giovedì 10 giugno 2010

Cuba Libre

Ieri ho fatto visita a quel famoso ex direttore di cui ho parlato in qualche vecchio post. Ha appena compiuto sessant'anni ma è già in pensione da qualche tempo, e l'ho trovato in gran forma. Abbronzato, i capelli ben curati, baffetti sale e pepe, una lacoste verde. Si è parlato di tutto e di niente, proprio come è sempre stata sua abitudine: saltare di palo in frasca per farsi un quadro generale attraverso un'infinità di piccole cose. Si lamenta per il poco lavoro che però, per lui, è solo un mezzo per tenersi vivo, per non passare le giornate a cazzeggiare, per dimostrare che è ancora un direttore con un certo nome. 
Certo, il mio problema è leggermente diverso: non so cosa darei per essere in pensione e occuparmi dei miei interessi, finalmente senza sensi di colpa, invece lavorare per me significa mantenere la famiglia e me stesso, pagare le spese condominiali, sopravvivere. Lui parla di crisi, di momenti di merda, poi in casa c'era la governante sudamericana che si dava da fare per pulire e riordinare, la moglie appena rientrata da una partita di tennis, l'iphone sul tavolo, il wireless per i computer e altre amenità che io non mi potevo permettere nemmeno quando il lavoro andava a gonfie vele.
Quando sono tornato a casa mi sono guardato allo specchio. Bianco come un cadavere, sovrappeso, sudaticcio, due occhiaie che fanno paura, occhi arrossati, barba e capelli senza un taglio che si rispetti e ispidi. In effetti credo che, in questi ultimi tempi, devo essere invecchiato non poco. Altro che età, come diceva Harrison Ford in un Indiana Jones, sono i chilometri! Una vita passata sul filo del rasoio. Un tira a campare durato trent'anni e che oggi sta rischiando di farmi male seriamente. Il lavoro che non c'è, C. che si fa rimandare come l'ultimo dei cretini, e io che ogni volta che mi guardo allo specchio mi trovo sempre più consumato.
Non è facile affrontare tutti i giorni con ottimismo e fiducia, ce ne sono alcuni in cui, il solo alzarsi dal letto per mandare i figli a scuola, è una sofferenza di Tantalo. E questo è niente: la prossima settimana inizieranno le vacanze e mi ritroverò i figli tutto il giorno in casa. Vedranno un padre che cazzeggia con un blog inutile, che produce quadri e installazioni che non interessano a nessuno, o che gira per la casa come un orso chiuso in gabbia da troppo tempo e che ha perso il lume della ragione. 
Quale esempio potrò essere per loro durante questi mesi? Come posso impormi verso chi ha poca voglia di studiare se io stesso passo le giornate in attività improduttive?
Il mio cuba libre del dopo pranzo ha sempre meno coca-cola e più rum. Un’ipocrisia per attaccarmi alla bottiglia? Mi viene in mente un amico che fumava e poi si rimpinzava di mentine, obbligandoci ad annusare il suo alito e chiedendo petulante: “Si sente che ho fumato?”. Noi rispondevamo immancabilmente che no, non si sente niente, ma mentivamo spudoratamente augurandoci che un giorno o l’altro i genitori lo scoprissero e finisse una volta per tutte questa patetica manfrina.
Questo modo di comportarsi mi mandava letteralmente in bestia e, con il passare degli anni, purtroppo non è cambiato gran ché.
Era uno che viaggiava per stereotipi, seguendo ciò che in quel momento faceva tendenza o fosse anche vagamente cool.
Come la mania per il porno e le puttane, con tanto di prevedibile finale a base di zecche. Se solo ripenso a quante volte mi sono seduto al suo fianco in automobile mentre era preda del suo “problemino”, mi viene da vomitare. Dovevo sorbirmi disquisizioni infinite su questa o l’altra attrice, su quella che quando ha girato quel tal film era ancora minorenne, sul porno come forma culturale e un sacco di baggianate del genere. Erano continui e estenuanti puttan tour, visite a sexy shop e videoteche. Poi, finalmente è arrivato internet e il peer to peer e anche, credo, una certa anestesia dei sensi, visto che un giorno se n’è uscito con un: “Adesso è il signorino che decide quando rizzarsi”. 
Si è fatto pure un viaggio fino in Giappone per realizzare il sogno di scoparsi una ragazza del sol levante, ma a quanto mi risulta, è tornato a bocca asciutta. Sarebbe bastata una puntatina in Thailandia o nelle Filippine o in Sri Lanka, ma lui si era impuntato col Giappone che non è certo il falso mito delle nordiche che la danno a tutti, e poi lì c’era un vecchio amico fuggito dall’Italia per storie di droga o che so io e quegli insulsi pupazzi dei film di fantascienza che costavano già allora un occhio della testa. Si era messo in testa di fare affari con internet vendendo pupazzi e robot ma alla fine credo abbia speso fior di milioni senza combinare un bel niente.
Poi c’è stato il periodo dell’amarino dopo cena, dei whisky scozzesi e inglesi, della tequila da enoteca e bottiglie di liquori da 50 euro e più. E allora, giri per enoteche specializzate a Monza o perfino a Varese. Un giorno mi disse: “Vedi questa? è la tequila più buona che esista”. Ma non faceva altro che scimmiottare la battuta di Bisio in Puerto Escondido. Dopo qualche tempo, parlando di liquori, ebbe il coraggio di dire: “Io non ho mai bevuto tequila in vita mia”. Come se fossimo dei poveri coglioni che già si erano scordati le sue vanterie da fine conoscitore di superalcolici.

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