Ecco le differenze fra gli esseri umani. Ciò che ci rende diversi l’uno dall’altro. L’ex direttore vive per il lavoro. Non riesce a godere della seppur lauta pensione, senza sentirsi “nella merda” perché non riesce a accumulare lavori su lavori grazie ai fasti degli anni passati. Alle otto e trenta di mattina è già attivo su skype, alle otto e trenta di sera telefona per sollecitare il lavoro. Non esiste sabato, né domenica. Non solo per lui, ma per tutti quelli che con lui collaborano.
Domenica scorsa, festa della mamma; per quello che può valere una festa da fiorai e pasticceri. Ma tutti hanno una mamma e credo che nessuno possa esimersi dal farle almeno gli auguri e pranzarci insieme. Almeno così è per i miei figli e, mio malgrado, anche per me. Non è una giornata di gran riposo, soprattutto dopo aver imbastito un progetto grafico in due giorni e, una volta tanto, aver ricevuto i complimenti dell’editore. I ragazzi si devono fare la doccia, tutti quanti aiutiamo in cucina, ad apparecchiare, scrivere e disegnare bigliettini, cucinare crostate. Alle dodici e trenta chiama l’ex direttore:
“Allora, hai pronto qualcosa per me?” chiede come se fosse un normalissimo giorno lavorativo.
“Veramente ho aiutato i ragazzi con la festa della mamma - rispondo - sai, oggi mi tocca sorbirmi pure la mia, per questo non ho ancora acceso il computer...”
Lui dice di non preoccuparmi, di procedere tranquillamente e se per caso impagino qualcosa, di chiamarlo pure in serata.
“Sì, come no! - mi verrebbe da rispondere - adesso per settecento euro mi metto a lavorare pure di notte o nei festivi!”. Ma invece applico l’infinita pazienza che ho dovuto imparare - volente o nolente - durante questo periodo e abbozzo, prometto, accampo scuse fumose.
Penso di essermela cavata, che abbia capito, che almeno per oggi non rompa più le scatole.
Ore ventuno e quindici, squilla il cellulare, è lui, lo lascio squillare, non ho nessuna voglia di rispondere, di riaccendere il computer, di inventare scuse.
Io non sono così, le mie ambizioni sono più “socialmente responsabili” nel senso che mi basta mantenere la famiglia, togliermi qualche soddisfazione ogni tanto e, soprattutto, avere tempo da dedicare ai miei figli e a me stesso.
Che senso ha, passare la propria vita davanti a un monitor di computer per arrivare, la sera, a non aver più occhi per leggere il titolo sulla copertina di un libro? Per stramazzare addormentati sul divano quando non sono ancora le nove? E risvegliarsi come zombie, con la tv che sbraita, alle cinque meno un quarto, con in mente il lavoro da finire?
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