giovedì 12 agosto 2010

Dorico

Lui si chiama Dorico, abita nell’appartamento a fianco, è mezzo sordo e un po’ rincoglionito. Ha più di ottant’anni e cammina col bastone, ma rimane pur sempre il patriarca dei villeggianti di vecchia data.
L’anno scorso, nel giro di qualche settimana, ci ha raccontato gran parte della sua vita e credo che, quest’anno, dovremo ascoltarne il rimanente.
Come molte delle persone anziane, fatica a mettere insieme le idee su tutto ciò che è passato prossimo, ma ricorda perfettamente tutti i fatti che risalgono a cinquant’anni fa e anche più.
Il primo incontro con Dorico, risale a circa quattro o cinque anni fa, quando ancora scendeva in spiaggia e si piazzava su una sedia sotto il suo ombrellone in prima fila, il fatidico numero uno. E lì cominciava l’eterno gioco di battutine, allusioni e ricordi con i compagni di spiaggia più o meno suoi coetanei.
Parlavano così stretto e impastato che non capivo quasi niente; solo le bestemmie accennate e lasciate morire a mezza bocca, quelle sì che le capivo al volo. Poi, a forza di incontrarci sulla scala che porta agli appartamenti, ha cominciato a lasciarsi andare.
Ha subito messo le cose bene in chiaro: “Ah, io qui sto in una botte de fero, c’ho l’armadio con cinque fucili e prima che m’entrano in casa, l’ho già fatti secchi!”.
“Andiamo bene!” ho pensato fra me, “Ci mancava anche il vecchio pazzo che ha paura dei vicini”.
Poi ha preso confidenza, e ha cominciato a chiamarci dal ballatoio per farsi una chiacchierata prima del riposino pomeridiano che, di solito, dura dalle tre alle sei sette del pomeriggio.
Per tutto il tempo che sta nella casa al mare, si fa portare il pranzo dal ristorante che sta proprio qui di fronte: “Uno spuntino” dice la moglie, anche se il vassoio è pieno come una piramide di carta stagnola. “Poi, la sera, non è che magnamo molto, Dorico se fa ‘na scodella de caffelatte co’ mezzo ciambellò (che sarebbe la classica ciambella della nonna), io non è che magno un gran chè, perché poi nun dormo...”.
L’anno scorso però, ci ha offerto qualche etto di prosciutto: “Questo me lo porta uno che li fa lui personalmente, perché a me, troppo salato, nun me piace”.
Ci ha raccontato che lui ha sempre lavorato come un mulo, anche in Argentina, dove era emigrato che era ancora un ragazzetto e, saltando di palo in frasca, che quando c’era uno che gli doveva dei soldi e faceva il furbo, è andato a trovarlo al negozio, ha tirato giù la saracinesca e gliene ha date fino a che quello non l’ha implorato di smettere. “Oh, il giorno dopo è venuto a portarmi li soldi a casa!”.
Sarà per questo che nutre una grande passione per il pugilato, tanto che, quando ha saputo che Duilio Loi ha venduto i suoi guantoni: “Io glie l’avrebbe comprati”. E i soldi per farlo non gli mancano davvero. Nel corso degli anni ha fatto fortuna come costruttore edile e va fiero di aver dato una casa a tutti i suoi quattro o cinque - non ricordo - fratelli e sorelle.
“E poi, a natale, tiravo su anche cento capponi, li teneuo nel mio bosco, in un gabbione, e gli dauo da magnare roba buona. Poi li regalavo tutti: alli amici, ai clienti, anche a un auocatto de Roma che poi mi mandava li amici sua a chiedere se n’avanzavo uno. Erano boni, altro che”.
L’anno scorso aveva promesso a C. che l’avrebbe portato a vedere la boxe, perché: “C’hai la faccia pulita e se vede che sei un brauo ragasso”.
Mi hanno spiegato che qui nelle Marche, c’è una tipologia di persone che chiamano “piagnù”, ovvero piagnoni. A San Severino Marche c’è una trattoria conosciuta come “da ‘o piagnù”, perché pare che il gestore sia piuttosto incline alla lacrima. Intendiamoci, non significa che il piagnù sia una persona debole, effemminata o roba simile, di solito si tratta di gente dura, lavoratrice, ma che ha questa piccola debolezza.
Come Dorico, che è senz’altro uno che non le manda a dire, ma che quando parla della madre, o ci deve salutare perché le vacanze sono finite, si commuove come un bambino.

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