Parlo del lavoro. Quello che c’è, quello che non c’è, quello che potrebbe esserci.
Sono alcuni giorni che non mi stacco dal computer prima delle sette e mezzo di sera, che lavoro anche di sabato, che rispondo al telefono all’ex direttore di domenica. Ieri, fra la una e la una e venti, mi ha chiamato almeno quattro volte, facendomi pranzare a singhiozzo.
Qualche anno fa non avrei nemmeno risposto al telefono, oggi mi sento come nella bella recensione di The Company Men su Mymovies (http://www.mymovies.it/film/2010/thecompanymen/):
“John Welles esplora l’impotenza della perdita del lavoro, mentre esamina come la rabbia, la paura e l’umiltà forzata possono sostituire la sicurezza dei ‘normali’”.
Ecco, è l’ultima frase quella che mi ha colpito nel profondo, "l’umiltà forzata", che sostituisce, in chi è alla ricerca di un lavoro, la sicurezza del “normale”.
La giusta definizione per chi, come me, è alla disperata ricerca della propria normalità, dell’illusione di essere parte di una grande macchina, un piccolo ingranaggio con una sua collocazione ben precisa, un suo compito minimo ma funzionale, e la scoperta improvvisa che la macchina funziona anche senza la mia rotellina, che comunque va avanti e che quel piccolo ingranaggio può essere sostituito senza problemi, senza intoppi.
In queste ultime settimane di improvvisa operosità sento montare dentro l’orgoglio di essere nuovamente una parte della macchina, la sera sono così soddisfatto della mia stanchezza che è come se fosse sempre natale.
La giusta definizione per chi, come me, è alla disperata ricerca della propria normalità, dell’illusione di essere parte di una grande macchina, un piccolo ingranaggio con una sua collocazione ben precisa, un suo compito minimo ma funzionale, e la scoperta improvvisa che la macchina funziona anche senza la mia rotellina, che comunque va avanti e che quel piccolo ingranaggio può essere sostituito senza problemi, senza intoppi.
In queste ultime settimane di improvvisa operosità sento montare dentro l’orgoglio di essere nuovamente una parte della macchina, la sera sono così soddisfatto della mia stanchezza che è come se fosse sempre natale.
Ma c’è un ma. Intanto è robetta. La rivista di barche per ricconi sfondati sarà nelle mie mani per un solo numero ancora, poi il mistero rimane fitto. Quella che si occupa di eventi e per la quale l’ex direttore ha firmato un contratto (ma io no), economicamente è ancora ben poca cosa, e dall’editore francese e la localizzazione della sua rivista, non è ancora ben chiaro cosa ne sarà in futuro.
Tanto rumore per nulla insomma. O meglio, tanto lavoro, ma nessuna certezza. Intendiamoci, rispetto al vuoto cosmico dell’ultimo anno, è una calda coperta di lana in una notte gelida, ma non è certo ancora la certezza di avere un tetto sulla testa.
Questo blog si chiama Uomo in Mare; forse avrei dovuto chiamarlo all’Inferno e Ritorno, ma mi sembrava, così facendo, di essere fin troppo ottimista e allora, per scaramanzia, ho mantenuto il nome originario che nacque prima ancora della tempesta lavorativa. Diciamo che, per ora, questo viaggio all’inferno - senza nemmeno la compagnia di un Virgilio - si sta forse avviando verso il purgatorio, ma si trova ancora molto lontano anche dalla sola idea del paradiso.
Tanto rumore per nulla insomma. O meglio, tanto lavoro, ma nessuna certezza. Intendiamoci, rispetto al vuoto cosmico dell’ultimo anno, è una calda coperta di lana in una notte gelida, ma non è certo ancora la certezza di avere un tetto sulla testa.
Questo blog si chiama Uomo in Mare; forse avrei dovuto chiamarlo all’Inferno e Ritorno, ma mi sembrava, così facendo, di essere fin troppo ottimista e allora, per scaramanzia, ho mantenuto il nome originario che nacque prima ancora della tempesta lavorativa. Diciamo che, per ora, questo viaggio all’inferno - senza nemmeno la compagnia di un Virgilio - si sta forse avviando verso il purgatorio, ma si trova ancora molto lontano anche dalla sola idea del paradiso.
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