lunedì 20 dicembre 2010

L'invito della domenica

Domenica siamo stati invitati a pranzo dal “lungo”, con cui, insieme al “corto”, rappresentavamo l’incarnazione vivente della famosa canzone dello Zecchino d’Oro: Il lungo, il corto e il pacioccone.
Siamo stati amici per oltre trent’anni. A presentarci fu il “corto”, suo compagno di scuola e mio amico d’infanzia.
Ricordo ancora la volta che mi disse: “Voglio farti conoscere questo tipo; uno un po’ strano ma simpatico”. E l’amico si presentò un pomeriggio in sella a un caballero regolarità elaborato che filava come il vento. Lo guidava come fosse una Bentley da collezione, senza esibirsi in nessuna delle cazzate che si fanno quando si ha tra le mani un motorino. Guidava pulito, preciso, essenziale e questo mi è subito piaciuto.
Intenderci è stato naturale e immediato, mi sentivo spesso più affine a lui che al “corto”, che pure conoscevo da molto più tempo. L’unico difetto che aveva era quello di essere un po’ troppo svagato e distratto e, in particolare, l’essere succube assoluto di ogni ragazza. E chissà perché, forse per la sua aria svagata, o l’apparente mancanza di atteggiamenti maschilisti che spesso si accompagnano all’adolescenza, di ragazze ne ha avute parecchie.
L’amicizia si è spezzata a causa di tante piccole cose che mi ero stufato di sopportare. Presentarsi a mani vuote ogni volta che lo invitavo a pranzo o cena, salutare la nascita dei miei figli senza nemmeno un pensiero da poche lire, essere schiavo della propria taccagneria e mascherarla con la distrazione o la svagatezza, fino al tempestarmi di telefonate per venirci a trovare in vacanza e, dopo essere arrivato la sera prima in camper, scappare come un ladro la mattina dopo senza nemmeno aver preso un caffè insieme, accampando scuse inconsistenti e stravaganti per mascherare i capricci della moglie.
Da quella volta è passato un bel po’ di tempo, fino a quando, come niente fosse, chiama per una delle rare uscite serali. Gli dico chiaro e tondo che ci sono rimasto molto male, ma se il “lungo” ha un pregio, è che è impossibile litigarci. Però deve aver capito perché non l’ho più sentito per un anno intero.
E così arriviamo a venerdì scorso, quando ci invita a pranzo. Penso che, dopo aver provato sulla mia pelle quanto sia meschino essere cancellati dai parenti per sgarbi mai commessi, sia un modo per chiederci scusa, per farsi perdonare, per riallacciare un rapporto di amicizia.
Accetto, compro qualcosa da portare e ci metto anche uno dei miei poster numerati. Non lo faccio per umiliarlo, faccio solo ciò che mi è stato insegnato e che la mia educazione mi sussurra. Tanto so che non riuscirebbe a comprendere il senso di una cosa del genere. E, come tutte le volte che voglio fidarmi, che accordo fiducia, rimango nuovamente fregato. Al nostro arrivo c’è già un’altra coppia con figlio piccolo e, in seguito, si aggiungerà anche la sorella della moglie.
Potrò essere anche uno snob demodè, ma credo sia doveroso avvertire gli ospiti di quali saranno gli eventuali altri invitati e non, invece, trovarseli davanti a sorpresa, come se fosse un party organizzato da qualche organizzazione umanitaria aperto a chiuque si trovi a passare di lì. Tra l’altro, conosco di vista l’altra coppia e mi è sempre stata moderatamente sul cazzo.
Pazienza, mi sorbisco quattro ore di cazzate e di cafonerie varie, faccio buon viso a cattivo gioco e cerco pure di essere simpatico, ma questa è proprio l’ultima volta, sono stufo di farmi prendere per il culo: dagli amici, dal lavoro e dalla vita.

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