venerdì 8 ottobre 2010

La storia si ripete

Mi piace riportare lo stralcio di una lettera che, il fratello del mio bisnonno, scrisse al nipote, ovvero il fratello di mio nonno.
Non è scritta in italiano corretto, ma dalla mano di un muratore o poco più, però contiene emozioni forse per questo più autentiche e, soprattutto, così attuali che ne sono rimasto davvero impressionato.

16 giugno 1932 Brooklyn
Caro nipote ed amato come figlio
Nel scriverti la presenta sento che il cuore mi batte e la mano mi trema. Con tutta la volontà possibile avrei voluto risponderti ed accontentarti non appena ricevuto la tua pregiata lettera, ma fattostà che i tempi di crisi che attraversiamo e particolarmente io che da due anni a spasso, senza l’utile di un centesimo, figurati quale vita stentata possiamo menare assieme alla zia C., però per compiere un atto Santo e giusto e non potendo, mi sentivo mortificato e taciturno, C. (povero ragazzo) che da due mesi a spasso e anche lui avvilito, per darmi coraggio che già era avvertito la mia mortificazione si voltò e disse: Papà non mortificarti, come mi metto al lavoro vi darò io una cinque dollari e la mando a S., come infatti alla seconda settimana di lavoro tutto allegro e contento mi consegnò la detta promessa. Figurati amato figlio la mia allegria, non perdetti un minuto che presto scrissi una lettera racchiudendoti la cinque dollari donata e chiuso la lettera, mi recai alla posta per assicurarla, quando arrivato là la sola immaginazione può considerare la sorpresa a non trovarmela in tasca, fruga da una parte, fruga da l’altra la lettera non la trovai, però non posso dirti se mi fu rubata o se nò per la fretta la misi fuori di tasca. Figurati S. carissimo, il mio dispiacere, mi venne da bestemmiare, mi venne di maledire, mi venne anche il pensiero del suicidio di come si tira la vita, ma mi sentii uomo, mi venne il pensiero di tutti detti atti sono dei vili, la vita bisogna combatterla e mi rassegnai e così sono stato per una settimana e più coi nervi alterati che non mi ho sentito disposto a scriverti.
Ora prego caldamente te che quando mi rispondi fai comprendere che già hai ricevuto la cinque dollari ringraziando il cugino del suo sacrifizio che fece, che io non dimenticherò mai ciò che nell’animo mio sento, anzi a C. ne parli di suo figlio Marino di appena un anno e che lui come tutti siamo affezzionato, acciò qualche altra volta desidero trovarlo disposto come ora.
Di tutti quelli di casa ne sono a giorno perché la zia T. mi scrive sempre, anzi giorni prima di ricevere la tua ne ricevetti una sua che non ancora gli ho risposto, pregandoti di non fargli saper niente della cinque dollari che ne sono sicuro che ne riceverà dispiacere.
Tuo affezionatissimo zio M.

Ho trovato le lettere di M. fra le carte del fratello di mio nonno; un prete salesiano morto alla venerabile età di 84 anni nel 1997.
Raccontano una storia degna di Victor Hugo, o di Alexander Dumas padre, o del nostro Giovanni Verga.
Tanto per inquadrare i fatti, devo almeno dire che i genitori di mio nonno morirono giovanissimi: la madre a 36 anni, per l’epidemia di spagnola del 1918; il padre invece, quattro anni più tardi. I loro nove figli - il più grande 19 anni, la più piccola 5 - vennero accuditi in parte dai nonni materni, e in parte si disperdettero fra istituti religiosi, regia marina o, come mio nonno, emigrarono a MIlano.
L’autore delle lettere, ovvero il fratello del mio bisnonno, emigrò con la famiglia negli stati uniti nel 1911, probabilmente per trovare un futuro migliore. Da lì, per almeno una ventina d’anni, fece del suo meglio per dare un aiuto al mantenimento di coloro che, più che nipoti, considerava come figli.
Le lettere che scrisse al nipote disegnano una parabola avvincente e drammatica. Alle prime, ottimiste e piene di suggerimenti di vita, poco per volta, seguirono quelle che descrivono una grossa crisi economica, con lui che, a oltre sessant’anni si ritrova senza lavoro, e che successivamente viene perso anche dal figlio. Poi la morte della moglie e, solo un anno dopo, anche quella del figlio per tubercolosi.
Le ultime lettere lo vedono come un uomo solo, distrutto dal dolore, dalla nostalgia e dalla vecchiaia, ancora preoccupato per il futuro dei propri nipoti in Italia, e deluso dalla loro ingratitudine.
Sono passati poco meno di cento anni, ma vale la pena comprendere come la storia si ripeta con i suoi corsi e ricorsi.

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