giovedì 27 maggio 2010

Meglio il mio appartamento

Un bel po’ di tempo fa, quando morì mio padre, ricordo che un suo cliente, un signore dall’aspetto molto per bene, disse qualcosa che mi rimase impresso e che, sul momento, mi fu anche di una certa consolazione.
Più o meno disse: “Comprendo la vostra disperazione, ma pensate che lui vi sarà vicino, soprattutto nei momenti più difficili. Sarà sempre nei vostri cuori e vi meraviglierete per quanto vi sarà d’aiuto nell’affrontare le difficoltà della vita come se fosse al vostro fianco”.
Lo so, sono parole di circostanza, però le trovai, in un certo senso, non banali. Sempre meglio insomma dei soliti: “Adesso si trova in un posto migliore”, o “Ora ha smesso di soffrire e sta molto meglio di noi”, oppure “Non angustiatevi; dal cielo veglierà sulle vostre vite”.
Meglio un formale “Sentite condoglianze”, invece di queste favolette per bambini.
Confesso che le parole di quel signore, di cui non ricordo nemmeno il nome, me le sono rigiocate in simili occasioni e credo abbiano sempre sortito un buon effetto teatrale.
Anche nei giorni scorsi mi è capitato di ripensarci, giungendo però alla conclusione che, per quanto possano essere d'aiuto sono, in effetti, aria fritta.
“In fondo - mi sono detto - quando sei morto sei morto. Cosa me ne importa se i familiari credono che io possa vivere in eterno nei loro cuori o nelle loro parole? Il risultato non cambia di una virgola”.
A conferma di tutto questo, voglio citare un passo dal libro Woody Allen, conversazioni su di me e tutto il resto edito da Bompiani. Si tratta di una intervista in progress raccolta da Eric Lax che racchiude i pensieri del regista su argomenti quanto mai vari fin dal 1972 e che, guarda caso, contiene, a pagina 587, una battuta quanto mai azzeccata su ciò che ho spiegato così male. Eccola: “Anziché continuare ad abitare nel cuore e nella mente delle persone, preferirei continuare ad abitare nel mio appartamento”.

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