E così Carlo dei cani è morto. L’hanno trovato una mattina, seduto sulla panchina dei giardinetti dietro casa. Magari è rimasto lì tutta la notte e nessuno se n’è accorto.
Carlo dei cani era un pezzo del quartiere, uno che c’è sempre stato, che ricordo da che ho memoria. Uno che non ha mai fatto un cazzo in vita sua, se non bighellonare per le strade insieme ai suoi cani, non sempre gli stessi, ma almeno due, rigorosamente meticci e brutti quanto lui.
Tutte le generazioni dei ragazzi che si sono succedute l’hanno conosciuto. O meglio, era lui che attaccava bottone, specialmente con le ragazzine.
Ogni scusa era buona, i cani, la politica, gli interessi di chi ha dai tredici, quattordici anni in su.
Sempre con un barbone nero alla Marx, capelli lunghi e incolti trattenuti da una fascetta sulla fronte, camicia sbottonata e pantaloni al ginocchio tagliati con la forbice.
Non si sa come facesse per vivere e, almeno io, nemmeno dove abitasse. Si diceva che prendesse una pensione di invalidità, o che vivesse a scrocco della vecchia madre o, successivamente, che lo mantenessero le sorelle, che però non ho mai visto. Chissà se anche loro hanno la barba...
Il mercoledì, giorno di mercato, verso le due se ne andava a raccogliere gli avanzi con un carrellino carico di cassette di legno e gli immancabili cani che gli trotterellavano dietro. Nei giorni di afa estiva girava a torso nudo, con l’enorme pancia esposta come un trofeo di non si sa cosa, ma sempre con barba e capelli lunghi che, per un po’, lo fecero assomigliare al De Niro di The Mission, anche per quel suo trascinare in infiniti viaggi le cassette degli avanzi del mercato.
Le ragazze gli giravano al largo, ma non ho mai sentito di molestie da parte sua. Era semplicemente appiccicoso in modo esasperante, e abbindolava le poche che non riuscivano a sfuggirgli, in discorsi sui massimi sistemi, oppure sulla salute, l’alimentazione e l’educazione dei cani.
Qualcuno, non sapendosi spiegare come facesse a mantenersi, diceva che fosse un informatore di polizia e carabinieri e, forse, qualcosa di vero dev’esserci anche stato. Ma nessuno ne ha mai avuto la certezza.
Mia figlia, non so perché, lo odiava e non ne sopportava nemmeno la vista; io l’ho sempre considerato come un pezzo d’arredamento che a nessuno piace, ma che non si ha il coraggio di buttare via.
Aveva, dicono, sessantadue anni, e questo credo sia l’unico necrologio che qualcuno gli abbia dedicato.
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