Mi sono alzato per il caldo e anche per la rabbia. Non la rabbia di non poter dormire - Voyager di Giacobbo è un ottimo sonnifero: alle dieci di ieri sera già russavo sul divano come una balena spiaggiata - ma quella ancora schiumosa come una birra appena versata che ha cominciato a montare da ieri sera.
Ricevo una mail da chi si occupa della traduzione e l’adattamento dei testi della rivista francese. Ci accusa di aver tagliato “arbitrariamente e a capocchia” i testi degli impaginati, ci spiega che siamo noi a dover adattare le pagine alle traduzioni, anche quando sono esattamente il doppio rispetto agli originali, che non dobbiamo agire meccanicamente ma ragionare e via di seguito.
Onestamente, non mi era mai capitato di imbattermi in tanta arroganza e cialtroneria.
Fare un giornale è un’operazione di alta diplomazia; chi scrive un testo lo ritiene perfetto e intoccabile, chi impagina lo fa come se ogni servizio dovesse essere esposto alla galleria d’arte moderna, il caposervizio e l’art director cercano di arrivare a un compromesso che salvi capra e cavoli, soprattutto per rispetto verso chi si ritroverà il giornale fra le mani.
Spesso le redazioni sono teatro di tragedie, altre volte di commedie dell’assurdo, ma poi, tutti devono piegare la testa per passare sotto le forche caudine della chiusura del numero.
In tutto ciò, l’unico imperatore, l’unico dittatore a cui si deve cieca obbedienza, è il direttore, nessun altro.
Quello che penso è che, se cominciamo così, cominciamo davvero male.
Ricevo una mail da chi si occupa della traduzione e l’adattamento dei testi della rivista francese. Ci accusa di aver tagliato “arbitrariamente e a capocchia” i testi degli impaginati, ci spiega che siamo noi a dover adattare le pagine alle traduzioni, anche quando sono esattamente il doppio rispetto agli originali, che non dobbiamo agire meccanicamente ma ragionare e via di seguito.
Onestamente, non mi era mai capitato di imbattermi in tanta arroganza e cialtroneria.
Fare un giornale è un’operazione di alta diplomazia; chi scrive un testo lo ritiene perfetto e intoccabile, chi impagina lo fa come se ogni servizio dovesse essere esposto alla galleria d’arte moderna, il caposervizio e l’art director cercano di arrivare a un compromesso che salvi capra e cavoli, soprattutto per rispetto verso chi si ritroverà il giornale fra le mani.
Spesso le redazioni sono teatro di tragedie, altre volte di commedie dell’assurdo, ma poi, tutti devono piegare la testa per passare sotto le forche caudine della chiusura del numero.
In tutto ciò, l’unico imperatore, l’unico dittatore a cui si deve cieca obbedienza, è il direttore, nessun altro.
Quello che penso è che, se cominciamo così, cominciamo davvero male.
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