venerdì 14 maggio 2010

Come ideare e lanciare un giornale di settore

Inventarsi modi per fregare il prossimo, a volte è meno difficile di quanto si pensi. Per esempio, nel campo delle testate di settore, le cose funzionano più o meno sempre allo stesso modo. Ecco un esempio di come buttarsi nel mondo della comunicazione che, se vogliamo, è fra i più difficili da conquistare, ma la ricetta è adattabile un po’ a tutto.
Cercate di formare la vostra esperienza giornalistica in qualche rivista di settore. Per esempio nel mondo della comunicazione. Se non avrete troppe pretese e sapete scrivere decentemente, non dovrebbe essere difficile.
Cercate di instaurare il maggior numero possibile di rapporti con creativi, manager, amministratori delegati e compagnia bella, di qualsiasi agenzia, centro media o professionisti del settore.
Parlate sempre bene di qualunque cosa li riguardi: cambi di agenzia, nuove iniziative, campagne, cariche, anche se possono sembrarvi delle cazzate incredibili. Siate adulatori entusiasti e assecondate i loro capricci, un po’ come fa Vincenzo Mollica nei servizi in tv. Se dedicherete il giusto impegno, nel giro di qualche anno potreste aspirare alla carica di vicedirettore o direttore. Tanto sono giornali che, al massimo, hanno quattro o cinque dipendenti.
Nel frattempo, continuate a coltivare i vostri contatti e cercate di stabilire con loro quella specie di falsa amicizia formale e ipocrita tipica di certi ambienti. “Ciao carissimo! Come va? Ho visto l’ultima campagna direct marketing, davvero eccezionale! Perché non facciamo un articolo?”.
Sono ambienti in cui si parla di niente, ma in tono molto pacato, non si dicono volgarità e, soprattutto, non ci si manda mai a cagare (ricordatevelo!). Caso mai, meglio pugnalarsi alla schiena, ma questo al momento non ci interessa.
Quando, grazie alle vostre doti adulatrici, avrete conquistato e consolidato il maggior numero possibile di contatti, sarete pronti per il gran salto.
All’inizio, si crea un sito piuttosto semplice che fornisca informazioni in tempo reale sul mondo della comunicazione. Chi fa cosa, chi va dove, chi ha vinto la tal gara, quale agenzia è stata scelta per la prestigiosa campagna e via discorrendo. Lo si spaccia come uno strumento innovativo che faccia incontrare aziende, fornitori e persone, tipo: “Strumento innovativo per permettere alle aziende di comunicare in maniera efficace al proprio target”. È chiaro che si tratta di un’accozzaglia di stronzate, ma è quel genere di cosa per cui impazziscono gli operatori della comunicazione. Un falò delle vanità insomma.
Naturalmente bisogna avere la predisposizione a vendere questo genere di pornografia, ma non ci vuole molto per imparare quelle dieci parole da stronzi, e l’esperienza giornalistica maturata, vi sarà molto utile.
Sì, ma il guadagno in tutta questa operazione dov’è? Se avrete leccato e adulato come si deve le vostre false amicizie, sarà relativamente semplice convincerle a sottoscrivere un piccolo abbonamento al vostro sito. Che so, cinque o seicento euro all’anno sono una cifra più che abbordabile per qualunque struttura. Considerate, per esempio, che la quota associativa all’art directors club italiano è di quasi trecento euro, in cambio di un bel niente.
Diciamo che, durante la fase di start-up (altra parola ignobile che sta per avvio, partenza), siete riusciti a convincere almeno una sessantina di coglioni: avete già incassato oltre 36mila euro, a fronte di un investimento consistente nell’acquisto di un dominio, un paio di computer e due o tre stagisti che vengono via quasi gratis.
I materiali per il sito saranno forniti dagli stessi iscritti che non vedranno l’ora di apparire nelle news quotidiane.
