Il lavoro procede, finalmente ho sbloccato qualche meccanismo che inceppava il motore e riesco di nuovo a produrre cose piacevolmente creative. Non dico sia facile e mi costa molta più fatica rispetto a un anno fa, ma, poco alla volta, riesco ad andare avanti.
Non nego di essere ancora disorientato. Questo piccolo lavoro mi ha ridato una certa fiducia, ma l'avvenire è davvero imperscrutabile. Probabilmente settembre dovrà portare qualche novità, o almeno me lo auguro, perché sarà anche il periodo in cui i pochi risparmi se ne saranno andati tutti in tasse.
È in questo periodo che mi capita di affacciarmi alla finestra della camera da letto, e pensare che vivo in un condominio che, almeno per me, è come una specie di macchina del tempo.
Ci abito da così tanto che potevo passare sotto al tavolo del salotto dei miei genitori senza nemmeno abbassarmi. I balconi del loro appartamento si affacciavano in due direzioni: a sud, verso la strada, il mondo esterno, le automobili che passavano, la gente che andava a lavorare.
A nord, davano verso il cortile, vietato ai giochi dei bambini, decorato con aiuole esagonali in cui prosperavano delle enormi ortensie. A dividere due cortili sorge il palazzo centrale del condominio che, nel suo complesso, è formato da tre costruzioni parallele; due rivolte verso strada da un lato e il cortile dall'altro, e una centrale con vista solo sui cortili.
Ed era il balcone verso il cortile quello a cui si rivolgeva tutta la mia attenzione di bambino. A mezzogiorno, potevo scorgere attraverso le portefinestre delle cucine, i vicini che pranzavano e chiacchieravano, poi un concerto di stoviglie in lavaggio nei lavandini. Nei seminterrati adibiti a uffici e laboratori, lavoravano disegnatori di fumetti con cui, insieme agli amici, scambiavamo qualche parola solo per poter spiare il loro lavoro. E il pomeriggio, dal balcone, con le gambe che penzolavano attraverso la ringhiera, si parlava da un bambino all'altro.
C'era una certa Milena che stava al secondo piano. Me la ricordo perché aveva lo stesso nome di Milena Sutter, quella ragazzina di 13 anni, rapita e uccisa nel 1971. Un caso di cui, sia in famiglia che alla televisione, si parlò molto. Poi c'erano le due sorelle sarde al terzo piano, proprio di fronte al mio balcone. Una andò, come me, al liceo artistico e qualche volta abbiamo fatto la strada insieme fino alla metro. La scuola l'ha un po' sbandata e, per un certo periodo, come dice sua madre, si faceva le punturine. La sorella più piccola è stata gravemente ammalata e i miei genitori mi hanno obbligato ad andarla a trovare in ospedale. Oggi a quanto pare sta benissimo. Poi c'erano i gemelli, un maschio e una femmina, ma non ci parlavo molto perché stavano quasi sempre per i fatti loro. Qualche anno dopo il maschio è morto di non so cosa. La sorella adesso insegna inglese alle scuole elementari e dicono che non sia una persona estremamente equilibrata.
Sempre di fronte, ma all'ultimo piano c'era un'altra coppia. Anche loro fratello e sorella. Erano molto alti per la loro età e altrettanto intrattabili.
Durante l'adolescenza tutto questo teatrino non mi è più interessato e credo di non aver più guardato da balconi e finestre che davano sul cortile per una buona decina d'anni. Poi, dopo il matrimonio, mi sono trasferito in un appartamento con vista solo verso la strada, perciò non ho più avuto la minima idea di quale fosse la vita da cortile.
Il caso ha voluto che, più o meno quattro cinque anni fa, cambiassimo nuovamente appartamento. Questa volta le finestre e i balconi si affacciano nuovamente su entrambi i lati: strada e cortile. È stata una fulminazione: tutto è cambiato ma, stranamente, tutto è ancora come prima. Certo, i bambini sono cresciuti e molti se ne sono andati, gli inquilini italiani sono stati sostituiti spesso da filippini, cinesi, arabi o africani, ma buona parte di alcune atmosfere è rimasta la stessa. Resistono tanti genitori che ormai sono invecchiati e diventati nonni. A volte rivedo i loro figli e miei compagni di giochi di un tempo che vengono a trovarli, e allora si risente di nuovo lo spentolare di stoviglie per il pranzo della domenica.
E, come in una enorme macchina del tempo, ritorno bambino con i piedi che penzolano attraverso la ringhiera, mentre chiacchiero e mostro i miei giocattoli ai piccoli amichetti che oggi sembrano tutti così vecchi...
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