invece di tagliare la testa ai nobili, tagli quel po' di coglioni che sono rimasti a noi poveri esseri comuni e mortali.
PS: cara Sara Chiappori, ma dopo una recensione di una pagina intera su La Repubblica, per quanto tempo ti fa male la mascella?

sabato 29 settembre 2007

Vecchi tromboni

La Repubblica di venerdì 28 settembre 2007, pagina 46 della cultura.
Un'intera mezza pagina è dedicata all'anticipazione del libro di Giampaolo Pansa (firma storica de La Repubblica) I gendarmi della memoria, Sperling & Kupfer 2007.
In fondo è normale che il quotidiano per il quale scrive uno fra i più noti giornalisti italiani, gli dedichi uno spazio in concomitanza con l'uscita del suo nuovo libro.
Meno comprensibile è l'argomento del libro; il distico dell'articolo recita così: "I gendarmi della memoria, racconta il contrastato successo del precedente La grande bugia: gli attacchi, le contestazioni, le reticenze".
Credo che nessuno scrittore sia mai stato tanto megalomane, magniloquentemente innamorato di sé stesso e arrogante da scrivere un libro che abbia per oggetto un precedente libro sempre scritto da lui medesimo. Ebbene Pansa ce l'ha fatta! Anzi, sarebbe una bella idea se fossimo nel puro romanzo; un libro su di un libro, magari inesistente.
Purtroppo i libri di Pansa esistono, ed esistono entrambi. Per chi non lo sapesse, il libro La grande bugia, Sperling & Kupfer 2006, racconta delle faide interne all'Italia durante e subito dopo la Seconda Guerra Mondiale, con particolare attenzione al cosiddetto Triangolo della morte (http://it.wikipedia.org/wiki/Triangolo_della_morte) emiliano e agli inevitabili strascici che la fine di ogni guerra comporta. Insomma, se non si tratta di un libro revisionista, certamente non tratta bene i partigiani comunisti, comparando stragi e assassinii fascisti a vendette personali e politiche che insanguinarono il primissimo dopoguerra.
Probabilmente rientra nel filone DS di questi ultimi anni, ovvero: "Facciamoci del male da soli, visto che Berlusconi ha già tanto da fare", anche se non credo che sia tutto così semplice. Credo piuttosto che ci siano persone che tradirebbero la propria stessa madre per fama e soldi.
E Pansa è una di queste.
Che dire adesso del nuovo libro, basato sul presunto successo del precedente. Forse la morale è che: ora che il governo traballa, è meglio ricordare al prossimo potente di turno, che ci sarà sempre qualcuno disposto a versare merda addosso a chiunque per dimostrare che, malgrado l'età, la lingua è ancora agile e ben lubrificata, capace di leccare e pulire ogni anfratto.
Se dipendesse da me, la taglierei quella lingua biforcuta!

mercoledì 19 settembre 2007

Amici!?

Ho un amico, "il corto", che fa il tassista a Milano. Ogni tanto, usciamo a cena insieme a un altro amico di lunga data, che chiameremo "il lungo".
Visti insieme non facciamo una bella figura; se fossimo una canzone dello Zecchino d'Oro saremmo Il lungo, il corto e il pacioccone, anche se pure il corto ha una bella pancia.
Penso sempre che passeremo una bella serata: che so, mangiare bene in un posto tranquillo, fumare un buon sigaro cubano sorseggiando vino passito e magari ascoltare musica del secolo scorso chiaccherando del più e del meno. Invece, il giorno dopo, sono sempre profondamente deluso, non so se per colpa degli amici, o per le mie eccessive aspettative.
Il "corto" è decisamente un megalomane e pensa di essere un raffinato gourmet. Peccato che non mangi formaggio in ogni declinazione e voglia sempre decidere lui dove cenare. La maggior parte delle volte finiamo in posti così malinconici e squallidi che quasi mi viene da piangere. Come quando siamo finiti alla pizzeria ristorante Orient Express in via Breda. Un locale così sciatto, sporco e dal menu talmente sospetto, che ho deciso per il male minore: una pizza. Oppure quell'altra volta in cui pensando di fare una cosa spiritosa, siamo finiti da Pastarito Pizzarito, che mi pare non abbia bisogno di essere commentato.
Spesso, durante il pasto, ammutolisce e comincia ad attorcigliarsi un orecchio su sé stesso. È come se, improvvisamente, si fosse rotto le palle e desiderasse essere in qualunque altro posto tranne che con noi. Inutile dire che finisce immancabilmente a parlare di figa ma, visto che siamo tutti sposati, più che rallegrarci, finisce con l'intristire un po' tutti.
Il "lungo" va in giro con la guida Osterie d'Italia di Slow Food, anche se ordina sempre spaghetti ai frutti di mare e impepata di cozze. Da giovane si è spezzato mille volte le gambe in moto, così da qualche anno, ha deciso di muoversi esclusivamente in camper. È così buono e accomodante, che la moglie lo comanda a bacchetta; anche la sera che si mangia insieme, non esce di casa se non ha preparato da mangiare per i figli. Questo fa sì che, alle otto e mezza, si discuta ancora su quale ristorante scegliere. Poco male, se non fosse che, come tre cenerentole bolse e attempate, si rientri a casa intorno a mezzanotte. Parla sempre con un tono di voce appena percettibile, sia che ci si trovi in una trattoria affollata di cafoni urlanti, che in una via deserta e silenziosa. Spesso non capisco quello che dice, così a seconda della sua espressione, faccio segno di sì, no, o atteggio una smorfia che vada bene un po' per tutto. Non credo che soffra già di aterosclerosi, però è un fatto che racconti sempre le stesse cose. Ecco forse spiegato il perché delle improvvise assenze del "corto".
Quando torno a casa sbotto regolarmente in un: "Io con quei due non ci esco più! Mi sento come alla bagina: uno che ripete sempre le stesse cose, l'altro che pare farci un favore!". Ma che ci posso fare, sono gli unici due amici che ho, ci conosciamo da quasi quarant'anni e forse è per questo che ci stiamo un po' sul cazzo, come quelle vecchie coppie ormai scoppiate. Solo che noi, al posto di essere solo in due, siamo in tre!

