giovedì 18 novembre 2010

Vendere aria

Non ho fatto altro che proporre un preventivo, eppure, dopo il solito panico iniziale da salto nel vuoto - "Non riuscirò mai a gestire un lavoro così complesso e che coinvolge professionalità così diverse!" - il mio cervello si è messo a lavorare giorno e notte. È sempre così, a differenza di uno stipendiato, ché quando stacca non ci pensa più, questo è il principale difetto del freelance; non stacchi mai, nemmeno quando dormi. E non lo dico per scherzare, questa notte non ho fatto altro che sognare me stesso immerso nella ricerca del giusto concetto, dello slogan perfetto, del valutare se utilizzare fotografie, illustrazioni o la semplice grafica.
Ad ogni nuovo lavoro diventa un pensiero fisso, un tarlo costante; non esiste altro se non la tensione di raggiungere un risultato soddisfacente.
Io non so come si comportano le agenzie pubblicitarie di alto livello, anche se mi sono fatto un'idea abbastanza precisa, ma sono sicuro che le tante analisi di mercato, le infinite parole vuote che girano intorno ad un semplice concetto, le relazioni piene di numeri, statistiche e roba del genere, non sono altro che la giustificazione per chiedere tanti, tanti soldi per una semplice idea.
Ma ci pensate? Provate a dire al cliente: "Dunque, questa è l'idea che intenderemmo venderle, secondo noi potrebbe funzionare, ma non possiamo averne nessuna certezza matematica. Il suo prezzo è diecimila euro".
Perché in soldoni, il succo della questione è questo; vendiamo idee. Idee che magari sono sopraggiunte nel giro di un paio d'ore o, nel peggiore dei casi, in qualche settimana, e sempre nei momenti più inaspettati: seduti sul cesso, mentre guardiamo un film, nel dormiveglia prima di cadere addormentati, mentre compriamo il giornale o ci stiamo tagliando le unghie. Il resto è poca cosa, qualche esecutivo che non richiede capacità particolari, qualche riga di presentazione, tanto fumo fatto di vuote parole in inglese, ricerche di mercato inutili, statistiche che lasciano il tempo che trovano, segretarie con le cosce in mostra, sale riunioni elegantemente minimal, bei vestiti fatti a mano e quella finta, ipocrita aria da creativo svagato che, sotto la giacca di Armani, si è messo la prima t-shirt che gli è capitata sotto mano acquistata a Londra, Tokio o New York e il solito Rolex submariner in bella mostra.
Chi pagherebbe volentieri diecimila euro per un'idea che mi è venuta mentre leggevo topolino al gabinetto, o dieci minuti prima di addormentarmi, mentre mi rotolo nel letto e mi gratto i coglioni?

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