lunedì 31 gennaio 2011

La goccia e il vaso

Venerdì sono andato in automobile a prendere mio figlio, reduce da un piccolo intervento al piede.
Non è mia abitudine girare per Milano in auto, troppo traffico, troppi intoppi - zone a traffico limitato, cambio di sensi, strade chiusi per lavori della metro -, preferisco muovermi con i mezzi, a meno che non debba andare in posti mal serviti o in casi particolari come quello di venerdì.
La dimostrazione di ciò che dico è molto semplice: possiedo quest’auto dal 2004 e ci ho fatto 23.000 chilometri. Questo significa che, arrotondando, ho percorso circa 3.300 chilometri all’anno, di cui due terzi in vacanza e un terzo, cioè 1.100 chilometri, meno di nove al giorno, in città.
Quando vado a fare il tagliando alla Renault, i meccanici ridono e mi prendono in giro perché non credono che abbia fatto così poca strada in sette anni, poi guardano il contachilometri e diventano subito seri. “Ma allora è vero!” mi dicono pensando che volessi prenderli per il culo.
Perché questa manfrina su chilometri, vacanze e città? Semplice, perché malgrado percorra così poca strada e mi capiti di usare l’auto sì e no una volta ogni dieci quindici giorni, va sempre a finire che trovo un vigile, un carabiniere, un poliziotto della stradale e financo della guardia di finanza che mi ferma. Eppure non ho mai avuto la faccia da delinquente o da pappone, e tanto meno da losco trafficante di droga. Anzi. Il mio problema è sempre stato di avere la faccia da bonaccione, non certo da Vallanzasca. Forse sarà proprio per questo. Meglio fermare uno che quasi sicuramente non darà problemi, invece di un’altro che magari tira fuori il coltello e finisce tutto a schifio.
Penso di essere una delle persone che, in rapporto ai chilometri percorsi, può vantare la più alta percentuale di controlli da parte delle forze dell’ordine. 
In genere non me ne frega più di tanto perché, sapendo che questo è il mio destino, sono in regola novantanove volte su cento. Appunto, c’è sempre quell’un per cento che ti rovina la vita.
Insomma venerdì devo andare a prendere C. in via Mauro Macchi. Faccio un pezzo di Corso Buenos Aires e, quando dovrei svoltare in via Boscovich, la trovo sbarrata da un cavalletto. Lavori di sistemazione dei marciapiedi e strada chiusa all’angolo con Buenos Aires. Quante probabilità ci sarebbero state di trovarla chiusa nell’arco di un anno? Direi una su trecentossessantacinque. trecentosessantasei se fosse un anno bisestile.
Pazienza, girerò a destra un paio di traverse più avanti, in via Casati, poi svolterò ancora a destra fino a incrociare via Boscovich.
Mentre svolto in via Casati, proprio all’angolo, vedo due vigili, ma non mi cagano nemmeno di striscio e poi tanto sono tranquillo, più che altro mi farebbero perdere tempo.
Da via Casati giro a destra in via Lecco, poi sbaglio e, invece di proseguire per via Benedetto Marcello, giro a destra per via San Gregorio. Sono tentato di fare cinque o sei metri in retromarcia per riprendere via Benedetto Marcello, poi mi dico: “No, lascia stare, è pieno di vigili che aspettano solo questo, come fai anche la minima cazzata ti beccano subito”. Rifaccio il giro, tanto che ci vuole... Sono di nuovo in corso Buenos Aires, sto per svoltare in via Casati, ma i vigili, che non si erano mossi dall’angolo, questa volta mi adocchiano e mi fermano. “E ti pareva! - dico fra me e me - va a finire che questi mi fanno fare tardi”.
“Ci favorisce la patente e la carta di circolazione per favore?”. Almeno sono educati, penso.
“Eh ma qui c’è un problema grosso” dice uno. Lo so qual è il problema. Si tratta della revisione. Ero convinto di doverla fare quest’anno, ma avevo come un tarlo che mi rodeva già da un po’ e adesso sono sicuro che avesse ragione.
“Devo farle contravvenzione, anzi, sappia che non potrebbe nemmeno circolare. Può usare l’auto solo per recarsi a un’officina autorizzata”. Centosessanta euro.
Solitamente ci sono due tipologie di automobilisti: quelli che cominciano a pregare e inventare mille scuse, piagnucolano, fanno gli spiritosi, cadono dalle nuvole e quelli che pagano e stop.
Io, orgoglioso e permaloso, non mi sono mai umiliato a pregare nessuno. Non ho mai visto un vigile stracciare una contravvenzione nemmeno davanti alle storie più strappalacrime, quindi è inutile fare la commedia: la multa me la piglio come fossi un signore al quale non fa né caldo né freddo e questa è probabilmente l’unica risposta dignitosa da dare a chi prende la percentuale sulle sventure altrui.
Cosa può fregare ai vigili che io sia disoccupato, o che usi l’automobile ogni due settimane, o che stia andando a prendere mio figlio che non può camminare?
Appunto, niente.

PS: Contro ogni aspettativa, il bresciano ha richiamato. Verrebbe in studio domani pomeriggio. Inutile dire che la piccola lampadina della speranza che stava quasi per spegnersi si è leggermente ravvivata. Non è che splenda come un faro nella notte, piuttosto come una lanterna in una capanna di montagna mentre fuori è buio e nevica.
Spero che il bresciano non sia una di quelle persone che si fanno abbagliare da lucine e cotillons, perché il mio studio - come è prassi comune in quasi tutta Europa - è in simbiosi con il mio appartamento. Non un angolo ricavato nel soggiorno, ma una grande stanza ben arredata con tutto ciò che può servire al lavoro. E anche il resto della casa è ben distinto dallo studio da un'anticamera e un'entrata separata.
Cosa devo pensare o posso sperare? Se fa parte di quelle persone che non comprendono una cosa del genere, non comprenderà nemmeno ciò che faccio. Se invece la speranza si aprirà in qualcosa di più, non potrò che saperlo domani.

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