Ho un amico, "il corto", che fa il tassista a Milano. Ogni tanto, usciamo a cena insieme a un altro amico di lunga data, che chiameremo "il lungo".
Visti insieme non facciamo una bella figura; se fossimo una canzone dello Zecchino d'Oro saremmo Il lungo, il corto e il pacioccone, anche se pure il corto ha una bella pancia.
Penso sempre che passeremo una bella serata: che so, mangiare bene in un posto tranquillo, fumare un buon sigaro cubano sorseggiando vino passito e magari ascoltare musica del secolo scorso chiaccherando del più e del meno. Invece, il giorno dopo, sono sempre profondamente deluso, non so se per colpa degli amici, o per le mie eccessive aspettative.
Il "corto" è decisamente un megalomane e pensa di essere un raffinato gourmet. Peccato che non mangi formaggio in ogni declinazione e voglia sempre decidere lui dove cenare. La maggior parte delle volte finiamo in posti così malinconici e squallidi che quasi mi viene da piangere. Come quando siamo finiti alla pizzeria ristorante Orient Express in via Breda. Un locale così sciatto, sporco e dal menu talmente sospetto, che ho deciso per il male minore: una pizza. Oppure quell'altra volta in cui pensando di fare una cosa spiritosa, siamo finiti da Pastarito Pizzarito, che mi pare non abbia bisogno di essere commentato.
Spesso, durante il pasto, ammutolisce e comincia ad attorcigliarsi un orecchio su sé stesso. È come se, improvvisamente, si fosse rotto le palle e desiderasse essere in qualunque altro posto tranne che con noi. Inutile dire che finisce immancabilmente a parlare di figa ma, visto che siamo tutti sposati, più che rallegrarci, finisce con l'intristire un po' tutti.
Il "lungo" va in giro con la guida Osterie d'Italia di Slow Food, anche se ordina sempre spaghetti ai frutti di mare e impepata di cozze. Da giovane si è spezzato mille volte le gambe in moto, così da qualche anno, ha deciso di muoversi esclusivamente in camper. È così buono e accomodante, che la moglie lo comanda a bacchetta; anche la sera che si mangia insieme, non esce di casa se non ha preparato da mangiare per i figli. Questo fa sì che, alle otto e mezza, si discuta ancora su quale ristorante scegliere. Poco male, se non fosse che, come tre cenerentole bolse e attempate, si rientri a casa intorno a mezzanotte. Parla sempre con un tono di voce appena percettibile, sia che ci si trovi in una trattoria affollata di cafoni urlanti, che in una via deserta e silenziosa. Spesso non capisco quello che dice, così a seconda della sua espressione, faccio segno di sì, no, o atteggio una smorfia che vada bene un po' per tutto. Non credo che soffra già di aterosclerosi, però è un fatto che racconti sempre le stesse cose. Ecco forse spiegato il perché delle improvvise assenze del "corto".
Quando torno a casa sbotto regolarmente in un: "Io con quei due non ci esco più! Mi sento come alla bagina: uno che ripete sempre le stesse cose, l'altro che pare farci un favore!". Ma che ci posso fare, sono gli unici due amici che ho, ci conosciamo da quasi quarant'anni e forse è per questo che ci stiamo un po' sul cazzo, come quelle vecchie coppie ormai scoppiate. Solo che noi, al posto di essere solo in due, siamo in tre!
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