Naturalmente in metropolitana; linea rossa, che una volta aveva i vagoni rossi e bianchi, e oggi, chissà perché, sono di un triste e cupo grigio antracite.
Ad ogni fermata, una frizzante voce femminile ci aggiorna su quale sarà la prossima stazione, in italiano e un inglese arruffato, mentre dagli inutili schermi lcd appesi ai sostegni, scorrono le immagini della linea e delle fermate. A ogni aperura delle porte, gli altoparlanti esterni ripetono la stessa manfrina: “Fermata di San Babila, San Babila”. E quando si esce dalle vetture, in tutte le fermate del centro, videoproiettori sputano sulle colonne tra una banchina e l’altra, interminabili spot pubblicitari a volume inaudito.
Quando ero un frequentatore abituale della metro, mi facevo almeno un paio di volte al giorno il viaggio da un capoilinea all’altro della linea rossa, leggendo libri di fantascienza, riviste o quotidiani. Come potrei farlo oggi con queste voci esasperanti che martellano costantemente le orecchie almeno tre volte ogni stazione?
Scendiamo in Cairoli, mitica stazione in cui, ai tempi del liceo, stazionava fisso un tipo, drogato fino ai capelli, che ti chiedeva incessantemente qualche spicciolo: “Devo prendere il treno per tornare a Brescia e mi mancano i soldi, non è che c’hai qualcosa da darmi?”. Inoltre era una delle poche fermate munite di gabinetti pubblici a pagamento. Un punto fermo del nostro personale vademecum per sopravvivere a Milano. I cessi erano puliti e la domanda di rito di un vecchio che sedeva dietro una scrivania ancor più vecchia di lui, era invariabilmente: “Gabina o orinatorio?”. Il senso era: “Devi fare quella grossa o solo pisciare?”. E con cinquanta o cento lire, risolvevi i problemi di autonomia, specie in inverno. Naturalmente i cessi non ci sono più, né in Cairoli e nemmeno a Lima e probabilmente in nessun altra stazione della linea rossa.
Le scarpe le compriamo da Decathlon, là dove una volta sorgeva la Standa, teatro di innumerovoli espropri proletari e di merende volanti a prezzi economici, altra meta del vademecum milanese. Ora negli stessi locali vivacchia un grande magazzino dello sport popolare; scarpe di plastica, abbigliamento made in china e muri grezzi intonacati a calce illuminati dai neon. Ma non me ne lamento, visti i tempi, un paio di scarpe da ginnastica a meno di dieci euro e un paio di pantaloni sportivi a meno di trenta, sono una manna dal cielo.
Piazza Castello non mi piace più, eppure, insieme al parco Sempione, erano un centro di raccolta per i giovani. Sabato invece mi sono apparsi desolati, con i pullman a due piani rossi, quei maledetti City Sightseeing che spopolano in ogni città e due spocchiosi vigili a cavallo che si prestavano alle foto dei turisti davanti alla torre del Filarete.
Peccato che in via Dante, diventata chissà perché una striminzita area pedonale, nessuno avesse raccolto le innumerevoli cagate di cavallo rimaste lì a profumare l’aria già di per sé maleodorante.
Per fortuna c’è ancora la libreria remainders, sopravvissuta chissà come ai bar per allocchi che offrono improbabili insalate a dieci quindici euro. Grazie a quelle due vetrine piene di libri, ho formato buona parte della mia libreria classica e la totalità di quella erotica: Mirabeu, De Sade, Gamiani, Diderot, Moupassant, Giorgio Baffo eccetera. Altra tappa fissa del vademecum, come il negozio di cioccolata, biscotti e dolci in via Meravigli, incredibilmente ancora aperto nella desolazione di quella che era una fra le vie più belle di Milano.
A servire c’è ancora quel signore scontroso e anche un po’ stronzo che si innervosiva quando la scelta cadeva su mille lire di una cosa e mille di un’altra. Con l’età si è leggermente addolcito, ma non più di tanto. Chiacchierandoci, si lamenta del fatto che nessuno dei figli porterà avanti un punto fermo del nostro bighellonare adolescenziale. “Cosa vuole, i giovani non hanno voglia di lavorare dodici ore al giorno, sempre qui, tutti giorni dell’anno, senza mai vedere qualcosa di diverso. In fondo non me la sento nemmeno di biasimarli, e anche il negozio comincia a reggersi in piedi per miracolo, ma se cambio l’arredamento, va a finire che perdo anche i clienti. Pensi che è venuta la Moratti e nemmeno lo conosceva, eppure abita qua vicino”.
Più avanti, piazza Cordusio non riesce a trovare pace. Strade rivoltate, percorsi pedonali deliranti, il nulla totale fra le storiche sedi delle Assicurazioni Generali e Unicredit, inesorabilmente deserta anche in un sabato mattina di ottobre. Solo dei poveri disgraziati, vestiti con le tute di carta bianca degli operai dell’azienda elettrica e la testa rinchiusa in un cubo di cartone verde, sono impegnati nell’ennesima, solita, inutile e patetica operazione di guerrilla marketing, ideata da qualche creativo presuntuoso quanto imbecille, consegnando nei negozi inutile paccottiglia che i commessi si affrettano a togliere dai banconi infognandola nella pattumiera.
Stupide ragazze eredi di "quei de la mascherpa" (1) dalle cosce grosse come calciatori fasciate in minigonne senza gusto, chiacchierano al cellulare a voce alta in modo che tutti possano sentire dei loro meeting, o dei loro problemi di organizzazione aziendale probabilmente inesistenti.
