martedì 20 luglio 2010

Il parrucchiere degli artisti

C. avrebbe bisogno di tagliare i capelli, ma non sembra molto entusiasta. Posso capirlo, si trova in quell'età in cui la musica è molto importante e, come i suoi modelli, porta i capelli lunghi e incolti. In effetti, ha una notevole somiglianza con Jim Morrison, anche se il carattere è più simile a quello di mister Bean. Visto però che sono stato io a introdurlo al rock, il progressive, l'hard rock e la psichedelia, non ho nessuna voglia di obbligarlo a tagliarsi la zazzera.
Non ho mai sopportato l'autorità, di nessun genere, né quella dei poteri forti, che ci vorrebbero come pecorelle da tosare, né l'autoritarismo familiare al quale mio padre, che per altri versi era una persona davvero rara, mi sottoponeva ogni volta che riteneva i miei capelli troppo lunghi.
Lui chiamava il suo parrucchiere per nome. Domenico. Una vetrina in viale Monza, poltrone modernamente anni settanta color beige e marroncino, in tinta coi camici da lavoro e i soliti specchi dappertutto. Domenico era un signore che non ho visto quasi mai sorridere, pettinato come un ibrido fra Ugo Pagliai e Mario Merola, fiero dei suoi tanti capelli e con un gusto estetico che escludeva a priori l'avvento dei Beatles o qualcosa che fosse anche leggermente diverso dalla riga a sinistra e una vigorosa cotonatura ai lati della testa.
Lo odiavo, perché qualunque fossero le mie indicazioni sul taglio, lui faceva sempre come gli pareva, o forse seguiva le direttive di mio padre, chi lo sa. Usava quelle terribili forbici a pettine che più che tagliare, strappavano i capelli, la macchinetta a mano per la sfumatura sulla nuca e il rasoio, sempre a mano, per la peluria sul collo.
Andava un po' meglio con il ragazzo di bottega che, secondo me, era già ben oltre i trenta e, malgrado il marchio di fabbrica fosse sempre lo stesso, provava forse un briciolo di pietà e non mi gonfiava i capelli ai lati della testa con spazzola e asciugacapelli.
La mia indipendenza dal temuto Domenico, avvenne verso la fine delle medie, quando riuscii a convincere i miei a farmi tagliare i capelli dal parrucchiere sotto casa, con la scusa che tutti i miei amici andavano da lui.
Si chiama Bruno ed è ancora in piena attività. L'aspetto lasciava pochi dubbi: si sarebbe potuto confondere all'interno dell'Equipe 84, i Dik Dik o i Giganti, e nessuno se ne sarebbe accorto. Riga con sberla di capelli buttati all'indietro, basettoni e riccioli a coprire il collo. Ma la cosa che mi piaceva di più era la loquacità e la curiosità sulle novità musicali e non solo. Suonava le tastiere, si interessava di letteratura, anche se non gli è piaciuto Flaiano. "Mah, io in questo Flaiano non è che ci ho trovato 'sto gran ché". Mi ha detto una volta. E poi dipingeva. Il maestro era un ex venditore ambulante di frutta e verdura che, dopo aver acquistato non si sa come, una serie di box in giro nel quartiere, si era dato all'arte. Tra parentesi, aveva un figlio così brutto che si era fatto crescere la barba per nascondere almeno un po' di faccia.
Nel negozio c'era sempre qualcuno che non avendo nulla da fare, passava il tempo a chiacchierare con Bruno o altri nullafacenti. Spesso c'era da aspettare, ma ne ero più che felice perché nella catasta di giornali vicino alle poltroncine, oltre alle solite rivistine scandalistiche, non mancava mai qualcosa di più forte, come Playboy o Playmen.
Dopo un paio d'anni di liceo, le mie visite da Bruno divennero però sempre più rare. Anch'io avevo cominciato a scoprire il rock; uno dei primi dischi comprati alla New Kary di via Torino fu Stormbringer dei Deep Purple. Poi vennero tutti gli altri: Doors, Pink Floyd, Jimi Hendrix, Cat Stevens, Bob Dylan, The Who, AC/DC e in terza scoppiò il raggae di Bob Marley. Insomma, tutto il percorso della musica rock, progressive e psychedelica degli anni settanta. Tagliarsi i capelli era quindi una cosa al di fuori di ogni logica, anche se non erano tutti così estremi come me.
Ripresi a frequentare Bruno un paio d'anni dopo la fine della scuola: non potevo andare a cercare lavoro con i capelli lunghi fino alle spalle e quindi la scorciatina fu d'obbligo. Fino a raggiungere l'estremo opposto qualche anno dopo, quando Bruno aveva inaugurato la nuova insegna: "Il parrucchiere degli artisti" e io, per il terrore di diventare calvo, cominciai a tagliarmi i capelli a spazzola.
Dopo qualche tempo, ho capito che era un taglio che potevo realizzare tranquillamente a casa mia con quelle macchinette elettriche che ormai si trovano da tutte le parti e, anche se a malincuore e rimpiangendo le chiacchierate sul più e il meno, ho tradito Bruno con un rowenta logik elettrico semiprofessionale.
Ora è C. che vuole tagliare i capelli esclusivamente da Bruno, perché, dice: "Esegue esattamente quello che gli si chiede".

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