lunedì 17 gennaio 2011

Il banco vince sempre

Più o meno vent’anni fa, insieme ai personal computer che costavano come una panda, giravano anche programmini stupidi come, ad asempio, uno che calcolava, non si sa su quali basi, il bioritmo mensile, settimanale o giornaliero. Bastava inserire la data di nascita e questo ti spiattellava un bel diagramma con la linea oscillante tra picchi, dirupi e pianure, della carica vitale. Poteva inoltre calcolare due bioritmi e mostrarli contemporaneamente in modo da poter verificare a colpo d’occhio le affinità con il proprio partner. Ma non solo, credo ci fosse anche una linea a rappresentare il lavoro e un’altra la salute.
Nessuno ci credeva, era solo un giochino innocente per passare il tempo e scherzare con gli amici. Purtroppo i sistemi operativi sono cambiati innumerevoli volte e, a quei giochini semplici e veloci, sono subentrati mastodontici videogames con richieste hardware superiori a quelle necessarie per il lavoro di routine.
Mi piacerebbe averlo adesso sottomano, quelllo stupido giochino, per vedere quale sarebbe il responso. Non tanto quello sentimentale che, meno male, fila che è un piacere, ma quello relativo a come mi sento in generale, perché qui, di carica vitale, ne vedo ben poca.
Me ne accorgo quando mi sveglio per cento volte prima, o appena dopo l’alba e non riesco più a dormire, preso da mille preoccupazioni e tante paure. Mi guardo allo specchio e vedo la mia bocca prendere una piega sempre più amara contro la mia volontà. Ridere e sorridere diventa un esercizio obbligatorio in presenza dei figli, ma sempre meno praticato in loro assenza.
Come un operaio della fiat, penso e ripenso alle mie scelte, mi domando se ho fatto bene a rifiutare un contratto capestro ancor peggiore di quello che è toccato a Mirafiori. Non orari di lavoro pesanti, mal pagati, ma ben delineati nella loro struttura, ma una firma in bianco che mi avrebbe costretto a giornate massacranti in cambio di una paga non più alta di quella di un operaio.
Mi sono illuso di avere una specializzazione e un’esperienza che mi avrebbero consentito di muovermi da una posizione privilegiata, di poter ricostruire una vita dignitosa, in cui sarei stato pagato per ciò che valevo, e invece mi sono sbagliato. Gli operai hanno accettato a malincuore un contratto duro, ingiusto, retrogrado, ma hanno (forse) salvato il loro lavoro e la sussistenza della loro famiglia. 
Io ho peccato di presunzione e non ho voluto piegare la testa, pensando addirittura che, chi ci avrebbe perso di più sarebbe stato il padrone e non io.
Mi sbagliavo, come al casinò, il banco vince sempre.

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