Alla Città del Sole, i banali genitori di sinistra e politicamente corretti quanto benestanti, comprano ai loro figli viziati i soliti giochini di legno altamente educativi e cari come il fuoco. Mentre un esercito di almeno una decina di negri cercano di vendere libri che non hanno né capo, né coda.
No, non è questa la mia Milano, quella Milano grigia, fumosa, a volte cattiva e altre generosa, sobriamente impegnata a lavorare, a fà i danée, sempre in prima fila nelle lotte politiche, creativa senza essere inutilmente presuntuosa, dove il benestante e l’operaio si rispettavano reciprocamente, senza disprezzarsi, dove chiunque avesse voglia di lavorare trovava la sua collocazione. Una città in cui potevi girare e fare anche con pochi soldi; bastava conoscere i posti giusti, come la tavola calda sotto al tunnel fra Duomo e Cordusio con le sue polpette mefitiche che costavano niente.
Oggi Milano è lo specchio di un paese cialtrone, brutto, arrogante, tutto chiacchiere e distintivo, ma vuoto di umanità, indifferente e burino. Oggi Milano, e soprattutto i milanesi, non mi piacciono più.
Per fortuna c’è ancora la libreria remainders, sopravvissuta chissà come ai bar per allocchi che offrono improbabili insalate a dieci quindici euro. Grazie a quelle due vetrine piene di libri, ho formato buona parte della mia libreria classica e la totalità di quella erotica: Mirabeu, De Sade, Gamiani, Diderot, Moupassant, Giorgio Baffo eccetera. Altra tappa fissa del vademecum, come il negozio di cioccolata, biscotti e dolci in via Meravigli, incredibilmente ancora aperto nella desolazione di quella che era una fra le vie più belle di Milano.
A servire c’è ancora quel signore scontroso e anche un po’ stronzo che si innervosiva quando la scelta cadeva su mille lire di una cosa e mille di un’altra. Con l’età si è leggermente addolcito, ma non più di tanto. Chiacchierandoci, si lamenta del fatto che nessuno dei figli porterà avanti un punto fermo del nostro bighellonare adolescenziale. “Cosa vuole, i giovani non hanno voglia di lavorare dodici ore al giorno, sempre qui, tutti giorni dell’anno, senza mai vedere qualcosa di diverso. In fondo non me la sento nemmeno di biasimarli, e anche il negozio comincia a reggersi in piedi per miracolo, ma se cambio l’arredamento, va a finire che perdo anche i clienti. Pensi che è venuta la Moratti e nemmeno lo conosceva, eppure abita qua vicino”.
Più avanti, piazza Cordusio non riesce a trovare pace. Strade rivoltate, percorsi pedonali deliranti, il nulla totale fra le storiche sedi delle Assicurazioni Generali e Unicredit, inesorabilmente deserta anche in un sabato mattina di ottobre. Solo dei poveri disgraziati, vestiti con le tute di carta bianca degli operai dell’azienda elettrica e la testa rinchiusa in un cubo di cartone verde, sono impegnati nell’ennesima, solita, inutile e patetica operazione di guerrilla marketing, ideata da qualche creativo presuntuoso quanto imbecille, consegnando nei negozi inutile paccottiglia che i commessi si affrettano a togliere dai banconi infognandola nella pattumiera.
Stupide ragazze eredi di "quei de la mascherpa" (1) dalle cosce grosse come calciatori fasciate in minigonne senza gusto, chiacchierano al cellulare a voce alta in modo che tutti possano sentire dei loro meeting, o dei loro problemi di organizzazione aziendale probabilmente inesistenti.
Alla Città del Sole, i banali genitori di sinistra e politicamente corretti quanto benestanti, comprano ai loro figli viziati i soliti giochini di legno altamente educativi e cari come il fuoco. Mentre un esercito di almeno una decina di negri cercano di vendere libri che non hanno né capo, né coda.
No, non è questa la mia Milano, quella Milano grigia, fumosa, a volte cattiva e altre generosa, sobriamente impegnata a lavorare, a fà i danée, sempre in prima fila nelle lotte politiche, creativa senza essere inutilmente presuntuosa, dove il benestante e l’operaio si rispettavano reciprocamente, senza disprezzarsi, dove chiunque avesse voglia di lavorare trovava la sua collocazione. Una città in cui potevi girare e fare anche con pochi soldi; bastava conoscere i posti giusti, come la tavola calda sotto al tunnel fra Duomo e Cordusio con le sue polpette mefitiche che costavano niente.
Oggi Milano è lo specchio di un paese cialtrone, brutto, arrogante, tutto chiacchiere e distintivo, ma vuoto di umanità, indifferente e burino. Oggi Milano, e soprattutto i milanesi, non mi piacciono più.
(1) Mascherpa, non c'entra nulla con la vecchia ditta di orologi, ma si riferisce ai burini di fuori Milano che producevano la mascherpa, o ricotta, e la domenica scendevano in città col vestito della festa.
Bella e veritiera descrizione di Milano.
RispondiEliminaPerché non la mandi ad un giornale ?
Grazie. Il tuo è un bel complimento. Ma i giornali non sono interessati a questo genere di cose, loro vogliono il sangue. Ho proposto questo blog a innumerevoli quotidiani e roba simile, solo una persona che conosco mi ha detto che se non mi espongo con nome e cognome, a loro non interessa.
RispondiEliminaCapisci qual è il senso? L'interesse sta sempre dalla parte del giornale, non dalla tua, e se poi non sei un caso umano, non c'è niente da fare.