Col capodanno non sono mai andato molto d’accordo. Eppure è una delle mie feste preferite, con quel patrono col nome da cartone animato della Warner bros.
Finalmente una festa totalmente pagana, di bagordi senza sensi di colpa, di sesso, di liberazione.
Il primo, o meglio, i primi capodanno vissuti in libertà, di cui ho memoria sono due. Uno nella cantina di qualcuno che non ricordo, con gli amici della compagnia del quartiere. Ragazze (poche) che limonavano (con altri), musica a volume inaudito, canne a ripetizione che su di me non avevano il benché minimo effetto e l’immancabile arrivo delle volanti chiamate dai vicini di casa.
Il secondo, con amici del liceo che, colpo di culo inaudito, disponevano di un magnifico salone in una casa d’epoca dalle parti di via Giuseppe Verdi o via Filodrammatici, a ridosso della Scala e la sede di Mediobanca, in cui la madre di qualcuno era portinaia o qualcosa del genere.
Eravamo pochi, una quindicina o forse meno, ricordo di aver ballato qualche lento con una ragazza a cui credo piacessi, ma che non piaceva a me. Col senno di poi avrei potuto approfittarne e sfruttare il momento propizio, ma c’è un’età in cui essere imbranati rasenta la patologia e in cui si rimediano poderose erezioni da mal di schiena.
Avevo un maglione nero e bianco fatto ai ferri da mia madre che mi faceva morire di caldo e, come sempre nelle occasioni ufficiali, ero afflitto da flatulenze che non sapevo dove e come sfogare.
In seguito organizzavo il capodanno in modo da poter stare insieme alla mia fidanzata da solo, sfruttando la casa di suo fratello e sloggiando prima che rientrasse dai cenoni al ristorante. L’unico inconveniente di quelle serate romantiche era che mi emozionavo a tal punto che la testa mi esplodeva, preda di un’emicrania devastante, e finivo la serata vomitando nel cesso.
La serata più triste in assoluto è stata quando abbiamo festeggiato il capodanno nella villetta del fratello di mia moglie. Ospiti: dei parenti arrivati da Napoli e altri sfigati misti raccattati chissà dove. Era l’epoca in cui infuriava la lambada, alla fine degli anni ‘80. Mia cognata si era così fissata che ci toccò ascoltarla per tutta la sera, mentre degli idioti mi costringevano a ballare sculettando come una ballerina del tropicana. A mezzanotte i parenti di mia cognata si misero in testa di sparare i botti che avevano portato da Napoli, ma erano così umidi che al massimo gli scoppiettavano fra le mani bruciandogli le dita e i maglioni.
Questa serie di esperienze mi ha convinto a festeggiare il capodanno in casa, sperando che lo spiritello dell’anno nuovo non facesse più di tanto caso a me e non si accanisse con malesseri vari di tutti i generi.
Per questo ho deciso di dedicare al sesso e alle serate trasgressive qualunque altro giorno che non sia il 31 dicembre.
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