mercoledì 28 novembre 2007

Quando è meglio andare in pensione...

Leggo sull’Espresso del 22 novembre 2007, un bel pezzo su Antonello Venditti e il suo nuovo cd Dalla pelle al cuore. Cosa normale dati i trascorsi comunisti del nostro Antonello che, altrimenti, mai un giornale come l’Espresso intervisterebbe. Non sono un amante di Antonello Venditti, anzi. Non amo il suo modo di essere romano e romanista, e non ho mai amato le canzoni cor core in mano. Ricordate Corrado Guzzanti all’Ottavo Nano, nel pezzo sul Grande Raccordo Anulare?.
Oggi Antonello ci racconta che: "La vita è sempre doppia, istinto e ragione, fisica e spiritualità", tanto che il buon cronista Edmondo Berselli, lo paragona addirittura a Cartesio, “La res cogitans e la res extensa”. E continua: “Eppure non è schizofrenia, e neanche manicheismo, questa separazione, questo dualismo”. “Sì è vero”, gli risponde Venditti “Dobbiamo saperlo, che siamo tutti Giuda, tutti traditori”. Ecco, bravo Antonello, proprio qui sta il punto, ti sbagli di grosso, perché non siamo tutti traditori, non tutti ci dibattiamo nel dilemma materialismo o spiritualità, fede o politica. Insomma, esistono ancora persone convinte dei propri ideali, che mai tradirebbero la propria fede o le proprie idee; sia in campo materiale che spirituale. Ecco perché se devi parlare di Giuda, è meglio che parli per te stesso che, arrivato alla soglia dei sessanta, ti butti sulla religione, senza nemmeno l’onestà di abbandonare la vecchia fede politica, ma solo per meri motivi economici. Ligabue canta che: “Si nasce incendiari e si muore pompieri”. Sarà vero nel tuo caso caro Antonello, ma per quel che mi riguarda, sono nato pompiere (come tutti i bambini) ma più invecchio, più mi sento incendiario!

lunedì 26 novembre 2007

Bravo Marco!

Conosco uno, si chiama Marco Bacci e fa il giornalista a Max, quel giornale di veline mezze nude. Si occupa di cinema e nuove tecnologie, ma la sua vera passione è scrivere libri. Nell’arco degli ultimi anni ne ha scritti diversi: Il pattinatore, Settimo cielo, Il bianco perfetto della neve, Giulia che mi sfugge, La fidanzata cinese, anche se, mi dispiace dirlo, con scarso successo. Peccato, perché ha una scrittura davvero bella; pulita, fluida, capace di evocare scenari quotidiani oppure fantastici con la stessa forza e credibilità.
Questa volta con il suo ultimo libro, credo che però abbia fatto centro. Si tratta di Supervita, edito da Marsilio.
Supervita è difficile da descrivere. Una serie di racconti concatenati l’uno all’altro, che spaziano dalla fantascienza pop agli X-Files, a Borges, a Gibson, a Dick e Dumas.
Dal sito di Marsilio è possibile scaricare in formato .mp3 un racconto realizzato da Teatro Minimo. Si tratta di Fanteria mentale, storia di una guerra combattuta da cadaveri comandati telepaticamente. Io ci ho trovato un po’ di Fredric Brown e anche qualcosa della nuova generazione di videogiochi tipo Gears of War. In fondo chi non ha mai immaginato, giocandoci, di comandare a distanza soldati di una vera guerra combattuta chissà dove?

