Il tempo è una bestia strana. Sono quasi cinque mesi che cerco di risollevare la situazione finanziaria e non so dire se mi sembrano tanti o pochi. Dovessi affidarmi al senso di colpa - anche se colpe non ne ho - sono tanti, tantissimi. Non è stato facile riprendermi da una cosa così stravolgente, non solo per la mia vita, ma anche per quella di chi mi è vicino, e credo che la strada sarà ancora lunga.
Se penso invece a quello che ho potuto fare, gli impulsi artistici finalmente assecondati, il nuovo ordine che cerco di trovare alla mia vita, questi mesi sono passati come un'auto in corsa: un ronzio lontano che ben presto si trasforma in rombo prepotente, di cui resta solo il ricordo e un fischio nelle orecchie.
Dicono che il tempo sia soggettivo, credo sia vero. Aspettare l'autobus una domenica pomeriggio di luglio, non è come il tempo - sempre troppo poco - passato insieme alla ragazza di cui si è innamorati.
Ma oltre a questo aspetto, pare ce ne sia un altro ancora, sempre a proposito della percezione del tempo. Sembrerebbe infatti che la concezione del passare del tempo cambi con l'età. E questa mi sembra un po' la scoperta dell'acqua calda.
Mia nonna, da che mi ricordo, ripeteva sempre che il tempo scappa come un ladro e che cercare di fermarlo è come prendere un anguilla: ti pare di averla acchiappata, la senti tra le mani, ma in un attimo ti trovi a stringere solo le tue dita viscide.
In effetti, da piccolino, il tempo mi sembrava infinito, potevo quasi sentirne il rumore, il fischio del suo scorrere. Quel "Ci vediamo fra un'oretta" che diceva mio padre quando usciva la domenica pomeriggio, si dilatava in un'attesa infinita, un tempo filaccioso di gomma e colla che non passava mai, un continuo ripetere fra me e me: "Ma quanto dura questa cavolo di oretta?".
Poi c'era l'attesa per natale, lunga, tormentosa, infinita.
O i compleanni, aspettando i quali si diceva: "Ho sette anni e mezzo - oppure - ho quasi nove anni". Come se lo scorrere del tempo fosse qualcosa di troppo lento per la fretta di un bambino.
Oggi tutte queste feste scorrono una dopo l'altra come una giostra che, in un lampo, ha già fatto un altro giro. Oh cazzo, ho citato Tiziano Terzani senza volerlo. Giuro, non l'ho fatto apposta, tra l'altro non mi è neppure simpatico.
C'erano poi quelle tappe formidabili dell'adolescenza, come i fatidici quattordici anni, l'età minima per girare con uno scassatissimo garelli vip tre marce e, magari, caricarci una ragazza per fare il giro del quartiere, quest'ultima, rimasta solo una pia illusione. O i sedici anni del patentino per guidare uno zundapp, un ktm o un morini. Roba seria, per volare oltre i cento chilometri orari e con cui, almeno così credevo, rimorchiare sarebbe stato praticamente automatico.
O soltanto l'attesa per una ragazza che, prima o poi, si sarebbe invaghita di me. La più lunga e difficile.
Eppure i miei figli pare crescano così velocemente, in modo così implacabile, che quasi stento a ricordare come fossero solo un mese prima. Crescono a scatti, come nel salto triplo, solo un mese, o un anno fa, avevano una vocina angelica e, improvvisamente, te li ritrovi uno con i peli sulle gambe che pare l'uomo lupo, e l'altra che quasi le spuntano le tette.
Mi sembra la scena della vetrina in L'uomo che visse nel futuro, in cui il manichino muta vestiti e mode in un caleidoscopio vertiginoso.
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