Poi, perché leggo che, nei pochi giorni in cui gli aeroporti europei sono stati chiusi, oltre sette milioni (7 milioni!) di passeggeri sono rimasti a terra, con oltre 63mila (63.000!) voli cancellati.
Ma dove cazzo va tutta questa gente? Va bene, ci saranno quelli che vanno in vacanza, anche se non sarebbe stupido fare ogni tanto un po' di turismo a chilometri zero; ovvero, perché prendere un aereo e fare cinquemila chilometri per finire in un villaggio turistico uguale a quello che troviamo sotto casa?
Magari sono quelli che si definiscono ambientalisti, ecologisti, turisti responsabili e intanto riempiono i cieli di kerosene per andare ad ammirare le tartarughine delle Galapagos o, più facilmente, le passerine tailandesi.
Ma tutti gli altri, che fanno? Dove vanno? Sono tutti uomini che si spostano per affari e riunioni importantassime? 28mila voli giornalieri per trasportare coglioni da un punto all'altro dell'Europa? Non riesco a crederci; ecco perché sto dalla parte del vulcano; le sue povere ceneri inquineranno senz'altro meno di 28mila aerei che ogni giorno ci passano sulla testa.
A proposito, non dovermi svegliare ogni mattina con il rumore del primo volo da Linate che sorvola la nostra casa, è impagabile, per tutto il resto, c'è Mastercard...
Ma parlando di nubi devo per forza ricordare il romanzo La nube purpurea di Matthew P. Shiel, nel quale una misteriosa nuvola dal delicato profumo di pèsca trasforma il nostro pianeta in un gigantesco museo delle cere. A parte uno, naturalmente.
O la più terribile nube radioattiva di Chernobyl, del 1986 che, grazie all'impossibilità di restare ferma in un posto per più di un'ora di mia moglie, abbiamo affrontato in moto, in una "frizzante" gita verso i laghi lombardi, nel giorno di maggior intensità di ricaduta radioattiva. Per ora, nessun effetto collaterale, ma in fondo sono passati "solo" 24 anni.
Mi viene anche in mente la nube tossica alla diossina che investì Seveso nel 1976. Mio padre era un commesso viaggiatore di tessuti e aveva un cliente proprio a Seveso. Cliente da cui, in seguito, con un po' di titubanza, ho comprato una Honda Goldwing, una moto così pesante e ingombrante che pareva un treno merci.
Capirai se mi spavento per un simpatico vulcano islandese dal nome impronunciabile.
Ho anche finito il primo quadro della serie che ho in mente di terminare prima dell'estate. Si intitola Nirvana. Non è venuto proprio come volevo; diciamo che è al sessanta per cento come avrei voluto io, e al quaranta per cento come ha voluto lui.
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