giovedì 28 aprile 2011

Grafica e ciabatte

Una volta ho lavorato per un tizio, anche lui grafico, che divideva lo studio dalle parti di via Nino Bixio con un architetto o qualcosa del genere.
Si occupava di impaginare le versioni italiane di quei libri del Reader’s Digest e simili che hanno perseguitato le nostre famiglie dalla cultura medio-bassa negli anni settanta e ottanta.
Il meraviglioso mondo degli animali, oppure La vita nella savana, Le foreste pluviali del sud America, Marocco misterioso, I popoli della Terra e altre amenità del genere.
Il mio compito consisteva nell'inserire il testo italiano nelle gabbie che arrivavano dall’estero e, dato che notoriamente l’italiano era sempre più lungo dell’inglese, fare le relative correzioni di bozza per far rientrare il testo e correggere i refusi.
Il compenso a pagina era davvero basso: qualcosa come 500 o mille lire, ma ero piuttosto veloce e preciso e quindi faceva brodo.
L’unico inconveniente è nato dal fatto che una volta ho dato un leggerissimo track - qualcosa come -0,3 o -0,5 - per far rientrare qualche lettera ed evitare almeno un giro di bozze. Mi è stata fatta una lavata di testa perché l’editore non voleva assolutamente che il carattere subisse la minima modifica o variazione dovuta a questo tipo di accorgimenti. Insomma, doveva essere sempre perfettamente identico a se stesso. Una linea di condotta sulla quale non ho nulla da eccepire e una delle grandi lezioni sui caratteri del mio bagaglio professionale.
La prima lezione però l’ho imparata quando il lettering si faceva coi trasferibili Letraset. L’armonia tra le lettere (crenatura o kern) non è una cosa campata in aria; sapere quanto spazio lasciare fra due lettere curve - per esempio una “b” e una “o” - o fra un bastone e una curva - come fra la “d” e la “o” - o ancora fra due bastoni - come fra la “l” e la “i” - era una cosa che si imparava con l’esperienza. Non esistevano misure da prendere col righello, era una questione di occhio e sensibilità. 
Un altro maestro in questo senso è stato l’art director sosia di Carl Marx. Da lui ho imparato ad apprezzare la pulizia di un testo, l’equilibrio fra corpo e interlinea, l’armonia delle spaziature.
A pensarci adesso sono cose che fanno incazzare; una vita a imparare la sensibilità, l’armonia, le proporzioni e ora non frega più un cazzo a nessuno. La maggior parte delle crenature le fa (male) il computer in automatico, quasi tutti i grafici non capiscono nemmeno di cosa stia parlando e i clienti, beh, lasciamo perdere, basta guardare cosa si vede in giro per capire che l’unico plus che interessa loro è il costo: più è basso è meglio è.
Solo una decina d’anni fa, trovare qualche refuso in un libro era qualcosa di impossibile; oggi non c’è libro che abbia letto, anche di case editrici importanti, che non abbia almeno tre o quattro refusi.
Comunque, tornando al tipo di via Nino Bixio, era uno piuttosto strano. Non nell’accezione comune che vede chi fa questo mestiere come uno che per forza deve andare in giro con un cappello da Davy Crockett e gli stivali da Waffen-SS, ma proprio perché era l’esatto opposto. Capelli spettinati come di uno che si è appena alzato dal letto, blue jeans, una felpa da fornaio e le ciabatte. Ma proprio ciabatte di quelle dei nonni: quelle marroni, di finta pelle, con due fasce incrociate davanti. D’estate poi, era sempre in pantaloncini corti e canottiera come Ninetto Davoli nel Carosello della Saiwa degli anni ‘70. (http://www.youtube.com/watch?v=fjdhYuMvypg)
Una volta l’ho incontrato mentre mentre scendevo dall’auto, una Nissan Micra 1300 che ci ha scarrozzato per quasi tredici anni, era insieme a una ragazza che gli faceva da assistente. Appena mi vede lei fa:
“Che bella! La Nissan Micra! L’auto dei sogni di S.!”
S. era il tizio, insomma, quello per cui lavoravo, che era di fianco a lei e guardava la mia macchina con gli occhi che brillavano e un sorrisino che spuntava in mezzo alla barba.
Sono rimasto leggermente interdetto. D’accordo che era uscita da pochissimo, parliamo quindi del 1993, ma da qui a considerare un’utilitaria anche piuttosto economica, come l’auto dei propri sogni, beh, è alquanto strano.
Non è che con questa storia volessi dimostrare qualcosa di particolare o curioso, se mai è curioso il motivo per cui si ricordano certe persone o alcune circostanze. Ecco perché, almeno per me, S. sarà sempre il grafico in canottiera e ciabatte che sognava di possedere una Nissan Micra.

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