venerdì 17 dicembre 2010

Auguri

Come il telo che una mano pietosa stende ipocritamente sui cadaveri, questa mattina anche Milano, per l’ennesima volta, è avvolta da un sudicio lenzuolino bianco. Una coperta da quattro soldi, troppo corta per coprire anche la tristezza.
Chiuso, forse, il catalogo, mi ritrovo a buttare il mio tempo pensando a qualcosa da fare. Gli auguri, pochi, li ho spediti via mail ieri e, quasi tutti, hanno già risposto.
Gli anni scorsi, questa degli auguri, era un’incombenza, quasi un dovere verso clienti, conoscenti e parenti. Quest’anno mi sento come gli zingari che suonano il violino sulla metro. Una scocciante interruzione alle attività altrui. Un seccatore che approfitta degli auguri per elemosinare un po’ di lavoro, per ricordare a chi sta cenando al calduccio del ristorante all’ultima moda, che fuori, a spiarli dalla vetrina, c’è sempre un barbone che chiede, invidia, che reclama la sua fetta di torta.

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