Se solo mia nonna sapesse che a ogni appuntamento dal dentista, ne corrisponde un altro in libreria, non so immaginare cosa direbbe.
Lei, che credo non abbia letto nemmeno un libro in vita sua ma che, per mandare avanti la famiglia, è stata la prima calzolaia, se non d’Italia, certamente di Milano, forse avrebbe sbottato come il padre di R. durante l’ennesima visita a una chiesa di Mosca: “Ostia! Basta chiese! Vista una, viste tutte!”.
Ieri è stata la volta di Don Delillo, scrittore che amo a prescindere, con La stella di Ratner; un salasso da 24 euro a favore di Einaudi, e quindi del nano maledetto.
Non importa, come dicono a sinistra ogni volta che bisogna votare: turiamoci il naso. Solo che a forza di turarci il naso, non sentiamo più né puzze, né profumi, e questo non va bene.
E forse proprio per questo, per il gusto cioè di farmi del male, questa sera abbiamo visto The Company Men, un bel film di John Wells nel quale è rappresentata l’improvvisa discesa all’inferno e la difficoltà nei rapporti familiari e di amicizia di Bobby Walker, brillante e benestante manager con tanto di Porsche, improvvisamente licenziato dall’azienda per cui lavora.
Si troverà ad affrontare ciò che io stesso ho provato e continuo a provare tutt’ora sulla mia pelle, fino ad accettare un lavoro da falegname edile offerto dal cognato. Il superficiale Bobby imparerà così ciò che significa dover rinunciare a tutti quei privilegi che riteneva ormai consolidati, alle partite a golf, ai bei vestiti, ai ristoranti da 500 dollari. Imparerà a capire i veri valori dell’amicizia, dell’amore e della dignità del lavoro.
Naturalmente Bobby è un trentasettenne e può permettersi la fatica fisica e l’idea di dover ridefinire in qualche modo la propria vita, quindi le affinità tra la sua situazione e la mia finiscono bruscamente prima ancora di cominciare.
Inoltre, nel finale, Bobby riesce a risollevarsi e trovare un lavoro adatto alle proprie capacità, anche se con uno stipendio pressoché dimezzato. Un lieto fine forse un po’ troppo rosa per situazioni che, nella maggior parte dei casi, hanno ben altri esiti.
Semmai dovrei immedesimarmi più nel suo collega Phil Woodward, anche lui licenziato, che alla soglia dei sessant’anni, tintosi i capelli grigi, tenta di rivendersi in un mercato che non considera chi è al di sopra dei trent’anni e finisce per suicidarsi con i gas di scarico della propria auto.
Cosa c’entra tutto questo col culo di Pippa? Niente, solo che nel titolo del post ci stava così bene...
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