lunedì 19 novembre 2007

Giovani trombette

Roberto Saviano assomiglia in modo impressionante a Mehmed Ali Agca, l’attentatore turco di papa Wojtila, ma con meno capelli. Stesso sguardo sprezzante e al tempo stesso beffardo. Stessa aria da guappo che ti guarda di traverso con le labbra atteggiate a perenne broncino. Provate a fare una ricerca su Google immagini e rimarrete sorpresi.
Assurto a inaspettata notorietà per il suo libro Gomorra, nel quale racconta con passione e puntualità fatti e misfatti della camorra napoletana e, a causa del quale, sembra abbia ricevuto minacce di morte.
Il caso, scoppiato su giornali e telegiornali, lo costringe a muoversi sotto scorta anche se non credo che il pericolo sia davvero così reale. Dal libro è stata tratta anche un’opera teatrale di successo tutta a base di facce truci e di “Ti sparo in faccia!” e presto anche un film.
È fermamente convinto che, al di fuori di Napoli e dei suoi abitanti, in Italia nessuno sappia cosa sia la camorra, dimenticando forse che è proprio il tessuto sociale di Napoli e della Campania che ha permesso alla camorra di vivere e prosperare.
Intendiamoci, penso che Gomorra sia un libro di grande valore sociale e di denuncia, uno spaccato visto dall’interno di chi è costretto a vivere nell’insicurezza quotidiana una terra abbandonata da uno Stato a volte addirittura connivente con la malavita. Onore quindi a un giovane giornalista e scrittore così impegnato nel sociale e così innamorato delle proprie radici e della propria terra.
Quello che mi infastidisce non poco è invece, l’atteggiamento da santone di Saviano. Sempre imbronciato, con lo sguardo truce, la parlata sapientemente dosata tra inflessione dialettale e ostentazione della proprietà di linguaggio. Racconta di cose che, in fondo, tutti sanno da anni. Non creda che ai cittadini italiani nulla importi di mafia, camorra e quant’altro. Non creda di farci la lezioncina con la sua aria da intellettuale consumato. Tutte le apparizioni tv, le interviste, gli articoli, ben presto si esauriranno. L’informazione è una brutta bestia: ha bisogno di carne fresca più spesso di quanto non si creda e, quando il "caso Saviano", il giornalista minacciato dalla camorra, avrà stufato pubblico e intellettuali, Saviano e la camorra torneranno a essere i soliti trenta secondi in cronaca nera.
Caro Saviano, fai bene a intervenire in trasmissioni televisive e scrivere articoli su qualunque giornale per spiegare cos’è la camorra, da dove trae la sua forza e le sue connivenze, ma per favore, non fare il santone, non farci la lezioncina, non atteggiarti a consumato intellettuale da prima linea perché, anche se ciò che racconti è vero, lo stile non è di certo quello di un Hemingway all’italiana, ma piuttosto di un onesto cronista.
Per quanto te ne può fregare, cerca di essere meno antipatico, togliti quell’arietta di superiorità, non fare sempre la faccia da duro nelle fotografie, sorridi ogni tanto e cerca di essere un po’ più ironico, perché, in fondo, malgrado tutto, la vita è bella!

martedì 13 novembre 2007

Pezzi di me

L’altro giorno stavo facendo colazione coi cereali Kellogg's.
Mentre mastico, sento qualcosa di duro; boh, penso, sarà il solito chicco non tostato, lo prendo con le dita e lo butto per terra. Poi, passando la lingua fra i denti, mi accorgo di qualcosa che non va: era un pezzo del mio molare!
Per accertarmene cerco per terra, ma non riesco a trovare quel grumetto che avevo buttato. Lo trovo con la scopa; era finito in anticamera.
Non avrei mai pensato che un giorno avrei avuto bisogno della scopa per trovare un pezzo di me stesso...

