venerdì 13 agosto 2010

Footing

Questa mattina mi sono svegliato prima del solito. Sarà colpa del naso chiuso o della raccomandata che aspetto e che non arriva mai.
Mi sistemo sul balcone a leggere Annus Horribilis di Giorgio Bocca. 
Chissà perché leggere ciò che penso da anni, ma non riesco a esprimere come vorrei, mi frustra un po’ ma, al contempo, non mi fa più arrabbiare.
Troppa abitudine, la realtà che supera sempre anche le fantasie più sfrenate e che sembra non toccare la coscienza di nessuno.
Così alzo lo sguardo e comincio a osservare i forzati della corsa mattutina. Poveri disgraziati sfiniti e claudicanti che sciabattano mezzi di traverso come granchi ubriachi. Magliette madide di sudore, culi che saltellano in controtempo, tette stufe di rimbalzare che sussultano tristemente a ogni passo. Signori attempati, padri di famiglia, nonni in pensione, che sembrano avere ancora appiccicati addosso giacca e cravatta, piegati come a scalare inesistenti salite, privi di qualunque eleganza nella corsa, con lo sguardo esterrefatto di chi ha superato la soglia della sofferenza fisica.
Orologini elettronici al polso di signore attempate e inesorabilmente sovrappeso, che misurano tempi immaginari e inutili, o forse, solo le pulsazioni impazzite di un cuore che non ha nessuna voglia di continuare a essere strapazzato inutilmente.
Bolsi uomini di mezza età con la marca delle chiavi inglesi o la pubblicità del panettiere bergamasco, o del dopolavoro, stampate sulle magliette.
Ragazze con le tutine di dimensione danza che faticano a contenere coscioni possenti come quelli dei sollevatori di pesi che ogni quattro anni, si vedono alle olimpiadi, e l’occhio che continua a saettare nervoso al contapassi, per sapere quanto manca alla fine ineluttabile di qualunque organismo biologico.
Un florilegio che si presenta implacabile tutte le mattine, da che albeggia, fino a mattino inoltrato. Sotto il sole cocente, oppure dentro una tempesta di pioggia. Per loro non fa differenza, quello che conta è mantenere la media, non perdere il passo sciabattante, con la testa che ciondola priva di volontà propria, il sudore che cola copioso e, ne sono sicuro, che si mescola alle lacrime di sofferenza e rabbia verso un corpo che si rifiuta ostinatamente di assomigliare a quello delle pubblicità della televisione.

2 commenti:

  1. Non sono stato mai un patito del footing, non ultimamente almeno. Una decina d'anni fa forse, più per dovere che per piacere, costretto com'ero a tenere in debita considerazione anche una certa prestanza fisica, utile nel lavoro. Le lunghe passeggiate... quelle si, invece... Peccato siano anch'esse un ricordo. Leggendo il tuo post, sono andato con la memoria proprio ad una di quelle passeggiate. Ti do qualche "coordinata" su di me, così - magari - puoi immaginare qualcosa: sono salentino; abito in un paese nell'entroterra della piccola penisola, se di entroterra si può parlare in un luogo da dove si raggiunge il mare in meno di 20 minuti qualsiasi direzione si prenda, nord escluso. Per lavoro (quando anch'io lavoravo) ho girato in lungo ed in largo l'Italia; sono stato anche nelle Marche - Ancona - dove sei tu adesso per le vacanze.
    Dunque, dicevo le passeggiate. Ho visto tanti posti d'Italia, alcuni belli altri un po' meno: ma quello che ho visto un giorno, a non più di tre chilometri da casa mia, durante una passeggiata di quelle che amavo fare, non l'ho mai visto da nessun'altra parte. Immagina la scena: un tardo pomeriggio invernale, una stradina di campagna non asfaltata, larga non più di due metri, delimitata a destra ed a sinistra da muretti a secco alti non più di un metro e mezzo; una nebbia non troppo fitta che inizia a calare e avvolge tutto: provo piacere persino a respirarla tant'è delicata; i colori che si attenuano, le forme degli alberi e dei "furnieddhi" (*) che perdono i loro contorni netti. Sono in un quadro impressionista, meglio non so spiegarmi. Un quadro - tu che dipingi forse mi puoi capire - che magari rappresenta quello che la Natura vede quando si guarda in uno specchio o nel più segreto dei suoi sogni. E non un'anima viva per almeno una buona mezz'ora: padrone assoluto di tanta indescrivibile bellezza. Certo, a pensarci adesso, sarebbe stato interessante avere uno di quei gingilli elettronici che misurano i battiti del cuore. A questo ho pensato leggendo il tuo post. Grazie.

    (°) I "furni" o "furnieddhi" sono delle costruzioni a secco di forma circolare, di 3 metri o poco più di diametro e di altezza di 2,5/ 3 metri. Erano usate come riparo dai contadini ed erano ottenute con i sassi "strappati" dai fondi agricoli per renderli più coltivabili: una fatica da schiavi.

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  2. Non pensare che il mio post fosse contro chi pratica o ha praticato footing nella sua vita. Mi sono limitato solo a qualche osservazione che ho cercato di rendere divertente. Forse il mio sarcasmo è anche dettato dall’invidia di non aver mai avuto la forza di volontà per praticare qualsiasi attività fisica, naturalmente a mio discapito.
    Se il mio post è servito a riportarti alla memoria qualcosa di bello, e da come l’hai descritto, mi sembra davvero sia stato un momento magico, non può che farmi piacere.
    Quello che non ho mai detto, è che i miei nonni paterni erano di origini pugliesi, e quindi ciò che hai raccontato ha sicuramente ricambiato il favore.
    Ti invidio un po’ per quello che racconti e che io, suddito di una città come Milano, probabilmente non potrò mai vivere. Al massimo potrei dire: Abito in una città grigia e selvaggia; un posto da cui il mare dista, come minimo, 140 chilometri (e stiamo parlando di Genova, non certo del Salento), e che non permette di fare quattro passi in mezzo al verde se non raggiungendolo in automobile. E che verde: le risaie della Lomellina, infestate di zanzare, o la Brianza tanto amata dal presidente del consiglio, che ad esclusione delle tenute ben chiuse e sorvegliate degli industrialotti di turno, non offre che capannoni e villette pacchiane a perdita d’occhio.
    Grazie a te per lo spicchio idilliaco sulla mia terra d’origine che hai voluto regalarmi!

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