Ne ho le palle piene di gite scolastiche a Torino per vedere il museo egizio, al Pime di Milano, ai parchi preistorici, all'Arena per improbabili manifestazioni sportive, al grattacielo Pirelli per omaggiare la giunta. Sono stufo dei saggi scolastici di piano, di chitarra elettrica, di commerci equi e solidali solo per la scuola. Sono nauseato dalle gare sociali della palestra, degli esami per l'ennesima cintura multicolore di karate. Fuggo come un ladro dalle feste scolastiche di fine anno, dalle esposizioni dei lavoretti di prima, seconda, terza, quarta e quinta, dalla mostra d'arte degli studenti di terza media, dalla creatività banale e stereotipata dei genitori attivi e non, dai musical fortemente voluti da un preside totalmente rimbambito, dallo stress da palcoscenico, dai capricci da primedonne delle insegnanti.
Da questa scuola in generale. Dal concetto di controllo sulle nuove generazioni che un'istituzione così concepita non può fare a meno di esercitare.
Ogni anno le lezioni terminano sempre più tardi e ricominciano sempre prima. Negli anni sessanta potevamo crogiolarci in lunghissime e oziose estati indolenti. Ai primi di giugno c'era già chi partiva per la casa dei nonni in campagna, altri passavano un mese in città, un altro al paese dei nonni e un altro ancora al mare con mamma e papà, poi, a settembre, con gli amici in città.
Oggi, tra compiti delle vacanze, un mese di ferie e qualche giorno di sacrosanto far niente, l'estate vola in un soffio e ci ritroviamo al sette, l'otto di settembre a ricominciare una scuola pressoché inutile se non per i giorni sempre più numerosi di inutile presenza. Non più un luogo di incontro e confronto, ma una economica bambinaia per genitori impegnati. Non qualità dell'insegnamento, ma mero calcolo dei giorni scolastici. Tra vacanze sempre più brevi e tempi prolungati sempre più lunghi, ai ragazzi non rimane più tempo da dedicare a sé stessi, niente fantasticherie, niente ore trascorse sul letto o sul divano con le gambe per aria a scrutare ombre misteriose sul soffitto, niente interminabili pomeriggi assolati trascorsi con gli amici, niente fumetti e libri, nemmeno la bici con le gomme consumate fino a scoppiare, nulla di quella libertà che oggi appare così improbabile.
Di quale libertà possono nutrirsi dei bambini dai sei agli undici anni che sono obbligati a trascorrere oltre otto ore in quella gabbia chiamata scuola? Per poi, una volta usciti, fare che? Un corso di ginnastica da un'ora, o la piscina, o la lezione di piano. E poi i compiti, compresi sabato e domenica, le ricerche, il quaderno con la copertina gialla, l'altro blu, l'altro ancora rossa, quello per matematica deve essere verde, quello di scienze ad anelli, ma non quello di inglese. Libri sempre più pesanti per insegnare a memoria mille desinenze che mai più si ricorderanno.
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