domenica 11 novembre 2007

Vecchi tromboni 2

Devo ammetterlo, non sono mai stato un esperto di musica, men che meno di quella classica. Se parliamo degli anni ‘70 e’80 ancora ci arrivo, ma non ho mai saputo a memoria le formazioni dei gruppi come alcuni miei amici. Se mi chiedete i nomi dei Pink Floyd, così su due piedi mi viene in mente solo David Gilmour, non parliamo degli Who: Roger Daltrey e poi basta.
Non conosco nemmeno i titoli dei dischi, anche se le illustrazioni invece potrei descriverle a menadito. Questo non significa che non conoscessi la musica, solo che non m’importava e non m'importa più di tanto di come si chiamassero esattamente i musicisti e il titolo di ogni singolo pezzo. Per la musica classica il discorso è simile; l’ho sempre ascoltata, compresa l’opera. Alcune cose mi piacciono, altre meno, come penso un po’ tutti. D’accordo, alcuni pezzi sono leggermente difficili da capire, ma anche in questo caso, non m’importa molto della struttura di opere, sonate, partiture eccetera. Ascolto e giudico da profano. Mi lascio guidare dalle emozioni, dalla pancia e dalle orecchie.
Anche Riccardo Muti, che non mi pare certo l’ultimo arrivato, sembra seguire questo pensiero. In una recente intervista ne dice di belle. Per esempio, che si sta occupando del recupero della musica napoletana del ‘700 che: “È all’origine di tante cose, compresa l’opera di Mozart”. In fondo, non dimentichiamo che il meraviglioso Flauto Magico non era stato di certo composto per orecchie nobili, ma come scherzo per il popolo. E, a proposito degli innumerevoli teatri che quasi ogni comune d’Italia può vantare: “Perché i comuni non li riaprono e li affidano alle compagnie di dilettanti, di giovani, agli artisti di strada? [...] Un’altra straordinaria ricchezza che rischia di sparire è quella delle bande comunali. Molte amministrazioni hanno deciso di chiuderle, magari per destinare altri soldi alle mode delle notti bianche e dei fuochi d’artificio, ormai d’obbligo in qualsiasi contrada del belpaese”.
Probabilmente, come per le formazioni dei gruppi rock, c’è chi la pensa diversamente, credendo che se non si conoscono a menadito nomi, formazioni, partiture, titoli e strutture, non sia possibile apprezzare la musica colta e non. Parlo di tal Claudio Strinati, che nelle sue coltissime recensioni di classica sul Venerdì de La Repubblica, tocca livelli di incomprensibilità quasi irraggiungibili. Ecco alcune perle che ho raccolto in queste ultime settimane.
A proposito di un cd del pianista bulgaro Vesselin Stanev: “Il linguaggio è esasperato e patetico, la costruzione del brano è sganciata da qualunque esigenza di consequenzialità e logica deduttiva. [...] La Sonata n. 2 op. 19 è una sorta di urlo nel silenzio in cui un titano dai piedi d’argilla si aggira in una landa desolata e remota ossessionato da una costante armonica che non assume mai forma compiuta ma si attorce su se stessa svelando continue mutazioni”.
Per un cd di Edward Elgar - The Dream of Gerontius - spara questa minchiata: “È curioso notare come la musica non sia affatto onirica, ma concretamente aderente alla sostanziale statica del sentimento dominante che circola nella cospicua partitura, rendendola una dolcissima elegia memore dell’ultimo Ciajkovskij e di Cesar Franck”.
Questa forse è la migliore; si parla del cd di Gideon Kremer - Kremerata Baltica - con pezzi di Mahler e Shostakovich: “Ora in questa commovente sinfonia scarica un grido soffocato che incalza l’ascoltatore trasportandolo in un iperuranio negativo dove l’ineluttabilità della morte è espressa dall’ineluttabilità del linguaggio liberato dalle lusinghe della piacevolezza ma icastico e audace”. Chissà che cazzo vorrà dire! Meglio che mi fermi, altrimenti mi scoppierà la testolina.
Questo solo per valutare la differenza tra chi la musica colta la fa, la dirige, la divulga, la incoraggia e chi, probabilmente non sapendo suonare neanche il piffero, ne parla come se solo lui potesse conoscere e spiegare il segreto di tanta cultura. Insomma, più si parla difficile, meno cose si hanno da dire!
Caro Claudio Strinati: quattro giri di chiglia!