Devo ammetterlo, non sono mai stato un esperto di musica, men che meno di quella classica. Se parliamo degli anni ‘70 e’80 ancora ci arrivo, ma non ho mai saputo a memoria le formazioni dei gruppi come alcuni miei amici. Se mi chiedete i nomi dei Pink Floyd, così su due piedi mi viene in mente solo David Gilmour, non parliamo degli Who: Roger Daltrey e poi basta.
Non conosco nemmeno i titoli dei dischi, anche se le illustrazioni invece potrei descriverle a menadito. Questo non significa che non conoscessi la musica, solo che non m’importava e non m'importa più di tanto di come si chiamassero esattamente i musicisti e il titolo di ogni singolo pezzo. Per la musica classica il discorso è simile; l’ho sempre ascoltata, compresa l’opera. Alcune cose mi piacciono, altre meno, come penso un po’ tutti. D’accordo, alcuni pezzi sono leggermente difficili da capire, ma anche in questo caso, non m’importa molto della struttura di opere, sonate, partiture eccetera. Ascolto e giudico da profano. Mi lascio guidare dalle emozioni, dalla pancia e dalle orecchie.
Anche Riccardo Muti, che non mi pare certo l’ultimo arrivato, sembra seguire questo pensiero. In una recente intervista ne dice di belle. Per esempio, che si sta occupando del recupero della musica napoletana del ‘700 che: “È all’origine di tante cose, compresa l’opera di Mozart”. In fondo, non dimentichiamo che il meraviglioso Flauto Magico non era stato di certo composto per orecchie nobili, ma come scherzo per il popolo. E, a proposito degli innumerevoli teatri che quasi ogni comune d’Italia può vantare: “Perché i comuni non li riaprono e li affidano alle compagnie di dilettanti, di giovani, agli artisti di strada? [...] Un’altra straordinaria ricchezza che rischia di sparire è quella delle bande comunali. Molte amministrazioni hanno deciso di chiuderle, magari per destinare altri soldi alle mode delle notti bianche e dei fuochi d’artificio, ormai d’obbligo in qualsiasi contrada del belpaese”.
Probabilmente, come per le formazioni dei gruppi rock, c’è chi la pensa diversamente, credendo che se non si conoscono a menadito nomi, formazioni, partiture, titoli e strutture, non sia possibile apprezzare la musica colta e non. Parlo di tal Claudio Strinati, che nelle sue coltissime recensioni di classica sul Venerdì de La Repubblica, tocca livelli di incomprensibilità quasi irraggiungibili. Ecco alcune perle che ho raccolto in queste ultime settimane.
A proposito di un cd del pianista bulgaro Vesselin Stanev: “Il linguaggio è esasperato e patetico, la costruzione del brano è sganciata da qualunque esigenza di consequenzialità e logica deduttiva. [...] La Sonata n. 2 op. 19 è una sorta di urlo nel silenzio in cui un titano dai piedi d’argilla si aggira in una landa desolata e remota ossessionato da una costante armonica che non assume mai forma compiuta ma si attorce su se stessa svelando continue mutazioni”.
Per un cd di Edward Elgar - The Dream of Gerontius - spara questa minchiata: “È curioso notare come la musica non sia affatto onirica, ma concretamente aderente alla sostanziale statica del sentimento dominante che circola nella cospicua partitura, rendendola una dolcissima elegia memore dell’ultimo Ciajkovskij e di Cesar Franck”.
Questa forse è la migliore; si parla del cd di Gideon Kremer - Kremerata Baltica - con pezzi di Mahler e Shostakovich: “Ora in questa commovente sinfonia scarica un grido soffocato che incalza l’ascoltatore trasportandolo in un iperuranio negativo dove l’ineluttabilità della morte è espressa dall’ineluttabilità del linguaggio liberato dalle lusinghe della piacevolezza ma icastico e audace”. Chissà che cazzo vorrà dire! Meglio che mi fermi, altrimenti mi scoppierà la testolina.
Questo solo per valutare la differenza tra chi la musica colta la fa, la dirige, la divulga, la incoraggia e chi, probabilmente non sapendo suonare neanche il piffero, ne parla come se solo lui potesse conoscere e spiegare il segreto di tanta cultura. Insomma, più si parla difficile, meno cose si hanno da dire!
Caro Claudio Strinati: quattro giri di chiglia!
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