lunedì 17 settembre 2007

Paura, vero?

Vedo e sento qua e là i commenti al Vaffanculo Day organizzato da Beppe Grillo.
La prima cosa che mi colpisce è l'ipocrisia: nessuno che lo chiami come dovrebbe. Eppure ci mandiamo affanculo tutti i giorni. C'è chi lo chiama il V-Day, chi il Vaffa Day e chi addirittura "colorita espressione" (Fede). Ma che stupido, è vero! Solo noi volgari ignoranti, lercia plebe, grezzi individui usiamo le parolacce, loro no, loro ce la mettono in culo col sorriso, con sussurri complimentosi, col latino clericale, così nemmeno ce ne accorgiamo.
Ingenuamente, credevo che uno come Grillo avrebbe raccolto reazioni diverse. Invece il più bonario è stato quel vecchio trombone di Eugenio Scalfari, che ormai gioca a fare il filosofo, il politologo cortese, ma che da trent'anni non fa altro che sostenere la politica dei Ds. Secondo lui, i 300mila che hanno firmato la proposta di Grillo (accettabile, inaccettabile, opinabile finché volete, ma costituzionalmente libera di essere espressa), sarebbero un popolo che: "Cerca il Giudizio Universale, una purificazione collettiva. Il regno dei giusti dopo la devastazione dell'apocalisse che punisca i corrotti e i malvagi". Ma che belle parole caro Scalfari! Tu che eri in prima fila nel lapidare Bettino Craxi e la sua combriccola di "corrotti e malvagi". Adesso ci dici che il riformismo non si fa in questo modo: "Si accontenta di un passo per volta. Purché non sia un passetto, ma un passo decisivo". Ma questi passettini andranno bene per te, che ormai sei un vecchietto con la pancia piena. Vallo a raccontare a chi non tira la fine del mese e che poi vede Mastella e famiglia usare l'aereo di stato per guardarsi il Gran Premio di Monza, in puro stile democristiano. Ma non basta, arrivi a dire che: "Solo il 30 per cento del centrodestra è sensibile agli appelli di Grillo, perché il centrodestra il suo Grillo ce l'ha già e se lo tiene ben stretto. Si chiama Silvio Berlusconi". Eh no, troppo facile dare del fascista e fomentatore dell'antipolitica a chi incarna la nausea per il sistema politico. Troppo evidente la sua voglia, caro signor Scalfari, di salvare il culo ai suoi beniamini, compreso Massimo D'Alema, che attacca Grillo accusandolo di derive fasciste e che giustamente viene demolito così: "D'Alema, baffino, quello che mi accusa di derive fasciste ma che qualche tempo fa telefonava a Fiorani in mutande, chiedendogli se facevano insieme una banca".
Caro Scalfari, il "passo" che dovremmo fare sarebbe quello di dare una bella ripulita alla politica; fuori dalle palle i condannati, i delinquenti, i puttanieri cocainomani che ci fanno la predica in tv, quelli che vanno a trans dicendo che stavano solo chiedendo un'indicazione, i senatori a vita rincoglioniti, i mafiosi (ha ragione Grillo a dire: "Ma quale mafia? La mafia è lo Stato, la mafia è stata corrotta dallo Stato, che gestisce gli affari sporchi attraverso le sue istituzioni"). Questo è il "passo" di cui avremmo bisogno, ma che nessuno mai sarebbe disposto a fare, caro Scalfari, né la destra con i suoi Previti, povere vittime d'ingiustizie, né il centro con i suoi Mastella, privilegi e raccomandazioni, né la sinistra con suoi D'Alema, il baffetto arrogante e spocchioso.
Allora sai che cosa ti dico? Vaffanculo pure tu, servo del potere!

