venerdì 1 aprile 2011

Come una puttana da casino

Mi sento prosciugato, proprio come le ignare vittime degli alieni succhiacervello dei film di fantascienza degli anni cinquanta.
Sono più o meno tre mesi che lavoro come uno schiavo a progetti, preventivi, proposte. Fino a oggi per più o meno duemila euro che, tra l'altro, non ho ancora incassato.
Non dormo più di cinque o sei ore per notte. Non posso farci niente, mi sveglio e penso se quelle cinquanta pagine andranno in porto o meno, oppure se l’altro preventivo era troppo alto o basso, o se quello che mi ha contattato, chissà come, alla fine mi farà lavorare.
La società che produce software gestionali, proprio ieri ha rifiutato il mio preventivo. “Ma è per una questione economica?” ho chiesto. “No, non è per quello” hanno risposto.
Eppure ci avevo creduto. Magari non sarò Bob Noorda, ma dopo tanti anni riesco a capire quando imbrocco la strada giusta per un progetto. E questa, ve lo giuro, era proprio un’ottima strada, anzi, un’autostrada.
Continuo a pensare che l’abitudine che ha contagiato anche il negozio di frutta e verdura sotto casa di chiedere preventivi e indire gare fra più soggetti (dall’agenzia al secchione smanettone) per il volantino delle offerte speciali, è una cosa perversa e controproducente.
Io sono convinto che debba essere l’agenzia a guidare il committente sulla strada giusta e non il contrario. Non è credibile che il cliente scelga un progetto grafico come si sceglie una carta dal mazzo di un prestigiatore di periferia, o come una puttana in un casino. 
Sarebbe come interpellare quattro medici per una diagnosi, e poi credere a quello che ha detto la cosa che ci saremmo aspettati, o che ci ha consegnato la parcella più economica. A volte si deve accettare ciò che a prima vista non piace ma funziona e, molto spesso, è proprio lo sciroppo più amaro quello che guarisce. 
Ma per continuare con la metafora dei medici, oggi sono tutti esperti di tutto, tutti pretendono di ricevere le cure che si sono autoprescritti, anche quando sono più dannose che salutari.
Tempo fa non avrei perso tempo con un’azienda formata da cinque soci, ognuno con un’idea diversa e ognuno convinto di essere il depositario assoluto delle verità del mondo. Ma oggi continuo a cascare in queste trappole, come un animale che sa di andare incontro a morte sicura e che pure non fa nulla per evitarlo. Non perché sia nella mia e sua natura, ma perché non abbiamo alternativa.
Continuo comunque a coltivare la speranza che l’editore francese capisca che per essere un buon art director non servono uffici lussuosi e tutti gli inutili fronzoli che giustificalo solo parcelle salate come il Mar Morto.
Come in un pesce d'aprile del cazzo, per ora non posso fare altro che incrociare le dita e sperare.

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