Già, ma come? Le associazioni di categoria ormai non tutelano, non incentivano, insomma non fanno assolutamente nulla se non intascare laute quote di iscrizione per vendere il loro logo. Però, forse, è anche colpa nostra. Negli ultimi anni si è verificata una corsa al ribasso che ci ha privato di autorità, professionalità e competitività. Per quanto ci sforzassimo di mantenere un giusto ed equo margine, c’era sempre qualcuno disposto a ridurre il proprio pur di soffiarci il cliente.
Quella che, negli anni ottanta del secolo scorso, era una figura carismatica, ambita, prestigiosa, si è trasformata in un soggetto da sfruttare senza ritegno; da utilizzare come mero ammortizzatore fra le esigenze di clienti sempre più arroganti e presuntuosi e tempistiche di stampatori sempre più inviperiti e ostili. Il grafico si riduce così a un cottimista che deve mettere insieme esigenze non sue e farle collimare con un minimo di creatività, considerata tra l’altro, un’appendice inutile.
Basta leggere qualsiasi annuncio. Innanzitutto è richiesta la perfetta conoscenza della famigerata suite CS di Adobe (dico famigerata perché comprende, oltre a eccellenti programmi come Photoshop, anche delle emerite bufale: vedi Indesign), ma non solo, è richiesta inoltre la padronanza di QuarkXPress, del web design e delle programmazioni html, flash e php. L’inglese è indispensabile e anche lo spagnolo sarebbe gradito. Magari non farebbe male conoscere qualche programma di modellazione 3D ed essere flessibili e dinamici (traduzione: lavorare a orari impossibili compresi i festivi), accettare lo stage (ovvero essere pagato niente o non essere pagato affatto) e, come in un annuncio che ho visto personalmente, essere anche automunito, per gestire personalmente il cliente.
Con tutta la buona volontà, trovare una figura di questo tipo è un po’ come pretendere che il giorno duri 22 ore e la notte 2.
Solo per formare un buon grafico esecutivista, sono necessari almeno un paio d’anni, per uno editoriale, direi cinque, per un grafico creativo cinque, dieci anni e, per un art director, a parte rare eccezioni, ne servono dieci o quindici. E aggiungiamoci il web, che è più materia da tecnici che da creativi (infatti, le grandi agenzie distinguono tra web designer e sviluppatore web).
Morale: chi si presenterà per un posto del genere, sarà una persona che avrà, se va bene, una infarinatura di un po’ di questo e un po’ di quello, ma non avrà mai la professionalità, l’esperienza e la capacità di saper gestire ad alti livelli aspetti così diversi della professione. Ma tant’è, oggi non importa a nessuno, o a pochissimi, di creatività e professionalità. Importa solo che sia economico e veloce. Quali possono essere, allora, i punti di forza per riguadagnare quel terreno che, consapevolmente o inconsapevolmente, ci è stato sottratto o abbiamo ceduto? L’analisi è stata semplice e spietata: i costi non possono essere una voce per ridarci competitività. A fronte di soggetti che in rete pubblicizzano la realizzazione di siti, anche complessi, a cifre che partono da 15 euro, o che offono pacchetti tutto compreso (neanche fossero la Costa Crociere) in cui, per 150 euro lordi, realizzano una brochure da quattro pagine compresa l’ideazione di un logo, è chiaro che non può essere questo il terreno di scontro.
La conoscenza tecnica è sì un altro requisito importante e indispensabile, ma anche in questo caso, l’avvento dei personal computer a basso costo, ha creato schiere di adepti che utilizzano i maggiori programmi con capacità e disinvoltura. Quindi sebbene sia un requisito indispensabile, non può essere il plus per rimetterci in corsa.
Le uniche risorse, a nostro avviso, davvero insostituibili, rimangono la creatività e l’esperienza.
Mi spiego con un esempio. Si guasta l’automobile. Cosa fate?
1) Cercate di arrangiarvi da soli perché, presuntuosamente, ritenete di esserne capaci solo per il fatto di averla acquistata. Molto probabilmente, ammesso che riusciate a farla ripartire, non sarà per nulla affidabile e, se non rischiate di uccidervi in un incidente, dopo qualche chilometro si guasterà di nuovo.
2) Chiamate un meccanico che costa poco ma non dà nessuna garanzia di affidabilità, né sui pezzi di ricambio, né per esperienza. Ripara un po’ di tutto: dai motorini, ai furgoni, alle auto vecchie e nuove di qualsiasi marca. Non è un’officina autorizzata, ma tanto vale, un motore è un motore, cosa ci vorrà mai per ripararlo? Un ingegnere?
Ma vale davvero la pena affidarsi a simili individui solo per risparmiare qualche soldo?
3) Vi rivolgete a un centro assistenza autorizzato, con meccanici formati dall’azienda produttrice, che utilizza ricambi originali, rilascia regolare fattura e garanzia sulle riparazioni effettuate. È vero, costa qualcosa in più, ma è evidente che, sotto ogni aspetto, ne vale la pena.
Perché allora, se scegliamo la terza opportunità quando dobbiamo riparare l’automobile, o chiamiamo l’idraulico o ci rivolgiamo a un medico o un dentista, non dobbiamo ragionare allo stesso modo quando dobbiamo mostrare l’immagine della nostra azienda, o del nostro prodotto, al mondo intero? I muri di cartapesta, le scenografie di Sergio Leone, funzionano per il tempo di un film, ma alla lunga, il pubblico capisce che sono fasulle.
Cosa c’è di peggio per un’azienda che ingannare la propria clientela?
Ecco allora da dove dobbiamo ripartire. Come le aziende più lungimiranti fanno della responsabilità sociale verso il consumatore e l’ambiente il loro punto di forza, così, noi grafici e art director, dobbiamo fare della creatività e dell’esperienza la nostra arma migliore. La base da cui ripartire.
Il solo punto interrogativo è: sì, ma come?
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