Siamo naufraghi di un mare in tempesta, scuro e maligno. Scomparsa la percezione dell'orizzonte tutto si confonde, i colori annichiliti, solo piombo sporco, come l'acqua salata che brucia gli occhi e arriccia la pelle. Tremiamo di freddo e paura.
Una forma scura si avvicina, più nera del cielo in tempesta, più veloce delle onde, quasi volasse sull'acqua. Sbattuti come turaccioli senza controllo, la perdiamo di vista per ritrovarcela vicino, così vicino da sentirne l'odore di alghe putride e legno marcio. Veniamo strappati dall'acqua allo stesso modo in cui si strattona una vecchia marionetta di legno e dopo un miserabile balletto come di un impiccato con una corda troppo lunga, veniamo scaraventati su lisce assi di legno sbiancate dal mare.
La prima cosa che scorgiamo attraverso le palpebre incollate dal sale sono dei piedi; piedi sporchi, pelosi, con le unghie gialle e rotte che sembrano incollati all'assito malgrado la nave, perché di nave si tratta, beccheggi tra le onde. Corriamo con lo sguardo su per l'albero maestro, fino alla cima che pare lontana chilometri. Quello che sembra uno straccio nero e stracciato sventola impazzito, ma appena una folata più violenta lo spiega completamente, rivela due tibie incrociate e un teschio sdentato. Pirati!
Non ci crediamo, non può essere, no davvero! Siamo morti e questo è l'inferno a cui non abbiamo mai creduto che ci spalanca le sue terribili porte. Succede sempre così, credi di essere ancora vivo, senti, tocchi, vedi, e invece è tutto un trucco, un'illusione creata dagli ultimi bagliori di elettricità di un cervello morente.
Ma che questo sia un sogno oppure no, non ce ne importa niente. Pirati! La libertà del mare, nessun servo e nessun padrone, il vento sulla faccia che pare di cuoio, fare solo ciò che il cuore vuol fare, infischiarsene delle regole e dei doveri, della convivenza civile e della buona educazione.
Benvenute a bordo, brutte carogne!
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