E adesso viene il bello: si tratta di abbinare servizi supplementari. Per esempio, ci si può inventare una rivista in cui gli articoli sono costruiti a misura del committente. Lui deciderà di cosa vuole parlare, o cosa vuole promozionare, fornirà le immagini a corredo, o scriverà lui stesso il testo dell’intervista o del servizio. Sparerà qualunque cazzata desideri, senza praticamente alcun vincolo o alcuna censura. Tutto questo avrà un prezzo: diciamo dai 400 ai 600 euro per un servizio di due, quattro pagine. Le tematiche sono infinite e ognuno potrà trovare la collocazione che preferisce. Amministratori delegati, creativi, art director, event manager eccetera.
Ipotizzando almeno una ventina di articoli, ci potremo mettere in tasca circa dai 12 ai 15mila euro a numero. Poi ci sono le pagine pubblicitarie, la seconda, terza e quarta di copertina e le sponsorizzazioni che renderanno almeno altri 5.000 euro. Inoltre non dimentichiamo l’abbonamento alla rivista, che non sarà a buon mercato come Topolino. Almeno 300 o 400 euro l’anno.
E la stampa? La Carta? L’impaginazione? Beh, con più o meno 1.500 euro un grafico lo si trova, impaginerà da casa sua, così non ci sono costi di computer, programmi, contributi eccetera.
Per la carta, si può proporre a qualche cartiera un cambio merci: loro forniscono la carta necessaria e il giornale regala una serie di interviste o il logo in copertina.
La stampa invece tocca pagarla, ma esistono centinaia di tipografie che navigano in pessime acque e sarà estremamente facile spuntare un ottimo prezzo.
Per gli articoli sono sufficienti un paio di stagisti neolaureati. Se li pagate 500 euro a ritenuta d’acconto, vi ringrazieranno pure. A volte gli articoli somiglieranno a frammenti di tesi di laurea, ma tanto ci pensa il cliente a dire cosa scrivere; loro si preoccuperanno di sistemare l’italiano.
Se avrete seguito a dovere la parte cartacea, tra articoli, inserzioni, sponsorizzazioni e abbonamenti, incasserete circa 20mila euro a numero, con un costo, tra grafica, carta, stampa e redazione di non più di 10mila euro. Niente male vero?
Ora siete in piena fase click & paper, come dice qualcuno di mia conoscenza con pochissimi capelli e la mentalità da padrino. Ma non è finita, anzi, è appena cominciata.
Attenzione solo a non mungere la vacca più di quanto possa sopportarlo. Ogni zecca, vampiro, pulce, pidocchio e parassita che si rispetti, sa bene che non si può uccidere la propria fonte di nutrimento.
A questo punto, è necessario qualche mese di rodaggio, per controllare che tutti gli ingranaggi girino a dovere. Se tutto va bene, dopo circa un anno, è giunto il tempo della ciliegina sulla torta, ovvero l’organizzazione di un premio.
Si sa, l’essere umano è schiavo della vanità. Chi potrebbe resistere alla tentazione di ricevere un sontuoso quanto inutile trofeo vinto grazie alla capacità professionale, alla creatività e un bel gruzzolo di euro? Per esperienza personale, posso dire che i più sensibili a questo genere di adulazione sono in assoluto i creativi. Come nei film di Carlo Verdone, non sanno più cosa inventare affinché il proprio look sia più creativo, originale e cool di quello dell’odiato collega dell’agenzia concorrente. Primedonne, vanitosi, presuntuosi, arroganti imbecilli.
Anche l’scrizione al premio avrà il suo prezzo, diciamo 500 euro per una campagna, più altri 200 euro per ogni campagna aggiuntiva. I premi saranno innumerevoli, in modo da accontentare il maggior numero di partecipanti; la giuria sarà molto elastica e, per chi è rimasto a bocca asciutta, non c'è che da creare i “premi dell’editore” che lui stesso si premurerà di distribuire a chicchessia, creando categorie ad hoc per ogni esigenza.
Inutile che faccia i conti anche per i premi: la filosofia sarà la stessa del giornale: minimo investimento, massimo rendimento.
Il giochino potrà andare avanti all’infinito con minime varianti: altri giornali, altri siti, altri concorsi eccetera.

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