sabato 15 settembre 2007

Il troppo stroppia

Su Repubblica di venerdì 14 settembre c'è una breve intervista a Guido Ceronetti, intervenuto alla Conferenza Nazionale sui cambiamenti climatici 2007 tenutasi al Palazzo della FAO di Roma. (http://www.conferenzacambiamenticlimatici2007.it/site/it-IT/).
Non è affatto strano che un uomo di così grande sensibilità e cultura si interessi a un argomento del genere e, naturalmente, ha saputo esporre in poche frasi, grandi verità di cui sembra che nessuno voglia rendersi conto.
In poche parole si dice soddisfatto dell'interesse che la politica sembra dimostrare verso un tema così importante e si domanda come mai nessuno affronti la questione demografica, questione che, secondo lui, è alla base dei problemi climatici. "Siamo tanti, tantissimi, probabilmente troppi. Più di quanti la Terra possa sopportare senza stravolgere il delicato equilibrio dell'ecosistema". È vero, è una questione fondamentale. Tante volte ho pensato a come il nostro pianeta potrà sostenere una popolazione che continua a crescere a dismisura e che consuma sempre di più. Secondo una ricerca effettuata dalle Nazioni Unite, la popolazione mondiale potrebbe aumentare dagli attuali 6,3 miliardi di individui, a 9 miliardi nel 2050. (http://www.un.org/esa/population/unpop.htm). Secoli addietro erano le guerre, la fame e le malattie a tenere sotto controllo una popolazione che, in alcuni periodi, si era ridotta drasticamente. Ma oggi? Guerre e malattie esistono ancora, principalmente nelle zone più depresse del globo, ma per fortuna non così terribili da risultare uno strumento di controllo demografico. E allora? Ceronetti sostiene che: "L'uomo è ingovernabile, pensiamo di riuscire a decidere, di utilizzare la ragione per scegliere una strada, ma non è mica vero. Siamo mossi da altro. Gli esseri umani sono assolutamente imprevedibili".
Per chiudere citerò l'ultima sua dichiarazione al giornalista, che gli chiede se gli piacciano le persone che ha visto alla Conferenza . "Ma li ha visti bene? Non quello che dicono, come sono. È gente che consuma. È gente che si fa la doccia tutti i giorni, io la odio la doccia". (http://it.wikipedia.org/wiki/Guido_Ceronetti).

venerdì 14 settembre 2007

Benvenute, carogne!

Siamo naufraghi di un mare in tempesta, scuro e maligno. Scomparsa la percezione dell'orizzonte tutto si confonde, i colori annichiliti, solo piombo sporco, come l'acqua salata che brucia gli occhi e arriccia la pelle. Tremiamo di freddo e paura.
Una forma scura si avvicina, più nera del cielo in tempesta, più veloce delle onde, quasi volasse sull'acqua. Sbattuti come turaccioli senza controllo, la perdiamo di vista per ritrovarcela vicino, così vicino da sentirne l'odore di alghe putride e legno marcio. Veniamo strappati dall'acqua allo stesso modo in cui si strattona una vecchia marionetta di legno e dopo un miserabile balletto come di un impiccato con una corda troppo lunga, veniamo scaraventati su lisce assi di legno sbiancate dal mare.
La prima cosa che scorgiamo attraverso le palpebre incollate dal sale sono dei piedi; piedi sporchi, pelosi, con le unghie gialle e rotte che sembrano incollati all'assito malgrado la nave, perché di nave si tratta, beccheggi tra le onde. Corriamo con lo sguardo su per l'albero maestro, fino alla cima che pare lontana chilometri. Quello che sembra uno straccio nero e stracciato sventola impazzito, ma appena una folata più violenta lo spiega completamente, rivela due tibie incrociate e un teschio sdentato. Pirati!
Non ci crediamo, non può essere, no davvero! Siamo morti e questo è l'inferno a cui non abbiamo mai creduto che ci spalanca le sue terribili porte. Succede sempre così, credi di essere ancora vivo, senti, tocchi, vedi, e invece è tutto un trucco, un'illusione creata dagli ultimi bagliori di elettricità di un cervello morente.
Ma che questo sia un sogno oppure no, non ce ne importa niente. Pirati! La libertà del mare, nessun servo e nessun padrone, il vento sulla faccia che pare di cuoio, fare solo ciò che il cuore vuol fare, infischiarsene delle regole e dei doveri, della convivenza civile e della buona educazione.
Benvenute a bordo, brutte carogne!