giovedì 16 settembre 2010

Idee confuse

Inaspettato come un attacco di emorroidi, si è fatto vivo l’ex direttore che conosco ormai da oltre quindici anni. Ero indeciso se telefonargli, so che non ama quelli troppo appiccicosi e così è successo che, mentre io me ne stavo qui a fare testa o croce, ha chiamato lui.
Si tratta di un lavoretto con cui potrei tirare avanti non più di un mese, e per adesso non è ancora nemmeno sicuro, ma è qualcosa.
L’editore siciliano invece, mi ha chiesto di ridurre la dimensione del pieghevole che avevo progettato a luglio perché il suo fornitore non riesce a stampare il settanta cento. Si tratta di riorganizzare tutto quanto con una riduzione di poco più del quaranta per cento. Niente di terribile, circa una giornata di lavoro, perciò ho chiesto 150 euro lordi, che è quello che pretende un idraulico per un’ora e mezza di lavoro. Ma ho come la sensazione di aver toccato l’antenna di una lumaca. Si è ritratta così repentinamente che credo ci vorrà qualche giorno prima che si decida a tornare fuori.
Per il resto, passo le giornate cercando di organizzare la ricerca del lavoro con una parvenza di razionalità, ma ho le idee così confuse... Spesso fatico a trovare le parole adatte. So di saperle, so che sono lì nascoste da qualche parte, sento l’inconfondibile essenza di ognuna, le sento arrivare ma, come a volte accade con gli starnuti, tornano a rintanarsi in qualche angolino buio del mio cervello giocando a nascondino fino a sfinirmi.
Vorrei fare tante cose, ma a causa di un sovraccarico di ambizioni e speranze, mi paralizzo come una capra che si finge morta davanti al pericolo. Forse sarà l’età, ma sento di essere diventato lento, come mio padre quando doveva montare il ventilatore a soffitto: se ne stava lì a guardare i quattro fili che sporgevano dal comando a muro, li toccava, li divideva, si metteva gli occhiali e leggeva quelle poche righe incomprensibili che componevano le istruzioni, poi col cacciavite in una mano e la scatoletta del comando nell’altra, ricominciava e guardare i fili cincischiandoli ogni tanto.
Ricordo che la sua inattività mi faceva rabbia, mi domandavo perché continuasse a guardare dei fili elettrici che non gli avrebbero potuto fornire nessuna risposta; nemmeno se avessero potuto parlare.
Oggi lo capisco. È come se anch’io mi ritrovassi fra le mani questi quattro fili spelati che, forse, racchiudono la soluzione ai miei problemi, ma non so come collegarli, in quale ordine, quale deve portare la corrente e quale scricarla, quale fare da interruttore e quale no.
È un mondo interconnesso, in cui gli architetti, pretendono di fare i grafici, i comici scrivono libri che non fanno ridere, le ballerine non sanno ballare, i cantanti dipingono quadri orrendi, i cuochi fanno i filosofi e i filosofi gli attori. Un mondo in cui ogni barbiere è un artista e ogni farmacista è poeta, un mondo in cui non riesco a capire dove collocarmi, come vendermi, cosa so fare davvero.
PS: Alla fine il telecomando del ventilatore si è bruciato. Ne ho dovuto comprare un altro e farmi spiegare dal commesso come fare i collegamenti.

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