Il lavoro d'impaginazione del catalogo prosegue senza grandi intoppi. Passato il primo momento di spaesamento, le mani si muovono su mouse e tastiera quasi di vita propria, applicando ciò che hanno imparato in tanti anni di lavoro. È come un pilota automatico che, una volta inserito, mi guida alla risoluzione di ogni pagina come alla giusta collocazione della tessera di un puzzle. Un gioco che mi sembra la definizione più vicina a quello che per me significa impaginare.
Come in un rompicapo per bambini, dispongo i vari elementi, provando e riprovando, fino a che mi sento soddisfatto, fintanto che la vista non trasmette una sensazione di completezza, armonia, soddisfazione, di un piacere quasi fisico che mi scalda lo stomaco. Allora so che quello è il risultato migliore, che altre disposizioni della pagina non potranno che mortificare il risultato raggiunto, che, almeno per me, non ci sono altre alternative.
E il bello, è che ogni lavoro è un puzzle diverso; con più o meno pezzi, di soggetto diverso, monocromo o scoppiettante di colori, con forme umane oppure astratte. E ognuno va affrontato in modo diverso, l'approccio deve adeguarsi al soggetto della pagina e tenere conto dell'insieme del quadro generale. Non posso affrontare un servizio senza avere in mente la totalità di ciò che sto facendo, perché ogni pagina è un mondo a sé, ma deve anche rientrare in uno schema più grande, direi universale, senza suonare a vuoto, senza acuti fuori luogo.
Ogni lavoro è come il primo giorno di scuola, che non è solo il primo distacco da casa, ma sono soprattutto quelli successivi, che affrontiamo a ogni nuovo anno scolastico, con più sicurezza ed esperienza, ma sempre con un vago senso di inadeguatezza, di apprensione, di leggera tensione, che si stempera non appena saranno trascorse poche ore e avremo ritrovato i compagni, la fiducia, la certezza delle nostre capacità. Quando ci accorgiamo che ciò che abbiamo imparato non è svanito, migrato insieme alle rondini in autunno.
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